I DEGNI NEMICI DELLA SOCIETA' APERTA DI KARL POPPER
Nell’opera di Karl Popper intitolata “La Società Aperta e i suoi Nemici” si sostiene che tutti i tipi di società si ripartiscono a grandi linee in due categorie principali: le "Società aperte" e le "Società non aperte", ovvero le "Società dei Nemici della Società aperta".
Secondo Popper, la "Società aperta" si basa sul ruolo centrale dell'individuo e sulle sue caratteristiche fondamentali: razionalità, discrezionalità, assenza di una teleologia globale nell'azione, ecc.
Per Aleksandr Dugin il senso della "Società aperta" consiste nel rigetto di tutte le forme di Assoluto non comparabili all'individualità e alla natura di questa. Una tale società è "aperta", continua Dugin, proprio a causa del semplice fatto che la varietà possibile di combinazione degli atomi individuali è illimitata (nonché priva di senso e di scopo); teoricamente, una società di questo genere dovrebbe essere indirizzata al conseguimento di un equilibrio dinamico ideale. Lo stesso Popper si dichiara un convinto sostenitore della "società aperta".
Il secondo tipo di società è definito da Popper come "ostile alla società aperta". Volendo prevenire le possibili obiezioni, egli non la chiama "società chiusa", ma usa frequentemente il termine "totalitaria". In ogni caso, secondo Popper, la semplice accettazione o rifiuto del concetto di "società aperta" costituisce un criterio di classificazione per qualsiasi dottrina politica, sociale o filosofica.
I nemici della "Società Aperta" sarebbero quindi coloro che propugnano ogni genere di modello teoretico fondato sull’Assoluto, invece che nel ruolo centrale dell’individuo
Popper sostiene che quand’anche l’istituzione di questo “Assoluto” avvenisse spontaneamente e per libera scelta, esso invaderebbe la sfera individuale trasformando radicalmente il suo processo evolutivo e soprattutto violando in modo coercitivo l'integrità atomistica dell'individuo che si vedrebbe sottomesso a qualche altro impulso individuale esterno; tale limitazione individuale da parte dell’Assoluto porta inevitabilmente la società a perdere il suo carattere di “apertura” e la prospettiva di un libero sviluppo in tutte le direzioni. Questo Assoluto dettando fini e compiti, stabilisce a sua volta dogmi e norme, plasmando l'individuo come lo scultore plasma il suo materiale.
Popper fa iniziare la genealogia dei nemici della "Società Aperta" con Platone, che considera il fondatore del totalitarismo in filosofia ed il padre dell' "oscurantismo". Poi, via via, fa seguire Schlegel, Schelling, Hegel, Marx, Spengler ed altri pensatori moderni, tutti accomunati, nella sua classificazione, da un indizio: l'introduzione di costrutti metafisici, etici, sociologici ed economici fondati su principi che negano la "società aperta" ed il ruolo centrale dell'individuo.
Secondo Dugin: L'elemento più importante dell'analisi di Popper è il fatto che pensatori e politici sono catalogati come "nemici della società aperta" indipendentemente dalle loro convinzioni "di destra" o "di sinistra", "reazionarie" o "progressiste". Egli pone l'accento su un altro più sostanziale e più fondamentale criterio, che accoglie da entrambi i poli ed unifica ideologie e filosofie a prima vista eterogenee e contraddittorie. Marxisti, conservatori, fascisti, persino alcuni social-democratici - tutti questi possono essere identificati come "nemici della società aperta". Al tempo stesso, liberali come Voltaire o pessimisti reazionari come Schopenhauer possono scoprirsi uniti nell'insieme degli amici della società aperta.
La formula di Popper, continua Dugin, è dunque questa: o la "società aperta" o "i suoi nemici".
La società dei nemici della società aperta poggia sulla completa e radicale negazione dell’individuo e del suo ruolo centrale, in essa l’Assoluto (nel cui nome l’individuo è negato) assume il suo senso più ampio e generale. Tale società si fonda sull’affermazione della posizione centrale dell’oggettivo al quale è conferito uno status identico a quello dell'Assoluto, indipendentemente da come sia interpretato questo carattere oggettivo.
Tale concezione potrebbe essere spiegata metafisicamente con la formula induista è Brahaman. Nella cultura vedica Atman è il Sé umano supremo, trascendente, indifferente al sé individuale, ma al tempo stesso interno a quest'ultimo, come sua parte più intima e misteriosa, sfuggente ai condizionamenti dell'immanente. L'Atman è lo Spirito interiore, ma in senso oggettivo e sovraindividuale. Brahman è la realtà assoluta, che abbraccia l'individuo dall'esterno, il carattere oggettivo esteriore elevato alla sua fonte primaria suprema. L'identità di Atman e Brahman nell'unità trascendentale è il suggello della metafisica induista e, soprattutto, il punto di partenza della realizzazione spirituale.
Per Dugin si tratterebbe quindi di un elemento comune a tutte le dottrine sacre, senza eccezione. In tutte si presenta la questione dello scopo fondamentale dell'esistenza umana, ossia del superamento di sé, dell'espansione oltre i limiti del piccolo sé individuale; la via che allontana da questo sé, interiore od esteriore, conduce al medesimo esito vittorioso. Da qui il paradosso della tradizione iniziatica, espresso nella famosa formula del Vangelo: "colui che perde la sua anima nel mio nome, costui avrà salva l'anima". Lo stesso significato è contenuto nella geniale affermazione di Nietzsche: "L'umano è ciò che deve essere superato". Il dualismo filosofico fra "soggettivo" e "oggettivo" ha influenzato lungo tutto il corso della storia la sfera più concreta delle ideologie, in seguito le specificità della politica e dell'ordinamento sociale.
