ANANDAMAY MA: LA MADRE PERMEATA DI GIOIA
A Dhaka era nota come “Manush Kali”, cioè “la Kali Vivente”, patrona del Bengala. Sulle sponde del sacro fiume Narmada, fu salutata come “Devi Narmada”. A Madurai la chiamavano Dea Minakshi. Nel Punjab le tributarono onori al pari del santo Granth Sahab (il libro sacro nonché dio/guru dei Sikh). A Vrindaban, Sri Haribabaji Maharaj, un Mahatma molto rispettato, vide in lei la divinità cui era devoto, Gauranga. I Sindi devoti di Sri Udiyababaji Maharaj la riverirono quale forma visibile di Jhoolelal, loro Dio. A un devoto musulmano accadeva di vedere la sua immagine coronata da un Taj durante la meditazione. Un devoto cristiano esclamò spontaneamente “Ora abbiamo un volto da dare a Dio”. Le semplici donne degli altopiani di Almora dicevano di lei: “Ora che abbiamo te con noi, non abbiamo bisogno di visitare il tempio”.
Ma chi è questa maestra e mistica indiana, la cui sola immagine porta pace e quiete a chi la guarda? Stiamo parlando di Sri Ma Anandamayi (nota anche come Sri Ma). Nasce il 30 aprile 1986 a Kheora (Bangladesh). La sua è una famiglia di devoti Vaishnava (seguaci di Vishnu) molto pia e prestigiosa, anche se povera. Le viene dato il nome di Nirmala Sundari Devi (bellezza immacolata). Il villaggio dove viveva, abitato soprattutto da famiglie islamiche, le riservò (considerato il suo modo di fare sorridente e disponibile) un affetto che sarebbe durato per molti anni e ancora oggi la popolazione la ricorda come la “Nostra Ma”.
All’età di tred ici anni viene data in sposa al bramino Sri Ramani Mohan Chakravarty, che lei chiamerà, e così diventerà per tutti, Bolanath (uno dei nomi di Shiva). La convivenza effettiva inizia nel 1914, ma il matrimonio non viene mai consumato fisicamente e Bolanath non soltanto accetta la castità della moglie, ma ne diviene il primo discepolo.
Nirmala Sundari non ebbe alcun maestro ed inizia a manifestare sin da giovanissima la sua particolare natura e le sue attitudini: è solita recitare mantra in sanscrito e praticare complicate asana per ore intere (pratica che nessuno le aveva mai insegnato) cadendo spesso in stati di trance.
Nel 1918 la coppia si trasferisce a Bajitpur, città dove il 3 agosto 1922 avviene la sua auto-iniziazione e dove comincia anche il suo lungo voto di silenzio (che durerà per più di tre anni).
Nel 1924 la coppia si trasferisce a Dhaka. Molte persone cominciarono ad accorrere al suo cospetto tra cui anche molti noti maestri. La sua prima apparizione pubblica avviene nel 1925 in occasione del Kali-puja, una festa religiosa in onore alla Dea nera del Bengala, che Nirmala viene invitata a condurre. Nel corso della celebrazione, secondo la testimonianza dei presenti, i tratti della giovane religiosa si trasformano fino ad assumere per un lasso di tempo le sembianze del volto di Kali. Un simile pare avvenire anche durante una festa di Krishna l’anno successivo. Una volta cessato il voto di silenzio, Nirmala inizia i suoi lunghi digiuni. Intanto cresce sempre di più il numero dei fedeli e dei pellegrini che si recano a farle visita e a renderle omaggio: intorno a lei si forma una folta comunità spirituale, all’interno della quale, secondo diverse testimonianze, si verificano numerosi casi di guarigione di malati.
Nel 1926, il discepolo Bhaiji le dona l’appellativo di Anandamayi Ma, che significa Madre permeata di Gioia. Nel 1936 avviene l’incontro con Paramahansa Yogananda, che la ricorderà in “Autobiografia di uno Yogi”:
“Mataji rispose: “Padre, c’è poco da dire. La mia coscienza non s’è mai associata a questo corpo transitorio. Prima di venire su questa terra... ‘ero la stessa’. Da bambina ‘ero la stessa’. Divenni donna, ma ‘ero la stessa’. Quando la famiglia predispose di far sposare questo corpo, ‘ero la stessa’. Ed ora di fronte a voi, Padre, ‘io sono la stessa’; e per sempre in futuro, nonostante la danza della creazione cambi intorno a me nello spazio dell’eternità, ‘io sarò la stessa’”.
