TOBIA FOA' E LA STAMPERIA EBRAICA A SABBIONETA
Sabbioneta è ancora uno dei più interessanti esempi di città rinascimentale presenti nel nostro paese. Denominata la “Piccola Atene” visse il suo momento di massimo splendore sotto il regno del principe Vespasiano Gonzaga (1531-1591). Agli ebrei che vivevano nella città dal 1436, per lo più banchieri, se ne aggiunsero molti altri, tra cui i tipografi Tobia Foà e Salomone Forti, i quali contribuirono con le loro famiglie alla straordinaria produzione tipografica ebraica del mantovano. Tale prestigio è ancor oggi testimoniato da alcuni particolari che si possono ammirare visitando la città. L’odierna via della Stamperia (già via Fabio Filzi), ad esempio, è dedicata proprio ai tipografi sopra menzionati.
Successivamente, a causa del decadimento della cittadina, la cui fortuna era evidentemente legata alla figura di Vespasiano, molti ebrei se ne andarono, tanto che nel 1773 il gruppo contava appena 63 persone.
Fra le figure dell’ebraismo “sabbionetano” vogliamo ricordare in questo articolo quella di Tobia Foà. Per realizzare questo scritto ci si é avvalsi dei contributi forniti da V.Colorni, E.M.Ferrari, E.Agosta del Forte, A.Sacerdoti, A.M.Tedeschi Falco E.Rangognini e R.Barbisotti.
Tobia Foà era uno dei più ricchi e potenti ebrei di Sabbioneta "che gli ebrei nelle loro edizioni qualificavano, ed onoravano col titolo di Akatzìn, e di Anadìv, di principe e di grande signore. Favorì ed accolse in propria casa la stampa, come trentaquattr'anni prima fatto in Venezia il celebre “Bombergo". Come scrive Giambernardo De Rossi, nel 1780, il fondatore della tipografia ebraica di Sabbioneta che dal 1551 al 1559 stampò opere talmente originali e tipograficamente curate da poter essere sicuramente annoverate tra le migliori in lingua ebraica nel XVI secolo. Molto è stato scritto per magnificare la tipografia sabbionetana del Foà come importante istituzione della nuova Città fondata da Vespasiano Gonzaga. Come per molte cose sabbionetane va ridimensionato il contesto e tralasciata la leggenda. In primo luogo, per gli anni in cui operò, l'ubicazione della stamperia del Foà va ricercata nell'antico borgo medievale che sorgeva attorno al Castello ed è forse significativo che la sua attività sia terminata proprio quando ebbe inizio la costruzione della nuova Sabbioneta. In secondo luogo l'esiguità del nucleo ebraico sabbionetano e la mancanza di una tradizione tipografica precedente escludono l'ipotesi di un'esigenza sorta per precisi bisogni culturali. Nemmeno l'esistenza in quegli anni di particolari esigenze amministrative legate ad importanti attività commerciali o di governo e nemmeno l'esistenza di tribunali o scuole (esigenze che iniziarono ad esistere solo dopo il 1562) giustificavano l'apertura di una tipografia. Viene quindi spontaneo pensare che a Sabbioneta, come in altri centri italiani in quel periodo, la stamperia ebraica sia sorta solo e semplicemente come conseguenza della grande domanda di libri ebraici che non poteva essere soddisfatta da Venezia, il maggiore centro tipografico italiano. E' noto, infatti, che dal 1553 sino al 1563 la stampa di testi ebraici a Venezia venne quasi totalmente interrotta a causa della lite intercorsa nel 1550 tra i due maggiori stampatori ebraici veneziani: Marc'Antonio Giustiniani ed Alvise Bragadini. A Sabbioneta Tobia Foà non fu uno stampatore (e talvolta nemmeno l'editore), ma solo socio-finanziatore di un'impresa commerciale formata inizialmente con il padovano Giuseppe Shalit Tedesco su testi forniti dal pesarese Aronne Chaviv. Il Tedesco fu l'autore della prefazione al primo libro stampato nel 1551 a Sabbioneta, ossia il “Commento al Deuteronomio” di Isaac Abravanel e della prefazione al “Chazùt Kashè (Visione dura)” di Isaac