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di Sibilla Vecchiarino

LA DIVINA COMMEDIA: UN TESTO INIZIATICO-ALCHEMICO?


La Divina Commedia è un testo iniziatico-alchemico?

“ O Voi che avete gl’intelletti sani

mirate la dottrina che s’ asconde

sotto il velame delli versi strani ”

Così si rivolge Dante al suo uditorio privilegiato capace di comprendere un insegnamento che si nasconde sotto il velo dei suoi versi, una dottrina che non è per tutti, ma solo per gli iniziati, per coloro che, appunto, hanno “gli intelletti sani”.

Una medaglia conservata a Vienna recante l’immagine di Dante e la scritta F.S.K.I.P.F.T. è stata interpretata come “Fidei Sanctae Kadosh Imperialis Principatus Frater Templarius” e vista come la verifica storica dell’appartenenza del poeta all’ordine dei Fedeli d’Amore, o Fede Santa, associato a quello dei Templari, ma la sua opera parla da sola e indica il cammino della trasmutazione dell’essere umano che la Divina Commedia illustra.

Dante compie il suo viaggio durante la settimana santa, all’equinozio di primavera, tempo di rinascita: il futuro iniziato si trova in una selva oscura avendo smarrito la retta via e viene spinto a volgere gli occhi in alto, verso la montagna. Tre bestie tuttavia gli sbarrano la strada allorché si accinge ad affrontare la dura salita: esse rappresentano la natura bestiale dell’uomo (i primi 3 chakra, forse) da purificare e trasmutare in un cambiamento radicale di coscienza, una morte iniziatica che si sostanzia nell’abbandono dell’immedesimazione nell’ego.

Prima di salire, Dante deve, però, scendere fino agli inferi interiori, nelle regioni oscure dell’inconscio perché l’uomo deve svelare i suoi meandri più oscuri per permettere alla luce della coscienza di dissolvere le proprie tenebre, proprio come suggeriscono gli ermetisti: “Visita Interiora Tua (o Terrae), Rectificando Inveniens Occultum Lapidem”.

L’Inferno

Nel susseguirsi di personaggi che popolano l’inferno, Dante passa in rassegna le oscure tendenze dell’anima umana, quelle che le impediscono di volare, che lo rendono dualistico e privo d’integrità. L’uomo è chiamato ad osservare “senza giudizio e senza aspettativa” ogni moto della sua anima, traendone il messaggio e davanti alla sua coscienza sfilano tutte le potenzialità inespresse e represse, tutti gli stati d’esistenza del proprio animo proiettati sull’intero creato.

Come negli antichi misteri, una guida accompagna il candidato: per Dante è Virgilio che già aveva offerto a Enea il ramo d’oro di Eleusi, a simbolo di resurrezione e immortalità, perpetuato nel cristianesimo nella palma della domenica che precede Pasqua, e in massoneria nell’acacia. La guida rappresenta la coscienza dell’uomo dialettico, la ridestata consapevolezza della necessità di raddrizzare le vie del Signore, come diceva il Battista, di compiere un processo di morte e rinascita, per recuperare una condizione divina che spetta per diritto ereditario e di cui il candidato ai misteri avverte una grande nostalgia che lo porta alla ricerca. In una serie incessante di prese di coscienza, attraverso l’analisi della natura umana, Dante realizza l’opera al nero, la nigredo (uno degli stati della materia, ossia quello in cui si disgrega).

La vicenda dantesca ricorda molto da vicino lo stato "depressivo" di Arjuna personaggio centrale del MAHABARATA (e della Baghavagita in particolare). Anche Arjuna , come Dante, è accompagnato nel suo viaggio iniziatico da un mentòre , Krisna.

Nelle profondità del suo abisso interiore, lo attende Lucifero, la sorgente energetica dell’ego che, come il minotauro nel labirinto, deve essere affrontato dall’eroe solare che diviene consapevole di essere dominato da forze che lo governano, plasmando la sua fallace personalità in cui si immedesima, ma che lo separa dal vero sè. Dante, nel profondo del suo inferno, incontra Lucifero a tre facce: una nera , una bianca e una rossa, i colori dell’alchimia (o anche i tre Guna, i componenti di tutta la materia visibile e invisibile), perché anche le energie luciferine si convertiranno con il compimento della Grande Opera: “… conviene che di fortezza t’armi”, gli consiglia Virgilio mentre Dite-Lucifero, con le sue ali tutto ghiaccia, perché tale è la sua azione cristallizzante e Dante così descrive la sua morte iniziatica: “… io non morì, e non rimasi vivo”.

Dante qui entra in uno stato intenso di Yoga Nidra ( stato di coscienza profonda ).

