L'IDEALISMO ASCETICO
L’uomo cerca di imprimere un qualsiasi valore alla sofferenza e alla vita stessa poiché l’essere umano è in grado di sopportare anche il dolore più duro ma non la sua insensatezza.
L’ideale ascetico si presenta come manifestazione di pura volontà del nulla che sottolinea come l’uomo preferisca volere il nulla al non volere.
Ogni animale tende per istinto ad un livello ottimale di situazioni favorevoli grazie alle quali poter insorgere con la propria forza, in modo da attingere in modo massimale al proprio possibile sentimento di potenza. Con il medesimo istinto l’animale si oppone ad ogni cosa di frapponga sulla sua via e verso l'optimum.
Anche l’uomo asceta detesta e cerca di evitare qualsiasi impedimento che possa ostacolare il proprio sviluppo interiore e il potenziamento, ossia matrimonio, figli, lavoro, sessualità che non gli permettono di coltivare la propria attività in completa indipendenza nel suo cammino per l’elevazione.
L’indipendenza dell’asceta non nega l’esistenza ma afferma l’esistenza e soltanto l’esistenza stessa aderendo alla formula “Non c’è realtà al di fuori della realtà”
Gli asceti eliminando, innanzitutto, da loro stessi quei giudizi di valore e quel disprezzo che sentono e che gli deriva dall'appartenenza a quella primordiale umanità hanno come unica via quella di aderire alla pratiche e agli ideali dell’ascetismo.
L'ideale ascetico è servito al filosofo come forma fenomenica, come condizione di esistenza; quest’ultimo dovette rappresentarlo per poter avere solamente la possibilità di essere filosofo. E dovette credervi nel proprio intimo per poterlo rappresentare. L'atteggiamento del filosofo che nega il mondo, non crede ai sensi e si "desensualizza" è dunque soprattutto una conseguenza dello stato di necessità delle condizioni tra cui la filosofia sorse e si stabilì: in quanto essa non sarebbe stata affatto possibile sulla terra senza questo involucro, questo rivestimento ascetico.
La figura dell’ ascetico non appartiene solamente ad una precisa epoca o ad un determinato popolo, ma fa la sua apparizione universalmente e regolarmente. Ciò deve far riflettere; perché significa che la sua presenza non risponde alle esigenze di una classe sociale, di un epoca o di una razza, ma ad una necessità ancor più profonda: precisamente quella di una ostilità alla vita dettata da un interesse verso la vita stessa. L'interesse di un ressentiment ed una volontà di potenza insaziati che vorrebbero dominare non su qualcosa della vita ma sulla vita stessa, sulle sue condizioni più profonde, più forti, più sotterranee; qui viene fatto un tentativo di usare la forza per ostruire le scaturigine della forza; qui lo sguardo verde e maligno si rivolge contro la prosperità fisica stessa mentre si sente e si cerca un compiacimento nel fallire, nell'intristire, nel dolore, nella disgrazia, nella bruttezza, nell'espiazione volontaria, nella mortificazione, nella flagellazione e nel sacrificio di sé.
Verranno praticate, pertanto, la negazione della propria realtà, l'abbassamento della corporeità ad illusione, la svalutazione della molteplicità e del divenire, la creazione e contrapposizione dei concetti di "soggetto" ed "oggetto".
Questo rivolgersi della vita contro la vita, rappresentato dall'ascetismo, risulta pure, da una prospettiva genealogica, come un sintomo assurdo e discordante di una stato di cose più profondo: deve esserci, insomma, al di sotto di questa apparente contraddizione, qualcosa di più importante in gioco perché un tale comportamento faccia continuamente la sua comparsa sulla terra. Esso scaturisce dall'istinto di protezione e di salvezza di una vita degenerante, che cerca con tutti i mezzi di mantenersi in lotta per la sua esistenza; esso indica una parziale inibizione ed estenuazione fisiologica, contro la quale combattono incessantemente, con nuovi mezzi e invenzioni, i più profondi istinti vitali, rimasti intatti.
L'ideale ascetico è pertanto un mezzo: e, precisamente, un mezzo sorto dalla vita stessa la quale, in esso e con esso, lotta contro la morte. È insomma un accorgimento di cui la vita si serve quando, stretta in un processo irreversibile di deperimento, mira soltanto alla sua mera conservazione, ancorché ai suoi livelli minimi.
L'ideale ascetico acquisisce potenza sugli uomini, in particolare dove essi sono organizzati in comunità poiché in quest’ultima la morbosità del così detto uomo civilizzato si esprime come noia della vita e lotta fisiologica contro la propria fine.
In questo contesto l’asceta desidera di essere altro ed altrove mentre i suoi simili rimangono incatenati alla loro condizione mondana che li costringe a divenire lo strumento finalizzato alla creazione della condizione più favorevole per sostare nel mondo.
L’uomo mondano con il suo amore per la stabilità e per la sicurezza condanna a priori la mutazione vista come momento di accrescimento e l'incessante divenire della differenza nella quale la vita si manifesta.
Il maggiore trionfo dell’uomo mondano consiste nell’imprimere globalmente questo limite dell’essere che vuole togliere all’umano il valore della potenza; i mondano vogliono trasferire nella coscienza dei non partecipanti la propria finta felicità perché quest’ultimi provino vergogna della loro “salute”.
L’uomo in ascesi deve essere affine in tutto e per tutto ai malati per poterli comprendere e guarire se stesso ma anche e soprattutto deve essere padrone di sé per per padroneggiare
tale miseria; ma egli deve soprattutto controllare e veicolare quel grande odio, che ogni volta si rigenera e si accumula stando a contatto con la folla, di modo che esso non lo faccia "esplodere" e dissolvere ciò significa cambiare la direzione del risentimento.
Per tutti i risentiti l’alleviamento è lo scopo fisiologico che si concretizza attraverso la pratica dell'ideale ascetico che consiste nella disciplina all'"impersonalità", all'oblio di sé, all'"incuria sui".