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  • Massimo Mannarelli

LA MU'TAZILA. LA TEOLOGIA RAZIONALE NELL'ISLAM


Mu‘tazila fondata a Ba¡ra all’inizio del II secolo (H.) da Wâ¡il ibn ‘A¥â’ e ‘Amr ibn ‘Obayd, è considerata la prima scuola organicamente strutturata di teologia musulmana (‘ilm al-kalâm).

Essa conobbe il suo maggior splendore durante il III secolo , con i grandi pensantori Abû Hodhayl al-‘Allâf e Nazzâm. Grazie all’audacia della sua dottrina e al coraggio dei suoi adepti nel confrontarsi con le culture dei popoli conquistati, essa raggiunse quasi tutte le regioni dell’Impero ‘abbâsside al fine di ridurre la frammentazione tra le varie correnti islamiche. Con questo fine i mu‘taziliti cercarono l’appoggio dell’autorità costituita ossia i califfi, al fine di imporre il loro metodo d’interpretazione della tradizione facendo adirae la parte più ortodossa dell’Islam e ricevendo opposizione da parte del popolo, a tal punto che gli stessi califfi con i quali avevano condiviso un periodo di splendore teologico voltarono loro le spalle.

Paladina delle tesi tradizionaliste fu la scuola

teologica aš‘arita che, rivale della Mu‘tazila, rifiutò le tesi di quest’ultima dichiarandole innovazioni (bid‘a), e discreditando la sua dottrina fino al punto di considerarla una vera e propria eresia in quanto contraria alla tradizione islamica.

I teologi mu‘taziliti definivano la loro come la dottrina della giustizia e della unicità divina (al-‘adl wa-l-taw|id), declinata in cinque tesi fondamentali.

Paolo Nicelli nel suo scritto “La Mu‘tazila e il neo-mu‘tazilismo di Mu|ammad ‘Abduh” fa notare che : “Questa sintesi non era frutto di regole messe a priori, da cui far derivare i comportamenti morali per i credenti, ma era il risultato delle riflessioni teologiche, fatte a partire dalle domande che venivano poste dai credenti, a cui i teologi mu‘taziliti cercavano di rispondere. Essi si ispiravano ad alcuni principi generali, i quali dovevano essere interpretati nei singoli casi, attraverso l'uso della ragione”.

Vediamo ora in sintesi le cinque tesi (o principi) della dottrina mu‘tazilita:

1. Il rigido monoteismo islamico, fondato sulla stretta unicità di Dio, che nega in termini assoluti l’esistenza di qualsiasi altra divinità che non sia Dio stesso, oltreché l’apparenza della molteplicità all’interno del Dio unico. Gli attributi divini sono puramente identificati con l’essenza divina, tantoché gli atti divini ad extra sono creati. Dio conosce ogni cosa attraverso una conoscenza eterna che si identifica con la sua propria essenza. Dio parla all’umanità attraverso il Qur’ân, che viene considerato creato, perchè atto di Dio.

2. Dio è giusto (al-‘adl), poiché egli è la pienezza della bontà, teso solo a fare il bene delle sue creature. Egli non può dunque fare il male in quanto non è malvagio, ma è benevolente verso tutti. Il male è solo opera degli uomini che sono i creatori e gli autori delle loro azioni. Da qui si deduce che gli uomini sono persone libere, poichè possono scegliere di compiere un’azione buona o una cattiva.

3. Dio ricompensa i buoni e punisce i cattivi. Egli è legato alla sua promessa, al suo giudizio sull’operato dell’umanità. Egli non può perdonare un musulmano colpevole di un peccato grave, il quale morendo non si pente. Tale musulmano andrà all’inferno, ma la sua pena sarà più lieve di quella degli infedeli. La sola fede non è sufficiente a salvare il peccatore se le sue opere sono malvagie.

4. Il musulmano colpevole di un peccato grave non è né un credente, né un infedele, ma vive in una situazione intermedia. Egli vive nel mondo come membro della comunità musulmana.

5. È dovere di ogni musulmano fare osservare il bene e difenderlo dal male (al-‘amr bi-l-ma‘rûf wa-l-nahi ‘an al-monkar). I musulmani useranno la persuasione e il rimprovero e se necessario la forza, verso quelle autorità che abbandonano la retta via.

Nicelli continua sostenendo che: “Ciò che a prima vista emerge dalla formulazione di queste tesi è il fatto che esse hanno come sorgente d’ispirazione la rivelazione coranica, seguendone le linee fondamentali: 1) l’Unicità divina; 2) il giudizio e la retribuzione secondo le opere compiute, 3) la chiamata alla responsabilità personale nell’esercizio della libertà. Tutto viene però sottomesso all’uso della ragione, da esercitarsi come ultimo giudice nella scelta per il bene o per il male”.