Per il filosofo Gentile, la volontà dello Stato è il diritto: fuori dello Stato non esiste alcun diritto, neanche un presunto diritto naturale. Il diritto è l’attuazione della volontà dello Stato in quanto volontà dei cittadini e quindi della volontà universale. Per questo motivo lo Stato rappresenta una forma dello spirito universale che supera quella dei singoli cittadini. Soltanto all’interno dello Stato l’uomo è propriamente libero di agire secondo la volontà universale. Fuori di esso l’uomo si perde, si annulla, non possiede alcuna rilevanza, perché lontano dalla volontà universale. E su queste basi Gentile afferma anche che lo Stato è una persona morale, con fini e volontà superiori a quelli degli individui, e quindi la suprema manifestazione della vita etica: è questa la nozione di Stato etico. E le leggi (che sono attuazione della volontà universale, quindi “volontà voluta”, come il “fatto” era pensiero pensato) vengono riconosciute come limite proprio; il momento coattivo della forza (cioè quello che permette allo Stato di imporre la legge) viene interiorizzato e fatto proprio sotto forma di consenso: è in questo modo che si ha una sintesi di autorità e libertà. La condizione attuale, pur non essendo sorretta da grandi spiriti, sembra risentire della contraddizione “Campanelliana”. Il filosofo Tommaso Campanella infatti da una parte, aveva inaugurato, adempiendo il Rinascimento, il soggettivismo moderno che sarebbe stato sviluppato in itinerari diversi da Cartesio e da Locke ; dall’altra, però, egli era stato un filosofo della restaurazione cattolica, che, proprio nel periodo in cui lo Stato moderno rivendicava la sua autonomia, affrancandosi dai limiti impostigli nel Medioevo dalla Chiesa, lo subordinava di nuovo ad essa, non riconoscendogli una sua divinità, ossia una sua eticità. In Campanella, che pure era considerato da Spaventa fra i protagonisti della sua teoria della circolarità, tanto ripresa e apprezzata da Gentile, ovvero del travaso dei fermenti della cultura rinascimentale italiana nella grande filosofia europea moderna prima di ritornare nell’Ottocento nella penisola, permaneva, dunque, una grave contraddizione fra immanenza e trascendenza, fra slanci verso l’avvenire e retaggi medievali.
Nonostante la critiche di Popper a Platone vi è da dire che “La Repubblica” rimane ancora oggi una risposta alla crisi odierna.
Platone deluso dalla politica della sua polis, ossia verso quella società che aveva condannato il suo uomo più giusto, lo stato ideale auspicato dallo stesso Platone è quello in cui l’uomo giusto per trovare il suo collocamento senza essere tormentato. In Platone è ancora forte il legame con la polis considerata il punto di riferimento della vita dell’individuo, il filosofo cerca di ricreare la polis ormai in crisi dipingendola come uno stato perfetto capace di garantire la realizzazione delle virtù, dove le preoccupazioni maggiori sono, per Platone stesso, politica ed etica che non dovrebbero mai camminare separate.
Egli confuta quel relativismo sofistico tanto caro a Popper individuando nelle idee un riferimento oggettivo, sia dei valori che della conoscenza. Esistono quindi idee-valori e idee-cose. Chi conosce le idee conosce sia l’ambito ontologico che quello etico raggiungendo sapienza e saggezza. I filosofi hanno il compito di guidare lo stato perché conoscono la virtù; le idee si conoscono tramite l’innatismo e la metempsicosi, tuttavia non tutti possono conoscere tutte le idee, perché tale conoscenza preclude ciò che la purificazione.
Il mistico indiano Yogananda ha spiegato assai bene questo concetto di purificazione scrivendo:
La vita dell’induista è rivolta a quattro scopi: osservare le leggi universali divine, dharma; pensare al benessere proprio e della società, artha; soddisfare in modo lecito e secondo il dharma i propri desideri,kama; ed infine la liberazione o la salvezza, moksha. Persino nel perseguire questi quattro scopi vi è una progressiva purificazione. I primi tre sono rivolti all’uomo coinvolto nel mondo che dovrà osservare attentamente il dharma nell’adempiere i propri doveri e le proprie responsabilità: è la via dell’azione, la via che insegna a compiere l’azione disinteressata, a sviluppare quella rinuncia ai propri egoismi, ad allargare il senso dell’io all’umanità intera. Questa sadhana inizia dall’infanzia, quando, i genitori prima, ed i maestri poi, iniziano il bambino all’ordine universale. Le stesse preghiere lo abituano alla contemplazione del cosmo, gli fanno aprire la mente al valore dei principi universali. L’idea dell’armonia del tutto assorbe quella della sua individualità e, come si dissolve la neve al sole, così si dissolve il suo egoismo nella vita universale. Egli impara a riconoscere il mutuo scambio della vita, impara ad usare ciò che ha; sapendo che nulla gli appartiene, ma che riceve in uso da Dio tutto, compresa la sua vita stessa.