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Massimo Mannarelli e Sibilla Vecchiarino

ANANDA MOY MA. BREVI CONSIDERAZIONI SULL’HATHAYOGA


Il significato di Hatha è fare qualcosa forzatamente. Tuttavia “Essere” è una cosa e “fare” è completamente altra cosa.

Quando c’è “essere” c’è una manifestazione del prana in un particolare centro del corpo. D’altra parte se uno pratica l’Hathayoga semplicemente come un esercizio fisico, la mente non sarà minimamente trasformata. Con lo sviluppo fisico si sviluppa la buona salute del corpo a tal punto che si sente molto spesso parlare di casi in cui l’abbandono della pratica delle posizioni yogiche e simili causa disordini fisici. Come il corpo s’indebolisce a causa del nutrimento inadeguato, così la mente ha bisogno del cibo adatto. Quando la mente riceve il giusto sostentamento, l’uomo si muove verso Dio; mentre provvedendo al solo nutrimento del corpo, egli aumenta solo il proprio attaccamento al mondo. La mera ginnastica è nutrimento solo per il corpo.

Ora per quanto riguarda il “fare”: lo sforzo termina nell’essere senza sforzo; in altre parole, ciò che è stato ottenuto con la pratica costante viene finalmente trasceso. Quindi viene la spontaneità. L’utilità dell’hathayoga non può essere compresa finché questo non accade. Quando l’idoneità fisica risultante dall’hathayoga è usata come coadiuvante nello sforzo spirituale, esso non è sprecato. Altrimenti non è yoga ma bhoga (godimento). Il sentiero per l’infinito sta nell’essere senza sforzo. Finché l’hathayoga non mira all’Eterno, non è nient’altro che ginnastica. Se nel corso normale della pratica non si avverte il Suo contatto, lo yoga è stato infruttuoso.

Come dice anche Patanjali (l’autore degli Yoga Sutra)

2.46 la posizione ( ASANA ) deve essere stabile ( STHIRA ) e confortevole ( SUKHA ).

La posizione (asana) assunta dal praticante deve essere stabile, ossia immobile, e confortevole. La parola usata da Patanjali per esprimere questo secondo requisito è 'sukha', termine che indica una condizione di benessere o addirittura di felicità. E' escluso quindi che l'assunzione di una posizione possa provocare sofferenza o anche solo disagio. Se ciò dovesse verificarsi - nonostante la correttezza dell'esecuzione -significherebbe che il praticante non è ancora pronto per assumere la posizione stabilmente. Perciò si può ben dire che asana sia la conquista dell'immobilità in una condizione di benessere.

2.47 E ciò è assicurato quando si allenta lo sforzo per mantenere la posizione e quando la mente riflette la condizione dell’infinito.

Questo sutra completa il concetto esposto nel precedente: la stabilità della posizione si ottiene allentando lo sforzo, respirando con regolarità, rilassando i muscoli. Si instaurano naturalmente stabilità (STHIRA) e confortevolezza (SUKHA), i due requisiti essenziali di ogni asana. Allo stesso risultato tende la concentrazione della mente sull'infinito (ananta samapatti). La parola “ananta” ha, in effetti, un doppio significato. Da un lato è il nome del mitico serpente sesa che sostiene la madre Terra con le sue innumerevoli spire: si può dire che, in quanto a stabilità, non esiste immagine mentale più efficace di questa. Contemporaneamente significa anche "senza fine" : meditando sull'infinito, simbolizzato dalle innumerevoli spire del serpente, la mente è portata all'interiorizzazione e alla calma, condizioni che si riflettono nella compostezza (STHIRA) e nella tranquillità (SUKHA) della posizione del corpo.

Ma tornando ad Ananda Moy Ma.In ogni nostra azione persiste sempre il senso dell’io (aham), ma se quest’ultimo è rivolto verso l’Eterno, intento all’unione con Lui allora l’azione stessa si distingue dall’ego (ahamkara) causa di impedimenti ed ostacoli.

L’hathayoga o qualsiasi alto yoga può essere dannoso solo se manca la pura aspirazione spirituale. Quando eseguite degli asana e simili, se trovate accesso al ritmo della natura vedrete che ogni cosa procede dolcemente e spontaneamente. I segni per riconoscere tutto ciò corrispondono ad una delizia profonda e nel ricordo costante di Dio.

Quanto qui riferito è quello che può rivelarsi solo spontaneamente “da se stesso”. Ecco perché c’è il ricordo costante dell’Uno: la vera natura dell’uomo scorre unicamente verso Dio. Quando comincia il movimento della vostra vera natura , poiché esso è diretto esclusivamente verso Dio, allora si scioglieranno i nodi del cuore. Se durante la meditazione trovate che degli asana perfettamente corretti si formano da soli, o che la colonna spinale diviene spontaneamente eretta, allora sappiate che la corrente del vostro prana è volta verso l’Eterno.

Così facendo si impara ad agire per amore dell’azione , impegnandosi nel karmayoga, finché rimane nascosto un desiderio di distinguersi è karmabhoga (agire per la propria soddisfazione). Uno fa l’azione e ne gode per il frutto e il senso di prestigio che procura. Mentre rinunciando al frutto, l’azione diviene karmayoga.

Servendo con la coscienza di servire l’Essere supremo in ognuno. Il desiderio di realizzare Dio non è ovviamente un desiderio in senso comune: “Io sono il tuo strumento, degnaTi di agire attraverso questo Tuo strumento”, considerando ogni manifestazione come l’Essere supremo si perviene alla comunione che conduce alla liberazione. Quale che sia il lavoro intrapreso, sia fatto con tutto il proprio essere e nello spirito di “Tu solo lavori” cosicché non ci sia la possibilità che vi si insinuino l’afflizione, l’angoscia o il dolore.

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