Nicelli spiega che i problemi che sorsero a partire da queste tesi non furono pochi. Tra tutti il più immediato fu l’apparente contraddizione di alcuni testi coranici rispetto alle suddette tesi. In questo caso i mu‘taziliti ribadirono l’importanza di interpretarli allegoricamente, per poterli poi applicare alle singole situazioni attraverso il metodo razionale. Diverso fu il caso di quegli ðadîth che erano in contraddizione con le cinque tesi; essi dovevano essere semplicemente negati. Il principio ispiratore di tale metodo interpretativo stava nel fatto che se Dio aveva creato l’umanità e il mondo, lo aveva fatto per un motivo ben preciso: il bene delle creature. Egli era quindi tenuto a fare solo il bene, che doveva essere retribuito secondo i meriti e i demeriti. Questi ultimi, dipendevano dunque non dalla predestinazione, ma dalla libertà umana. Diversamente, Dio sarebbe entrato in contraddizione con se stesso, poiché sarebbe andato contro il suo scopo principale: fare il bene. Egli non poteva dunque avere parte alle azioni umane, in particolar modo quelle cattive. Qui solo l’uomo era responsabile delle sue azioni, in quanto creatore dei suoi atti. La problematica che la Mu‘tazila affrontò fin dal suo nascere, afferma Nicelli, fu il dialogo-confronto tra il pensiero islamico e quello filosofico greco. I mu‘taziliti ritenevano che l’incontro culturale di reciproca conoscenza tra le due civiltà, quella islamica e quella greca, fosse importante se non vitale per l’evoluzione del pensiero teologico musulmano. Da questo incontro la Mu‘tazila comprese l’importanza dell’uso della ragione, al fine di combattere le religioni e le ideologie quali: il giudaismo, il cristianesimo, il dualismo e il materialismo (dahirîya). Esse utilizzavano le discipline razionali per sostenere le proprie argomentazioni nelle dispute con le altre tradizioni religiose. Per sostenere il confronto, la Mu‘tazila trovò nella filosofia greca quei metodi razionali che l’aiutarono a provare la veridicità delle sue tesi di fronte alle domande e ai dubbi dei neo-convertiti all’islâm. Infatti, questi ultimi cominciarono a chiedere conto delle affermazioni dei mu‘taziliti, sollecitati anche dalla tendenza a introdurre nella nuova fede, l’islâm, degli elementi provenienti dalle loro antiche credenze, giungendo a una sorta di comparativismo e relativismo religioso. Per evitare questo rischio la Mu‘tazila doveva andare oltre la semplice interpretazione e applicazione letterale dei decreti divini e aprire a una riflessione e a una speculazione sul credo islamico. In altri termini, bisognava dare ragione ai neo-convertiti della fede islamica, senza limitarsi all’applicazione meccanica dei decreti divini.

Secondo Nicelli i mu‘taziliti accettarono questa sfida cercando di fare dell’islâm non solo una religione fondata sulla legge, ma anche una religione con uno spessore filosofico e teologico che potesse difendere razionalmente le proprie tesi attraverso un dialogo-confronto apologetico con i rappresentati delle altre religioni: difesa dell’islâm nel rifiuto delle tesi dell’avversario sul terreno delle sue stesse argomentazioni razionali. Da qui crebbe il desiderio per lo studio delle opere dei greci, che portò alle traduzioni fatte sotto il califfo al-Ma’mûn (d. 218 H./833), col fine preciso di imparare e di assumerne il metodo dialettico da usare durante le controversie filosofiche e teologiche. Secondo R. Caspar, più che paladini del pensiero liberale all’interno dell’islâm, i mu‘taziliti divennero i paladini della riforma islamica: cavalieri della fede in quanto veri cavalieri della ragione, che spinti dalla curiosità del sapere, si lanciarono nella ricerca sperimentale e nello studio della metafisica.Per questa loro apertura alla speculazione e ai metodi razionali della filosofia greca, ma anche per lo spirito riformista contro una tradizione islamica statica, troppo preoccupata all’esegesi coranica, alla collezione degli ðadîth e alla casuistica legale, i mu‘taziliti furono attaccati dai tradizionalisti (mo|addithûn). Questi ultimi rimasero fedeli alla lettera del Qur’ân, rimettendo solo a Dio la soluzione di ogni problema umano, senza dare una spiegazione esauriente di quanto contenuto negli articoli della fede. L’accusa mossa ai mu‘taziliti fu quella di voler innovare la fede islamica attraverso una serie di messe in discussione di quella che era la prassi fino ad allora accettata.

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