Ormai le energie luciferine sono domate, Virgilio e il poeta si aggrappano a Lucifero per uscire dall’inferno, vale a dire che la stessa natura dialettica, vinta dalle energie divine, diviene lo strumento per riscattare l’uomo (il logos… salva l’uomo). Non a caso Dante, volgendo lo sguardo indietro, vede Lucifero capovolto, evidente simbolo della conversione che avviene quando nel bacino dell’iniziato (raggiunto dalla luce entrata nel suo sistema attraverso il cuore) Cristo e Lucifero domato risalgono lungo il canale del serpente, lungo la spina dorsale (kundalini). L’inferno finisce con il verso “… e quindi uscimmo a riveder le stele”, la stella che appare nell’athanor alchemico dopo il fetore della sostanza sotto l’effetto del fuoco che la sollecita. Nel purgatorio si conclude la scalata attraverso i " lati ombra " (tamasici) dei chakra o cieli interiori dell'anima .

Dante si avvia verso i "lati rajasici" o passionali nel Purgatorio brucerà e illuminerà .

Purgatorio

“ Per correr migliori acque alza le vele

ormai la navicella del mio ingegno,

che lascia dietro a sè mar sì crudele;

e canterò di quel secondo regno

dove l’umano spirito si purga

e di salire al cielo diventa degno”.

Inizia così il Purgatorio, la fase alchemica dell’albedo (fase durante la quale la materia durante la quale la sostanza si purifica). Con Casella, Dante vede quanto leghi la stessa bellezza della terra, con Manfredi scopre l’effetto dei rancori, con Jacopo del Cassero constata come i ricordi possano pietrificare l’anima, con Bordello è la polemica politica a legare. Insomma con i personaggi mano a mano incontrati, Dante scorge i suoi legami interiori da sciogliere per aspirare alla libertà.

All’ingresso, un angelo su tre gradini, ancora una volta con i tre colori dell’opera alchemica (rosso, bianco e nero), lo segna sulla fronte come i salvati dal Signore di biblica memoria: sette “P” (quanti sono i chakra) sono tracciate sulla sua fronte, i sette peccati capitali, i sette ostacoli sul processo di purificazione per raggiungere l’apertura del terzo occhio. Solo con il passaggio per le sette cornici – come i sette gradini dei misteri mitriaci e massonici – Dante può essere idoneo agli stati superiori dell’essere, alla trasformazione più radicale che lo porterà dal piombo all’argento e quindi all’oro. Nel ricevere i doni delle sette forze dello Spirito, superando le prove a esse connesse, Dante purifica il suo essere e il suo fardello si alleggerisce preparandosi a una frequenza vibratoria superiore. La scala a sette gradini suggerisce altrettanti livelli d’iniziazione: la guida è ancora Virgilio, perché il suo strumento più elevato è la mente illuminata che lo induce a neutralizzare i legami con il mondo, senza reprimerli, vigilando, osservandoli obiettivamente, come Dante appunto fa con i personaggi che incontra.

Sotto la guida di Virgilio (Manas superiore) Dante effettua lo "Svadhyaya", lo studio del sè (parte del kriya yoga, lo yoga della purificazione).

Staccarsi dalle abitudini del sangue, dai pregiudizi, dal sentimentalismo oscurante, costituisce la base per quella trasformazione fondamentale che porta l’iniziato a liberare la vera facoltà del pensiero che è trovare il proprio vero sé, parte del divino.

Quando non vi è purificazione e non viene compiuto il giusto procedimento alchemico, si rischia di divenire maghi luciferini che hanno acquisito poteri ( Siddhi ) per accrescere il proprio ego e non per eseguire la volontà di Dio.

Il processo continua il suo sviluppo sotto l’effetto di Tapas, la volontà e la pratica, altra parte del Kriya Yoga). Con il supremo sforzo di volontà, spinto dal desiderio del divino, Dante realizza l’albedo, l’opera al bianco: “Non aspettar mio dir più nè mio cenno: libero, dritto e sano è il tuo arbitrio, e fallo fora non fare a suo senno: per ch’io te sovra te corono e mitrio”. La creatura già in balia del karma e di autorità esteriori, diviene rex pontifex, Cavaliere Kadosh che riunisce in sé corona e mitra, potere temporale e spirituale, per cui è libero e finalmente responsabile, capace di ascoltare la saggezza che può acquisire solo l’anima, non più condizionata dai legami della materia, grazie alla luce divina che non incontra più ostacoli nell’inondare l’intero essere trasformato. Ora Dante incontra Beatrice (Shakti Cosmica, Kundalini, Coscienza Suprema ), di cui darà la definizione nel VII canto del Paradiso: “… il santo rivo ch’esce da fonte onde ogni Ver deriva”. È la Gnosi, l’intelligenza dei trovatori, la donna, la sapienza divina, la luce di Dio, la Grazia. Il viaggio per il Purgatorio è concluso e l’iniziato è “…rifatto sì come piante novelle rinnovellate di novella fronda, puro e disposto a salir alle stelle”. “Novelle, rinnovellate, novella”, una triplice esaltata sottolineatura dell’Uomo Nuovo che è nato dalla vecchia natura.