Arama, stampato nel 1552, oltre che correttore dei Pirkè Avot (Capitoli dei padri)” col Commento Lechem Jehudà (Pane di Giuda) stampato nel 1554. Lo Shalit Tedesco si trasferì poi a Mantova dove tra il 1556 ed il 1558 stampò in proprio cinque libri ebraici. Inizialmente la società del Foà si avvalse dell'opera dello stampatore Giacobbe Coèn di Gazzuolo che poi passò a Mantova dove, tra il 1556 ed il 1563, in società con Meir lo Scriba, stampò circa 30 opere ebraiche di pregio. Tra il personale della tipografia v'erano anche due cristiani svizzeri assunti a Venezia, tali Gaspare Griffi e Rodolfo di Zurigo. Quest'ultimo conosceva il latino, il greco e l'ebraico. Molte delle edizioni stampate nella casa del Foà riportano nel frontespizio una ricca cornice silografica dove, racchiuso da una ghirlanda, talvolta compae il marchio tipografico del Foà: una palma fiorita accostata da due leoni rampanti affrontati che sostengono una Stella di David; nel campo tre lettere iniziali che significano "Tobia Foà Ichudì" (ebreo) ed il motto "Il giusto come la palma fiorirà". Nel 1552 e fino al 1554 subentrò nella direzione della stamperia il famoso Cornelio Israel Adel-Kind della famiglia Levi che con le opere stampate a Venezia s'era acquistato la fama di uno dei più valenti stampatori ebraici del momento. Sotto la direzione dell'Adel-Kind, nel 1553 e 1554, vennero stampate quelle che sono ritenute le migliori opere uscite dai torchi sabbionetani. Nel 1554, ad esempio, uscì il “Compendio Talmudico” detto l'Alfassì in tre volumi in foglio di straordinaria bellezza tipografica, con la prefazione del dotto ritualista piemontese Joshua Boaz de Benedetti. L'Adel-Kind verrà allontanato da Sabbioneta proprio dal Foà a motivo della sua conversione al cristianesimo e sostituito dai figli dello stesso Foà, Eliezer e Mordechai con l'intervento di vari stampatori specializzati assunti a contratto per ogni opera. E' il caso, per esempio, di Vincenzo Conti che già operava a Cremona con una propria stamperia e che stampò in Sabbioneta nel 1556, per il Foà, il “Sefer minhaghim”, o Libro dei riti, di Jacob Levita Moellim, quel Maharil che lo stesso Conti ristamperà poi in Cremona nel 1558 e nel 1565. Nel 1558, in uno degli ultimi libri stampati nella casa del Foà, il Cantico dei Cantici, troviamo come editore Raffaele Treves, rabbino di Sabbioneta, lo stesso che nel 1553 aveva firmato una poesia ebraica pubblicata a tergo del frontespizio del Morè nevuchim (Guida degli smarriti). L'attività della stamperia si arrestò bruscamente nel 1559, dopo la pubblicazione accertata di almeno 24 libri. Probabilmente l'impresa si esaurì per la morte dello stesso Foà, ma non va trascurata la circostanza che proprio in quell'anno vennero pubblicamente bruciati i Talmud a Cremona, nella cui diocesi era ed é ancora compresa Sabbioneta. L'ultimo libro che era in lavorazione nella stamperia, i Commentari di Ovadià da Bertinoro, fu poi terminato a Mantova, ma anche il Conti, nel 1560, pubblicò a Cremona un libro iniziato nella casa del Foà sin dal 1557, il Machazor, Compendio di preghiere ebraiche di rito tedesco con Commento. Alcuni studiosi indicano ancora due opere come uscite dai torchi del Foà anche negli anni 1589 e 1590, ma sussistono fortissimi dubbi sia sulla veridicità delle date sia sulla possibilità che in quegli anni abbia potuto materialmente operare una tipografia ebraica in Sabbioneta e, soprattutto, che Tobia Foà, già indicato come "vecchio" trent'anni prima potesse continuare in quegli anni la sua impresa. I bei caratteri ebraici della stamperia del Foà finirono a Venezia, alla Bragadina, come dimostra una piccola Bibbia, colà pubblicata nel 1615-16, che nel frontespizio riporta di essere stata stampata "beodjoth", coi caratteri, di Sabbioneta.