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Massimo Mannarelli

IL SUFI YOGA DI MUHAMMAD GHAWTH


Lo Yoga Sufi di Muhammad Ghawth Gwaliyari

Il pensiero islamico classico si avvale di culture e tradizioni diverse che, soprattutto nel medioevo, vengono assorbite dall’Islam.

Da oriente ad occidente nel corso della sua espansione il mondo islamico si presenta più come una cultura dell’incontro che come una civiltà di scontro.

La perfetta armonia tra scienza e dottrina, tra pensiero religioso e razionale è presente nell’esperienza coranica stessa.

Secondo alcuni studiosi islamisti il Corano spingerebbe ad una riflessione intorno alle leggi della natura, con esempi tratti dalla fisica, dalla cosmologia, dalla biologia e della medicina divenendo scienza per tutti gli uomini.

I settecentocinquanta versi del Sacro Libro, quasi un ottavo dello stesso, esorterebbero i credenti a studiare la natura, a riflettere, a fare uso migliore della ragione nella ricerca del Supremo e a fare dell’acquisizione della conoscenza parte integrante della vita comunitaria. Il Corano si presenta, quindi, come un elemento sacro unificante ed eterogeneo per la Umma (comunità dei fedeli).

I dotti islamici hanno prestato attenzione alla filosofia ellenica, ma anche a quella vedica, molti mistici musulmani dell’India, infatti, studiarono lo Yoga apprendendone alcuni esercizi respiratori e la pratica del canto devozionale (mantra e japa) dallo studio dei testi induisti.

Uno dei testi vedici più importanti per il Sufismo islamico è stato l’ “Amritakunda” (La Vasca del Nettare); questo libro, ormai perduto, venne tradotto in arabo nel 1210 col titolo di “Hawd ma' al-hayat” (La Vasca dell'Acqua della Vita). Nel sedicesimo secolo venne poi tradotto dall’arabo al persiano da Muhammad Ghawth Gwaliyari con un titolo completamente nuovo: “Bahr al-hayat” (L'Oceano della Vita).

Muhammad Ghawth Gwaliyari (1502-1563) fu discendente del grande Maestro Sufi Fariduddin Attar e,pur appartenendo alla confraternita Shattariyya, egli fu iniziato a quattordici confraternite o turuq diverse.

Muhammad Ghawth si interessò soprattutto agli esercizi introspettivi e di visualizzazione, alle pratiche basate sul controllo del respiro e alle diverse meditazioni presenti nello Yoga.

Egli studiò in modo approfondito la disciplina degli yogi incorporandola nel proprio trattato sulla meditazione scritto nell’eremo di Qalat al-Khayyar in Gujarat, ossia i “Jawahir-i khamsa” (I Cinque Gioielli). In tale scritto viene divulgata la formula dello dhikr (l’orazione continua) del tahlil (La ilaha illa Allah: non v’è divinità eccetto Dio) del mistico Hallaj ossia Abū l-Mughīth al-Husayn.

Alcune Asana (posture) mutuate dallo Yoga vengono introdotte per facilitare il raggiungimento di uno stato di beatitudine Divina espressa dalla frase “Ana-l-Haqq” (Io Sono la Verità) pronunciata da Hallaj stesso.

La parola Yoga deriva dalla radice sanscrita «Yug» che significa unire, legare assieme, soggiogare, dirigere come anche concentrare l’attenzione, usare ed applicare.

Se lo Yoga è unione e comunione l’Islam è unione della propria volontà con quella di Dio, unione in perfetto equilibrio fra tutte le componenti del nostro essere: corpo, mente e spirito.

Muhammad Ghawth introduce un parallelismo tra Yoga e Tawid, facendo diventare il primo supporto per la pratica del sufismo stesso. Così facendo anche il Pir (maestro) della realizzazione sostiene la ripetizione dei nomi (adhkar) di Dio dando assistenza all’esecuzione di questa pratica.

Muhammad Ghawth cerca di separare, per quanto possibile, la pratica dello Yoga dal suo contesto induista e renderla accessibile a colui che è stato iniziato alla “Via”.

Tutto ciò avviene attraverso una “benevola islamizzazione” delle pratiche Sanyasi liberandosi da eventuali accuse di miscredenza e trovando un perfetto equilibrio nella comunanza fra Yoga e Sufismo.

I sette grandi Mantra (i 7 chakra principali) divengono “i più grandi Nomi di Dio apparsi in mezzo a noi” per ogni Mantra Sanscrito vengono forniti due attributi Arabi: traducendo Hum come “Ya Rabb, Ya Hafiz” (Oh Signore, Oh Protettore) e Aum come “Ya Qahir, Ya Qadir” (Oh Soggiogatore, Oh Onnipotente).

In uno studio sulle tecniche respiratorie egli trova i significati simili al Mantra conosciuto come Hamsa, o Hansa, o So Hum, o So Ham (Egli sono Io) che è pronunciato durante le due fasi di esalazione e inalazione. L’esalazione viene concepita come “un'espressione per il Signore spirituale (Rabb Ruhi)”, mentre l’inalazione rappresenta “il Signore dei Signori” (Rabb al-Arbab).

Muhammad Ghawth giunge perfino ad identificare le grandi figure della tradizione primordiale dello Yoga con i Profeti riconosciuti dall’Islam infatti scrisse: “Il loro leader spirituale (Imam) è Gorakh ed alcuni assicurano che Gorakh è un’espressione di Khizr (la pace sia sul nostro Profeta e su di Lui).”

