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  • Massimo Mannarelli

IL SIGILLO DELLA WALAYAT E IL SUO OCCULTAMENTO


I teologi sciiti differenziano il tempo dell’occultamento in due periodi. Il primo comincia il giorno in cui l’XI Imam, l’Imam Hasan ‘Askarî, lascia questo mondo a Samarra, all’età di ventotto anni (260 / 873-74). Quel giorno, l’Imam-bambino, Mohammad al-Mahdî, che aveva ricevuto da suo padre l’investitura, ultimo atto da lui compiuto in questo mondo, scompare anche lui, come se l’Imam Hasan avesse portato con sé il figlio della sua anima. Questo primo periodo, detto dell’Occultamento minore (ghaybat soghrâ), doveva durare settanta anni lunari (fino al 329 / 940-41), nel corso dei quali l’Imam restò incognito per gli uomini comuni e non comunicò neppure con l’insieme dei suoi adepti se non per intermediazione dei quattro delegati/mandatari (nâ’ib o wakîl), che si succederanno gli uni agli altri. I loro nomi e le loro persone sono elencati in dettaglio nei libri sciiti. Ci fu dapprincipio ‘Othmân ibn Sa’îd, segretario e l’uomo di fiducia del X e XI Imam. Suo figlio Abû Ja’far gli succedette. Poi si ebbe Abû’l-Qâsim Hosayn ibn Rûh Nawbakhtî e, infine, Abû’l-Hasan ‘Alî al-Samarrî. Per loro intermediazione un certo numero di personalità sciite, i cui nomi sono ugualmente conosciuti dalla tradizione, furono condotti in presenza del XII Imam. Al di fuori di questi casi, l’Imam non si manifestò che in maniera sporadica, per esempio in occasione dei funerali di suo padre e dell’attribuzione dell’eredità, per mettere fine alle pretese abusive di suo zio Ja’far, fratello dell’Imam Hasan ‘Askarî. Oppure ci furono delle manifestazioni la cui modalità anticipa quelle del tempo dell’«Occultamento maggiore» (ghaybat kobrâ); la venerabile Hakîma ne porta testimonianza.

Questo secondo periodo comincia con la lettera indirizzata a ‘Alî al-Samarrî. Il grande teologo Ibn Bâbûyeh, cioè Shaykh Sadûq, riporta ciò di cui fu informato personalmente da un testimone coinvolto nei fatti, un certo Abû Mohammad Hasan ibn Moktib. Costui si trovava a Baghdad l’anno stesso in cui morì l’ultimo delegato dell’Imam nascosto, Abû’l-Hasan Samarrî (329 / 940-41). Era in visita a casa sua qualche giorno prima della sua morte, quando d’improvviso venne portato un messaggio sigillato, un messaggio che proveniva dall’Imam. Egli ebbe il permesso di farne una copia, ed ecco qualeera il contenuto.

«Nel nome di Dio il Compassionevole, il Misericordioso. Che Dio manifesti ai tuoi fratelli la sua munificenza in compensazione della prova che sarà per loro la tua dipartita! Perché nell’intervallo di sei giorni tu incontrerai la morte. Metti dunque ordine nei tuoi affari. Non nominare alcun successore che prenda il tuo posto (come mio wakîl, successore) dopo la tua morte, perché ora il tempo del Grande Occultamento è giunto. Non mi mostrerò più a nessuno, se non quando verrà il permesso divino. Ma ciò non avrà luogo che dopo il trascorrere di una lunga durata. I cuori diverranno inaccessibili alla pietà. La terra sarà riempita di tirannia e di violenza. Dai miei sciiti, si leveranno delle persone che pretenderanno di avermi visto materialmente. Attenzione! Colui che pretenderà d’avermi materialmente visto prima degli eventi della fine, egli è un mentitore e un impostore. Non c’è soccorso e forza che in Dio l’Altissimo, il Sublime».

L’informatore di Shaykh Sadûq completò il suo racconto dicendo: «Sei giorni dopo quella visita (nel corso della quale egli aveva trascritto il messaggio dell’Imam) mi recai di nuovo da Abû’l-Hasan ‘Alî al-Samarrî. Constatai che effettivamente la sua ultima ora si approssimava. Uno degli intimi che lo circondavano gli chiese: Chi sarà il tuo wasî dopo di te (cioè il tuo successore, il nuovo wakîl dell’Imam nascosto)? Egli rispose: Ora la faccenda non appartiene più che a Dio. Spetta a lui condurla fino al suo compimento. – Furono queste, soggiunge il testimone, le ultime parole che si udirono da lui».