Nel 1942 incontra il Mahatma Gandhi, il cui stretto collaboratore, Sri Jamnalal Bajaj, diviene un fedele devoto. Nel 1944 incontra Sri Prabhu Dattaji Maharaj, un importante guru che la presentò ai capi di diverse congregazioni monastiche che riconoscono nelle parole della donna bengalese la quintessenza delle sacre scritture. Nel 1950 sono ormai tantissimi i devoti di Anandamayi Ma in varie parti del mondo, ed intorno a lei si formano oltre 20 Ashram. Nel 1952 diede vita all’annuale Samyan Vrata, una particolare settimana dedicata al ritiro spirituale sotto la sua guida diretta.
Con il passare degli anni l’enigma della sua personalità si approfondì; fin dalla nascita Sri Ma era stata pienamente auto-cosciente; quando si immerse nella Sadhana, tutto le fu rivelato dai suoi Kheyala (pensieri che si realizzano). Era praticamente una ragazza analfabeta di villaggio, ma quando iniziò a insegnare si espresse nel linguaggio degli studiosi più eruditi, senza commettere il minimo errore nella logica delle argomentazioni. Era del tutto consapevole delle differenze dottrinarie e mai confuse le une con le altre nelle conversazioni che intrattenne con istruiti pandit. Così come non era stata iniziata ad alcun ordine religioso o scuola di yoga, non aveva incontrato Guru che potessero averla influenzata. Neppure si ritirò mai dal mondo per abbracciare la vita eremitica; né si sottrasse mai ad amici e parenti. Non aveva svolto la sadhana come è intesa generalmente nella tradizione, eppure poteva parlare con autorità di tutti gli aspetti della ricerca religiosa.
Il 14 gennaio 1947 su indicazione di un suo kheyala, a Varanasi dà inizio a un grande Savitri Yajna il cui Samkalpa (richiesta, beneficio) è “Il Bene dell’Umanità”.
Negli ultimi giorni della sua vita Sri Ma è serena, ma stranamente comincia a sottrarsi alle preghiere delle persone attorno a lei e trascorre i suoi ultimi giorni nell’Ashram di Kishenpur. Non pronuncia alcun addio tranne le parole “Shivaya Namah” nella notte del 25 agosto 1982; questo mantra segna la dissoluzione finale dei legami mondani. Lascia il corpo la sera del 27 agosto 1982.
Anandamayi Ma è famosa in tutta l’India per la sua devozione instancabile ai poveri e agli indifesi. Ha aiutato molte persone senza casa e bisognose di cibo. Il suo è stato davvero un “Seva for Love”!!!
Come detto, senza avere ricevuto insegnamento alcuno, Anandamayi Ma ha praticato instancabilmente lo Yoga, comprendendone la vera natura. In particolare diceva che se uno pratica l’Hathayoga semplicemente come un esercizio fisico, la mente non viene minimamente trasformata. Ovviamente una pratica del genere determina una buona salute del corpo (a tal punto che molto spesso chi abbandona la pratica delle posizioni yogiche risente di disordini fisici), ma è necessario che anche la mente sia adeguatamente nutrita perchè come il corpo s’indebolisce a causa di un nutrimento inadeguato, così anche la mente ha bisogno del cibo adatto e quando riceve il giusto sostentamento, l’uomo si muove verso Dio. Provvedendo al solo nutrimento del corpo, il praticante aumenta solo il proprio attaccamento al mondo. La mera ginnastica è nutrimento solo per il corpo, ma sicuramente non è Yoga!
Ella inoltre sosteneva che lo sforzo nello Yoga deve terminare nell’essere senza sforzo; in altre parole, ciò che viene ottenuto con una pratica costante viene poi trasceso e si ottiene la spontaneità. L’utilità dell’hathayoga non può essere compresa finché questo non accade. Quando l’idoneità fisica risultante dall’hathayoga è usata come coadiuvante nello sforzo spirituale, esso non è sprecato. Altrimenti non è yoga, ma solo bhoga (godimento) che determina un grande attaccamento alle cose materiali. Il sentiero verso l’infinito sta nell’essere senza sforzo. Finché l’hathayoga non mira all’Eterno, non è nient’altro che ginnastica. Se nel corso normale della pratica non si avverte il contatto con il divino, lo yoga è infruttuoso. E come diceva un mio caro maestro (chi lo conosce sa di chi sto parlando): se non si parla di Dio, non è Yoga!!!