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  • di Massimo Mannarelli

ALEVITI E BEKTASHI. IL SUFISMO SCIITA NEI BALCANI.

Il nome "Aleviti" viene generalmente spiegato come un riferimento ad ʿAlī ibn Abī Ṭālib, cugino, genero, e figlio adottivo del profeta Maometto (s.A.'a.s.).

Il nome è la pronuncia turca, zazaki e curda di ʿAlawī (in arabo) "riguardante ʿAlī" e non deve essere confuso con gli ʿAlawī della Siria e del Libano con i quali vi è in comune solo la venerazione verso l'imam Alì. Gli Aleviti vengono denominati anche come "Qizilbashi" (dal movimento radicale riformista d'impianto sciita dei Qizilbash).

Il credo alavita è legato alla visione sciita del duodecimano che li porta ad accettare la fede sciita in Alì, tuttavia buona parte del suo linguaggio mistico è influenzato dalla cultura sunnita. Nonostante l’Ayatollah Ruhollah Khomeini dichiarò, nel 1970, l'alevitismo come parte integrante del mondo sciita, essi non si considerano nè sciiti e neppure sunniti che non accusano di essere miscredenti e fanatici, motivo che li spinse a sostenere il secolarismo kemaliano.

Il rito alevita non prevede le cinque preghiere quotidiane, il mese del digiuno (il Ramadan) e neppure il pellegrinaggio alla Mecca; essi credono nell'uguaglianza tra uomini e donna che condividono lo stesso spazio durante la preghiera che non viene svolta in moschea, ma in luoghi privati. All'interno della moschea si svolge, invece, la semah ossia un rituale sufi che consiste in una danza esoterica e gnostica detta “dei pianeti”. L’uso della musica e degli alcolici nelle cerimonie sono elementi che mostrano quanto gli Aleviti siano lontani dalla tradizione dell'imamato e del califfato.

La loro teologia spesso scivola nella pratica di comportamenti considerati, da alcuni critici, come riti superstiziosi e che si muovono spesso fuori dai margini dell'ortodossia, come ad esempio accendere candele o piazzare pietre di richiesta sulla tomba, legare pezzi di vestiti al mausoleo o agli alberi davanti ad esso, lanciare monete sulla tomba, chiedere aiuto direttamente al defunto, girare sette volte attorno agli alberi nel cortile o appoggiare la faccia sul muro del türbe sperando in una cura soprannaturale, legare rosari al mausoleo aspettandosi un aiuto soprannaturale, sacrificare galli o tacchini come voto al mausoleo, oppure baciare il telaio delle porte di stanze sacre, non camminare sulla soglia di costruzioni sacre, chiedere le preghiere di famosi guaritori e fare dei 'Lokma' e condividerli con altri.

Il concetto di Dio degli Aleviti è derivato dalla filosofia di Ibn al-'Arabi e comprende una catena di emanazione da Dio, a uomo spirituale, uomo terreno, animali, piante, e minerali. L'obiettivo della vita spirituale è seguire questo percorso in direzione contraria, ossia verso l'unità con Dio, o Haqq (Realtà, Verità). Dalla prospettiva più alta, tutto è Dio (vedi Wahdat al-Wujud). Gli Aleviti talvolta ammirano al-Ḥallāj, un Sufi del X secolo giustiziato a Baghdad per blasfemia per avere esortato a comportamenti anti-nomistici (e non già, come si crede, per aver detto - tra l'altro in privato - "Io sono la Verità" - Anā al-Ḥaqq).

Un altro importante concetto alevita è quello del "Perfetto Essere Umano" (Insan-i Kamil) (Questa terminologia è sunnita; la controparte sciita sarebbe "Perfetto sciita"). Molti Aleviti pensano che il primo sia stato ʿAlī, Hajji Bektash Wali. In ogni caso il Perfetto Essere Umano è stato anche identificato con la nostra vera identità come pura coscienza, dal concetto coranico secondo cui gli umani non hanno peccato originale, essendo la pura coscienza perfetta. Il compito umano è di realizzare completamente questo stato sinché sono ancora nella forma materiale umana.

Molti Aleviti definiscono il Perfetto Essere Umano in termini pratici, come colui che ha il completo controllo morale delle sue mani, lingua e sensi (eline diline beline sahip), tratta allo stesso modo ogni tipo di persona (yetmi؛ iki millete aynı gِzle bakar) e serve gli interessi degli altri. Uno che abbia raggiunto questo stato di illuminazione è chiamato eren o munavver.

Il percorso (yol, "strada") verso la perfezione esige quattro principali fasi della vita, o "porte": Sheriat (Sharīʿa) ("legge religiosa") ;Tarikat ("fratellanza spirituale"); Marifat ("conoscenza spirituale"); Hakikat ("Realtà" o "Verità", ovvero, Dio).

Gli Aleviti esaltano soprattutto la figura di Alī più di quanto la maggioranza degli sciiti consenta. Lui e Maometto (s.A.'a.s.) sono considerati come due facce di una moneta o le due metà di una mela, auspicando perfino una sorta di trinità composta da Allah, Maometto (s.A.'a.s.) e ʿAlì.

