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  • Massimo Mannarelli

CONTRO LA RIGIDITA' DEL METODO.


In “Contro il metodo” Feyrabend vuole dimostrare che, nel mondo scientifico, ogni tentativo di trovare un ordine creando schemi per definire in maniera rigorosa i processi di ricerca e scoperta, non può che essere destinato al fallimento e che, proprio per l’intrinseca natura del percorso di scoperta, quest’ultima non può essere ristretta o limitata a delle norme di un metodo che si ponga in modo “rigido”.

Feyrabend sostiene che l’unica regola necessaria per il progresso scientifico si può ricondurre alla necessità di non farsi condizionare dalle regole, mantenendo un’ assoluta libertà metodologica, ciò comporta la libertà di scegliere e di accogliere ogni possibile contro induzione alle teorie ortodosse, in quanto l’adozione rigorosa del principio di coerenza, per cui le teorie nuove dovrebbero accordarsi a quelle già affermate, si tradurrebbe nella sostanziale conservazione di queste ultime a scapito delle nuove. La pretesa poi che l'abbandono delle teorie accettate sia utile solo in presenza di fatti nuovi che ne mettano in luce l'inadeguatezza non sembra tenere conto della natura di questi fatti, la cui osservazione non di rado è legata proprio all'introduzione di nuove teorie. In mancanza delle quali una teoria può facilmente degenerare in ideologia, determinando la selezione delle osservazioni solo a conferma della teoria stessa, bloccando così ogni sviluppo futuro. Egli ritiene che anche teorie superate o assurde debbano essere tenute in debito conto, visto che potrebbero rivelarsi inaspettate fonti di conoscenza. Anche perché tutte le teorie, anche le più affermate, mostrano spesso di non essere affatto così solide e rigorose, ammettendo spesso approssimazioni ad hoc e notevoli discordanze con i fatti.

Analizzando i ragionamenti seguiti da Galileo per sostenere la teoria copernicana ed il modello del moto relativo, l'autore mette in luce come il padre del metodo scientifico abbia usato con molta abilità tecniche di propaganda per sostenere le proprie argomentazioni, dando quando era necessario la precedenza alla costruzione teorica sul dato sperimentale. Galileo, infatti, utilizzò il telescopio, strumento all'epoca alquanto inaffidabile e, quindi, di scarso valore empirico, per affermare una teoria che solo molto tempo dopo, con lo sviluppo di nuove scienze accessorie e metodi di analisi, avrebbe trovato prove a supporto realmente valide e rigorose. Uno schema che si può osservare ripetersi abitualmente nell'occasione di scoperte significative, in cui i criteri operanti nell'ambito della critica (o giustificazione) vengono forzatamente aggirati. Si dimostra così la necessità per la scienza di liberarsi dai vincoli della metodologia, che finiscono per diventare ostacoli alla libertà di ricerca, che invece può svilupparsi solo in una matrice pienamente anarchica.

Feyerabend prosegue esaminando il tentativo di Imre Lakatos, in accordo con le sue idee riguardo l'inadeguatezza dei modelli rigidi di metodo finora proposti, di considerare comunque l'esistenza di una forma di razionalità in grado di dare conto dello sviluppo scientifico. Questo avverrebbe attraverso programmi di ricerca e standard, la cui natura ambigua sembra però nascondere una sostanziale inaffidabilità, mascherando abilmente l'anarchismo sottostante. Ottenendo così una nuova ideologia che, anche se più efficace delle altre nello spiegare la variabilità dei processi implicati nelle scoperte scientifiche, ad un esame più attento si rivela sostenuta da certezze indimostrate, rivelandosi quindi sostanzialmente equivalente alle precedenti.

Viene poi introdotto la tematica dell'incommensurabilità, che l'autore individua in molti casi di contrasto tra teorie scientifiche concorrenti, anche se la sua natura lo rende difficilmente definibile, poiché risulta estraneo all'approccio logico, potendosi quindi definire solo adottando un punto di vista storico-antropologico ed analizzando le affinità con le dinamiche riguardanti concezioni culturali ed artistiche di epoche differenti o linguaggi provenienti da culture distanti, che possono essere affrontati solo considerando e accettando il prezzo di perdite importanti di significato. Ogni tentativo di ridurre questo divario si rivela illusorio, conducendo ad ulteriori incomprensioni, risultando comunque di dubbia utilità.

Nel capitolo conclusivo, l'autore ribadisce la sua tesi riguardo l'impossibilità di costruire regole attorno alla scienza, da cui l'unica regola: "qualsiasi cosa può andar bene". La supremazia della scienza come sistema oggettivo di valutazione risulta infondata e sarebbe, quindi, il caso di considerarla alla stregua di una qualsiasi ideologia o superstizione, limitandone la pervasività e l'influenza ed eliminandone l'obbligatorietà di insegnamento nelle scuole.

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