E’ da più di dieci secoli che il XII Imam vive vita misteriosa in una regione «a cui nessun mortale può avvicinarsi» e di cui non si possono rilevare le coordinate sulle nostre carte. Là, egli è circondato di compagni velati per il nostro mondo sotto un medesimo incognito.

Tuttavia, non più nel corso di questo periodo, l’Imam attraversò la soglia che separa irreversibilmente il nostro mondo dal mondo Al-di-là. L’Imam è in una situazione analoga a coloro che furono levati dal mondo visibile senza attraversare la soglia della morte

Il tempo del XII Imam è «tra i tempi», gli Imam, suoi avi e predecessori, hanno vissuto in unione spirituale con lui, formando insieme i Dodici, una stessa Essenza esistenziata in dodici persone. Gli eventi della fine, le parole che pronuncerà il XII Imam, i gesti che compirà, le battaglie che sosterrà, tutto ciò, ce lo comunicano gli Imam suoi predecessori perché l’hanno percepito grazie alla loro ierognosi, rigorosamente prevista dalla gnoseologia profetica.

In effetti, con la figura del XII Imam lo sciismo ci suggerisce il suo segreto più profondo. Il tema corona l’edificio della teologia e della teosofia. La teologia dei Dodici Imam ci ricorda le antiche teologie dell’Aiôn, ellenistica e zoroastriana. Questo tratto fondamentale è quello di una dodecade la cui plenitudine è fin d’ora data, ma la cui manifestazione finale è ancora da venire. Per undici dei suoi Imam, in effetti, il tempo della loro apparizione terrestre è compiuto. L’Imâmat duodecimano, sospeso così «tra i tempi», è dunque qualcosa d’altro da ciò che si dice «magistero dogmatico» e ci si sbaglierà a trasporre puramente e semplicemente qui la nozione occidentale di «religione d’autorità». Ma resta fermo che, da una parte, il loro insegnamento che dimora e che rivela i sensi segreti del Corano, è proprio la fonte che «fa autorità» e che, d’altra parte, le loro persone, allo stato celeste o metafisico, sono altrettanti poli della devozione sciita, poiché essi sono le Guide. Questa nozione culmina raggiungendo quella della Guida personale, l’Imam che, sottratto alla visibilità di questo mondo, resta presente al cuore dei suoi adepti e la cui invisibilità soprannaturale garantisce contro ogni socializzazione dello spirituale.

Il Mahdi assume il ruolo di Sheikh supremo all’interno della walâyat, la «profezia esoterica» cominciata con ‘Alî, il primo Imam e che ha progredito di Imam in Imam, come la luna nelle tenebre della notte, fino all'aurora, con il dodicesimo e ultimo Imam.

Questo senso esoterico, anagogico (cioè che porta in alto), che mantiene l’anima tesa in una suprema attesa, è precisamente il segreto dell’Imâmat, del pleroma dei Dodici. La parusia del XII Imam segna il compimento dell’Uomo integrale, l’Uomo perfetto (al-Insân al-kâmil); essa rivela ciò che, in altre gnosi, si chiama il mistero dell’Anthrôpos. Ed è ugualmente possibile dire che l’imamologia assume una funzione omologa a quella della cristologia in teosofia cristiana; ma anche a quella del bodhisattva che rifiuta di entrare nel nirvana, prima che tutti gli esseri siano salvati. L’attesa escatologica che polarizza il XII Imam corrisponde nel buddismo mahayanista, all’attesa di Maitreya, il Buddha futuro; all’attesa del Saoshyant, nello zoroastrismo; all’attesa della seconda venuta del Cristo, nel cristianesimo e infine del Kalki decimo avatar di Vishnu nella tradizione induista. Figure escatologiche che vivono una vita misteriosa talvolta con i loro prescelti su una terra prossima alla nostra senza essere la nostra, un mondo parallelo in cui l’intervento del mundus imaginalis è capitale. La presenza invisibile dell’Imam, la sua perpetua contemporaneità «tra i tempi», significa altro, non certo un’allegoria morale né una rappresentazione mitologica, ma precisamente la realtà di quel mundus imaginalis.

Tale mondo parallelo ci permette di rendere conto della realtà degli eventi spirituali, metafisici, soprannaturali.

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