“Nel ciel che più della sua luce prende fu’ io…”, qui Dante si sente trascendere i limiti della condizione umana e s’innalza attraverso la sfera del fuoco. L’iniziato oltrepassa la natura umana, è rinato nella luce nella quale fissa lo sguardo: la trasfigurazione è compiuta e, non a caso, il poeta passa nel cielo della luna, simbolo alchemico della fase al bianco.

In questo passaggio l’iniziato richiama l’attenzione di chi è in grado di comprendere il suo discorso :

“O voi che siete in piccioletta barca, desiderosi di ascoltar, seguìti

dietro al mio legno che cantando varca,

tornate a riveder li vostri liti:

non vi mettete in pelago, chè, forse,

perdendo me, rimarreste smarriti”.

Paradiso

L’esperienza del Paradiso è per pochi ed è necessariamente coperta dal segreto iniziatico, essendo del tutto straordinaria. Inizia la fase culminante dell’opera alchemica: la rubedo (lo stadio in cui tutto si ricompone.. ci ricorda anche la trimurti indiana, Brahma, Vishnu e Shiva ma all’inverso). Dante rivolge la sua preghiera al dio sole Apollo (Surya) e, perennemente accompagnato dalla Luce divina, dalla Saggezza, da Beatrice, attraversa le sfere celesti corrispondenti a Mercurio (Vishuddi chakra ), Venere ( Svadisthana chakra ) , Marte (Manipura chakra ), Giove (Ajina chakra ), Saturno ( Sahasrara chakra), alle stelle fisse, all’Empireo, viaggiatore tra mondi e dimensioni. Di sfera in sfera Dante passa in un processo di esaltazione ed estasi (Samadhi) che spesso si esprime con momentanee cecità, con il sonno ( Nidra ) o con svenimenti, nel tentativo di spiegare a parole la trasformazione della coscienza (Citta) sotto l’effetto del fuoco divino.

Dal nuovo Mercurio nasce la capacità di cogliere il piano divino, di acquisire la conoscenza che è sapienza e saggezza. Dalla nuova Venere nasce la capacità d’indirizzare l’amore verso l’esterno, al servizio di Dio e del creato. Dal nuovo Marte nasce la volontà, riflesso di quella divina. Dal nuovo Giove nasce il sacerdozio, l’essere strumenti della luce realizzando la Giustizia secondo la volontà di Dio. Il cielo di Saturno, degli spiriti contemplanti, esprime l’ingresso in una nuova dimensione, lì ove le forze cristallizzanti del vecchio Saturno non hanno accesso, si manifesta l’Uomo divino accolto da una scala d’oro, un ampio passaggio verso il compimento dell’opera. Nell’ottavo cielo delle stelle fisse, l’Uomo Nuovo appare in tutto il suo splendore, tanto che a Dante appare la Luce del Cristo: il sorriso di Beatrice, la forza irradiante della Gnosi diviene tale che Dante sviene, la sua coscienza non è più umana. Segue la visione della Vergine, dell’anima nuova di natura divina, è l’anima mundi degli alchimisti che genera l’essere divino e che è generata dalla personalità trasmutata nel procedimento alchemico. Il processo continua e, negli occhi di Beatrice, Dante scorge un punto luminosissimo: Dio circondato da nove cori angelici e oltre l’empireo, il cui splendore acceca: è il momento conclusivo della rubedo, la visione del Paradiso dove, nel fiume di acqua viva, appare la candida Rosa della più pura tradizione esoterica, il simbolo per eccellenza del divino, la meta agognata da ogni cercatore della Verità, cantata dai trovatori e cercata dai cavalieri, come il loto dell’oriente, espressione di una fioritura che, con lo stelo, attraversa le acque del divenire, per aprire i suoi petali alla luce del Sole. La rosa è fiorita lì dove i due bracci della croce umana si uniscono nell’unità. Beatrice lascia Dante accolto da S. Bernardo, colui che ha dato la regola all’ordine dei Templari, la coscienza divina che ormai guida l’iniziato e che gli consente di “ficcar lo viso per la luce etterna”, dove il lungo viaggio attraverso il molteplice si conclude con il ritorno all’unità: “nel suo profondo vidi che s’interna, ciò che per l’universo si squaterna”.

La natura umana, mortale e fallace si è trasformata nell’oro splendente del corpo di gloria della resurrezione! L’uomo ha riconosciuto il proprio vero sé abbandonando tutti i veli di Maya.

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