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Massimo Mannarelli

L'ANARCOCAPITALISMO. IL VIZIETTO LIBERISTA.

Il professore Pierre Lemieux (dell’Università del Québec in Canada) nel suo libro "Du libéralisme à l’anarcho-capitalisme" (1984) scrive: «contrariamente a ciò che si pensa comunemente, esiste un’altra tradizione anarchica, che non è socialista, ma che è individualista e liberale. Essa è stata lanciata nel secolo XVIII e XIX da alcuni teorici quali William Godwin, Benjamin Tucker, Auberon Herbert, Lysander Spooner ed altri ancora. Questo anarchismo liberal/capitalista o di “destra” sostiene che gli interessi “egoistici” o “individuali” degli uomini sono armonici solo quando vengono esercitati nella piena libertà e non tramite la coercizione statale o socialista. Quindi occorre rimpiazzare lo Stato con l’estrema libertà di scambio e di contratto. Dunque il vero anarchismo è quello liberal/capitalista e non quello social/comunista»; se per Aristotele e San Tommaso l’uomo è un “animale sociale/zoon politikòn”, per gli anarco-capitalisti egli è un “animale libero/mercante o libero/scambista”.

Lemieux, inoltre, mette bene a fuoco l’elemento soggettivista e cartesiano del liberalismo: “La spiegazione della società richiede un approccio soggettivista, Hayek pensava che le azioni umane sono quelle che gli uomini pensano che siano e non ciò che sono oggettivamente in realtà, come ritenevano i metafisici. Così deve essere dell’economia, la sua fecondità dipende da un approccio soggettivista a questa materia: il libero mercato è regolato dalle idee soggettive che gli uomini si fanno delle cose e del loro prezzo, che varia col variare delle opinioni umane” (Du libéralisme…, cit., p. 51).

Quindi non è l’ordine e l’ordinatore o l’intelligenza ordinatrice a generare la libertà, ma è la libertà a generare l’ordine. Hayek – alla scuola di David Hume, John Locke, Adam Smith ed Edmund Burke – è forse il maggior rappresentante di questa corrente che Pierre Lemieux definisce “società auto-regolatrice” (Du libéralisme…, cit., p. 55), ossia di un “ordine sociale spontaneo o auto-regolatore e non regolato o ordinato” (ibid., p. 57).

La nascita dell'anarco-capitalismo viene di solito ricondotta all'acutizzarsi delle tensioni che caratterizzarono gli orientamenti interni alla cosiddetta "Old Right" statunitense costituitasi tra le due guerre mondiali in reazione al New Deal di Franklin Roosevelt, considerato espressione di dirigismo e di una crescente espansione del potere pubblico. Dalla crisi della coalizione intellettuale repubblicana emerge un movimento di idee volto a radicalizzare il liberalismo di marca jeffersoniana, il quale adotta, per distinguersi e caratterizzarsi, la definizione di libertarianism. Questo fenomeno non è solamente partitico, anche se presto si accompagna negli Stati Uniti alla fondazione del Libertarian Party (Partito Libertario).

Il principale riferimento intellettuale per l'anarco-capitalismo è l'opera dell'economista e filosofo della politica Murray Rothbard (1926 - 1995). Apparsa sulla scena americana nel corso degli anni sessanta, questa teoria politica propone l'instaurazione di una società priva di tassazione dove ogni servizio venga offerto dai privati tramite spesa volontaria e nella quale sia eliminato ogni ricorso alla coercizione dello Stato, ritenuto intrinsecamente autoritario.

Per gli anarco-libertariani, il libero mercato rimpiazza lo Stato, anche lo Stato ‘minimo’ di Nozick; quest’ultimo in “Anarchy, State and Utopia” radicalizza la teoria dello Stato “guardia-notturna” dei liberali classici del XIX secolo teorizzando lo “Stato minimo” o la “mini-archia” e critica la democrazia come un falso liberalismo, che rende l’individuo schiavo della maggioranza, ossia della massa. Infatti, mentre il liberalismo significa la libertà di tutti e di ciascuno, la democrazia non è la libertà del popolo, ma è il potere della massa sull’individuo, di tutti su ciascuno; invece la vera libertà è quella dell’Individuo assoluto (“absolutus/sciolto”) da ogni ente e da ogni legge (Dio e la morale naturale oggettiva) e anche dalla maggioranza.

Augusto Del Noce studioso del razionalismo cartesiano e del pensiero moderno (Hegel, Marx), analizzò le radici filosofiche e teologiche della crisi della modernità, ricostruendo con cura le contraddizioni interne dell'immanentismo. Del Noce fiero antifascista e critico nei confronti del Socialismo Reale aveva intuito tuttavia che dopo il crollo del comunismo sovietico, il grande pericolo per l’umanità sarebbe stato quello della società liberal/tecnocratica, consumistica, libertina e libertaria. Egli, in “Cristianità e laicità” (1998), parlava di “un totalitarismo di nuova natura, assai più aggiornato e più capace di dominio assoluto di quel che i modelli passati, Stalin e Hitler inclusi, non fossero. Il super-partito tecnocratico” insieme al pan-tecnicismo “nell’agnosticismo di matrice empirista britannica” sarebbero le cause dell’irreligiosità del mondo attuale.

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