L’assimilazione dello Yogi archetipo al Profeta immortale Khizr (in Arabo Khadir) gioca un ruolo iniziatico importante nel Sufismo; il leader religioso (Imam) Chaurangi, discepolo di Gorakh è identificato ad Elia [Ilyas] (la pace sia su di lui).

Il leader religioso Machindirnath è Matsyendranath viene denominato “il respiro del pesce” perché un pesce quando inspira l'acqua, questa non entra in corpo quest’ultimo chiamato anche MinaNath viene identificato con Giona [Yunus] (la pace sia su di Lui).

Lo Yogi (Imam) Gorakh-Profeta Khizr, lo Yogi (Imam) Chaurangi o Profeta Elia e lo Yogi (Imam) Matsyendranath o Profeta Giona raggiunsero l'acqua della vita.

Muhammad Ghawth considera le tradizioni orali degli Yogi (da guru a discepolo) un fenomeno parallelo agli hadith (detti) narrati dal Profeta Muhammad, la pace sia su di Lui, e li descrive con gli stessi termini Arabi e gli stessi racconti (riwayat) usati per le trasmissioni degli hadith. La differenza principale tra la tradizione Yogica e il corpo degli hadith Islamici giace nelle rispettive fonti dottrinali (le divinità indù come Shiva invece di Muhammad) e nei loro trasmettitori.

La maggior parte degli “Amici di Dio” (Awlìya’-i-khuda) hanno compreso e spiegato queste influenze attraverso lo “svelamento spirituale e l’intuizione mistica” (il kashf), ed i monaci (rahiban) dell’India che sono gli Yogi, hanno svelato che ciò è in accordo con la stazione spirituale dei Realizzati. Sebbene il linguaggio cambi, il significato è il medesimo.”

Commentando alcuni passaggi del Corano, Muhammad Ghawth dichiara ulteriormente che la maggior parte dei saggi (hukama’) dell’India ha eseguito questa pratica raggiungendo una quiddità a loro consona. Invece, alcuni Musulmani hanno completato la stessa pratica conseguendo altrettanti benefici.

Nonostante l'improbabilità che gli Yogi ripetessero la “Surat Ikhlas” (Il Capitolo del culto sincero) del Corano, Muhammad Ghawth scopre che il risultato della salmodia ripetuta è identico in entrambe le tradizioni, nonostante le differenze di contenuto semantico o religioso. Egli vuole realizzare quell’unità fra Yoga e Sufismo cercando un continuo accordo fra gli insegnamenti yogici e le dottrine islamiche.

A riguardo approfondisce gli aspetti più prettamente metafisici giungendo ad affermare: “Il Signore della legge religiosa (shar') [il Profeta Muhammad] dichiara che dopo un tempo specifico avviene l'entrata dello spirito nel corpo. Gli Yogi perfetti affermano che senza lo spirito niente dimora, piuttosto, la materia si corrompe. Specialmente, la carne e la pelle non resistono un solo giorno senza lo spirito. Su questo punto c’è una contraddizione tra la teoria (il kalam) degli Yogi ed i precetti religiosi Islamici. È necessaria una replica doverosa affinché il decreto giuridico religioso sia in accordo con (rast ayad ba) le sentenze degli Yogi, cosicché, a parte il metodo diverso (tartib), nessun dubbio sia attribuito alle loro parole. La teoria funge da collegamento (paywand) e tutti si aprono al confronto (pand-pazir). Delicatamente ci si impegna alla comprensione dei significati sottili e si investiga fino a sperimentare la verità. La teoria (kalam) di entrambi si radica fermamente nel cuore ed ha una sola sostanza”.

La situazione assomiglia a quella in cui si vennero a trovare i primi filosofi Islamici, i quali dovettero trattare la discrepanza esistente tra la nozione Platonica della pre-esistenza dell’anima e l'enfasi Profetica sulla creazione dell'anima da parte di un Dio Onnipotente. Dopo una digressione complicata circa lo spiegamento cosmico dello spirito, Muhammad Ghawth cerca di conciliare i punti di vista Islamico e Yogico. La sua conclusione è che mentre la dottrina Yogica è deficitaria, la sua conoscenza pratica del corpo è veramente avanzata e preziosa per la ricerca della conoscenza mistica. Le differenze dottrinali esistono, ma hanno poca importanza se paragonate allo stato spirituale a cui può condurci lo Yoga.

Muhammad Ghawth non studiò gli insegnamenti dello Yoga da un punto di vista accademico o da semplice osservatore esterno. La sua traduzione dell’Amritakunda è un’opera pervasa dall’esperienza della pratica Yogica e abbellita dalla prosa del Corano e dai detti della tradizione orale (hadith). La teoria delle influenze non rende giustizia ad un uomo come Muhammad Ghawth, il quale ha creato un filo conduttore tra lo Yoga e il Sufismo. Con le sue dissertazioni è riuscito a canonizzare lo studio dello Yoga come disciplina Islamica. Il ruolo dello Yoga all’interno del Sufismo Islamico può essere oggetto di ricerche ulteriori, ma al presente, l’Amritakunda è un manuale di Yoga pratico che può essere integrato con successo all'interno del variegato mondo dell’Islam mistico.

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