Il ricordo dei fatti di Karbala viene vissuto attraverso orazioni funebri, in maniera poetica ed artistica. Vengono, infatti, celebrate senza le tradizionali letture coraniche o formule di richiesta a Dio e senza forme alcune di autoflagellazione considerate folklorismo religioso.

La carica di maestro spirituale all'interno dell'Alevismo si trasmette di padre in figlio, diversamente dall'anch'essa balcanica "Tariqa Bektashi", un’altra confraternita sufi, adoratrice dell'imam Alì che si fonda sulla silsila, "catena iniziatica" di maestri e studenti, le cui guide spirituali "dede" vengono eletti dal gruppo stesso.

Entrambe le comunità religiose venerano Hajji Bektash Wali (in turco: Hacibekta؛ Veli), un "santo" del XIII secolo. Molti Aleviti riferiscono di una tradizione "Alevi-Bektashi", ma questa identità non è universalmente accettata e il nome composto non è utilizzato dai Bektashi che sottolineano la loro non turchicità.

I Bektashi prendono il nome dal suo supposto fondatore Ḥāggī Bektāsh, sepolto nella località omonima in Asia Minore, fra Qīrshehir (Kïr؛ehir, al cui vilāyet ora appartiene) e Qaiṣariyyeh (nella nuova grafia turca Kayseri) e, secondo la biografia tradizionale, è morto nel 738 èg., 1337-1338 d. C.. Questa data è semplicemente il risultato d'uno di quei cronogrammi che tanto piacciono ai popoli musulmani, ossia la somma dei valori numerici delle lettere arabe che compongono il nome -arabo, Bektāshiyyah.

Nel XVI secolo la comunità bektashi turca venne guidata dal sufi Balim Sultan, che riorganizzò la comunità in una vera e propria tariqah ed edificò la tekke principale (scuola-convento), la Pirevi, ad Hacıbeka؛ nell'Anatolia centrale.

I Bektashi fanno propria la dottrina della Wahdat al-Shuhud o "apparentismo" di Ibn Arabi. Tale dottrina è, però, criticata dagli sciiti come "panteista". Ruolo importante nelle comunità bektashi è svolta dal dede, sorta di guida spirituale. Uno dei riti che caratterizza i bektashi rispetto agli altri islamici è il magfirat-i zunub, sorta di ammissione dei peccati innanzi al proprio dede. I rituali bektashi non sono, del resto, dettagliatamente codificati e variano, pertanto, da regione a regione.

Il loro credo esoterico è conosciuto soltanto in modo generico; deriva fondamentalmente da quello degli sciiti estremi (Bāṭiniti, Ismā‛īliti), pur riconoscendo i dodici imām degli sciiti duodecimani; sembra ritenere paradiso ed inferno come semplici allegorie; ha accolto fin dal declinare del sec. XV il sistema cabalistico della setta dei Ḥurūfī con le sue fantastiche speculazioni sul valore numerico delle lettere dell'alfabeto arabo. La formula della professione di fede è quella degli sciiti ismā‛īliti "Non v'è altro Dio che Allāh, Maometto (s.A.'a.s.) è l'inviato di Allāh, ‛Alī è l'amico (walī) di Allāh". Le pratiche ordinarie dell'islamismo sunnita non sono seguite; si sostituiscono a esse riti di cui alcuni paiono derivare dal cristianesimo antico come ad esempio la confessione pubblica, con assoluzione impartita dal bābā, cene solenni nelle quali si dividono pane, vino e formaggio a scopo rituale (come gli antichi Artotiriti della Frigia), ecc.

Alcuni dei loro dervisci fanno voti di castità (cosa assolutamente fuori dell'islamismo) e vivono in conventi (in turco tekkieh); altri invece sono ammogliati e vivono nelle loro case private.

Tale confraternita derviscia fu soppressa nel 1826 dal Sultano Mahmut con l'abolizione dell'ordine dei giannizzeri perché considerata il braccio spirituale di quest'ultimi, essendo i primi cristiani convertiti all'Islam e i secondi reclutati secondo il sistema della devsirme, ovvero il rapimento dalle famiglie di origine e spesso l’affido a famiglie sia Alevite che Bektashi. Le famiglie alevite poi che non facevano discriminazioni rispetto ai loro figli naturali e rappresentavano un ambiente ideale per crescere i futuri soldati.

Banditi dall'impero ottomano i leader della comunità si spostarono in buona parte a Tirana in Albania. A Tirana i capi bektashi dichiararono la propria non appartenenza alla comunità sunnita, avvicinandosi, così alla componente sufi sciita.

Banditi dall'impero ottomano i leader della comunità si spostarono in buona parte a Tirana in Albania. A Tirana i capi bektashi dichiararono la propria non appartenenza alla comunità sunnita, avvicinandosi, così alla componente sufi sciita.

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