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Massimo Mannarelli

IL VAGABONDAGGIO FENOMENICO NEL PESSIMISMO DI GIOVANNI VERGA


Camminiamo nell’immensa corrente dell’attività umana; siamo esseri in movimento nei quali la presunta certezza della stabilità non priva della naturale assenza di staticità. I pensieri sono una corrente il cui flusso è ininterrotto e attraverso cui, spesso, ci spingiamo a ricercare quella saldezza che coltiviamo con tutte le forze nell’illusione della stabilità dinnanzi al timore della morte.

Perché per quanto ci si creda distaccati la consapevolezza della transitorietà dell’esistenza, l’avvertimento continuo del tempo che passa, finisce per essere comunque angosciante.

Nella novella "Vagabondaggio" di Giovanni Verga, scritta nel 1887, troviamo il riferimento all'acqua del fiume, "che se ne andava al mare, ma lì pareva sempre la medesima, fra le due ripe sgretolate".

Francesco Giuliani fa notare che per lo scrittore siciliano: “La vita è un movimento negativo e spesso, nelle pagine del Verga, risuona l’"optimum non nasci" degli antichi, posto non a caso sulla bocca del più disilluso e consapevole eroe verghiano, Rosso Malpelo: "E se non fosse mai nato sarebbe stato meglio". Così si esprime il celebre personaggio a proposito dell'asino grigio, che, da morto, "se ne ride dei colpi e delle guidalesche con quella bocca spolpata e tutta denti"”.

Per l’autore catanese tutti gli uomini sono dei vinti e ogni realtà umana è transitoria; il vagabondaggio verghiano, spiega bene il Giuliani, diviene quindi per l’uomo, un cammino irrefrenabile e fatale, dalla durata e dalle vicissitudini imprevedibili, privo di senso in sé; la vita non è un passaggio, nel senso cristiano, ma un movimento subdolo, di cui gli uomini acquistano piena e reale consapevolezza solo nei momenti cruciali dell'esistenza, per una sorta di autoinganno o autodifesa della specie. Il vagabondaggio si identifica con l’esistenza stessa, in un universo in perenne mutamento. Ma esso mostra all'uomo comunemente il suo solo volto fenomenico, e quindi parziale e sfumato, che costringe gli esseri viventi ad un intenso, frenetico movimento, di qua e di là, lungo le vie del mondo, o ad una continua, estenuante iterazione.

Il vagabondaggio fenomenico “verghiano”, spiega ancora il Giuliani, è quello che tormenta con più evidenza gli uomini, ma è anche quello che fa nascere l'illusione della stasi talvolta agiata, della perfetta permanenza che spesso identifichiamo in quella sorta di “nido” rappresentato dalla famiglia.

Giuliani scrive: “Per opporsi al vagabondaggio fenomenico, al movimento che ha un inizio e una fine, e per eludere, fino a quanto è possibile, il confronto con il vagabondaggio nella sua completezza, lo scorrere inesorabile della vita fino alla sua imperscrutabile fine, l'uomo avverte fortemente il bisogno di ancorare la propria esistenza. Il vagabondaggio fenomenico è un momento in sé negativo, che però aumenta la consapevolezza e l'esperienza dell'uomo, utili, in ogni caso, solo se riescono a portare ad un miglioramento della sua esistenza, altrimenti si risolvono in un mero aumento di pena. Essa (non capisco a cosa si riferisce essa) rappresenta una salda forma di difesa reciproca, che trova nella casa, vero ombelico del mondo, la sua materializzazione. Tutto si muove e finisce, ma l'amore familiare può fornire la salutare illusione della stabilità. "Ora sono proprio solo al mondo come un puledro smarrito, che se lo possono mangiare i lupi!", esclama Jeli, e i drammi dei personaggi verghiani spesso precipitano con la perdita di uno o di entrambi i genitori.

Giuliani afferma che il Verga ci spinge a trovare un nuovo centro e non importa se mangiando “pane nero”.

Raccolta dopo raccolta, spiega il Giuliani, la famiglia appare sempre più debole, il nuovo fa la sua comparsa e il vagabondaggio si afferma sempre più, ai danni proprio della famiglia e dei suoi primitivi ideali, ma, per quanto spogliata di “religiosità”, la sua fondamentale funzione non verrà mai del tutto meno.

Forse con la sua poetica Verga vuole farci capire che non dobbiamo mai lasciare quello che abbiamo, perché andremmo incontro alla sconfitta: “mai lasciar la strada vecchia per quella nuova”!?

Il cambiamento che appare quasi impossibile nel pensiero verghiano è legato all’assenza di una visione positivistica cancellata dalla tragedia dell’assenza provvidenziale di Dio e un pessimismo che nega all’uomo la possibilità di conquistarsi sulla terra un avvenire migliore con le proprie forze.

In conclusione per il Verga vinto è chiunque voglia rompere con il passato in maniera improvvisa e clamorosa, senza esservi preparato, mentre coloro che accettano il proprio destino con rassegnazione cosciente posseggono saggezza e moralità.

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