GIANNIZZERI E BEKTASHI NELL'IMPERO OTTOMANO
I Giannizzeri erano un corpo di fanteria istituito dal sultano Orkhan (1288-1359) nel 1329 (tra gli storici specialisti del settore vi sono comunque dubbi circa l’esattezza di questa data) e riorganizzato nel 1360 da Murad I (1326-1389).
Il termine “giannizzeri” deriva dal turco yeni ceri, che significa “nuova milizia” (altri traducono “giovane guerriero”) detti anche Beuluk. Essi furono inizialmente reclutati fra i giovani prigionieri di guerra cristiani successivamente educati alla religione islamica. Nelle regioni conquistate dai Turchi avveniva infatti il devshirme ossia il reclutamento forzato dei bambini cristiani (almeno uno per ogni quaranta famiglie) che venivano avviati alla carriera civile e militare. Sebbene si abbia notizia di casi in cui tale destino non sia stato avversato, e ciò avveniva specialmente per le famiglie più povere, che intravedevano nella carriera militare ottomana un’accettabile prospettiva di vita per i propri figli, generalmente questa specie di corveè costituiva uno strazio per le famiglie.
I Giannizzeri inizialmente furono reclutati nei Balcani e qui sono fioriti racconti, leggende e canti popolari che narrano il dramma di questi bambini strappati alle madri, al focolare domestico e alla patria. Ecco come avveniva il reclutamento: una speciale commissione arrivava nei villaggi cristiani dei Balcani e sceglieva i ragazzi più forti ed intelligenti, in un’età compresa, generalmente, fra gli 8 e i 10 anni.
Fino al 1700 il corpo, quindi, il corpo dei Giannizzeri fu composto principalmente da prigionieri cristiani o da cristiani della penisola anatolica, arruolati fin da piccoli e costretti a passare all’Islam. Solo in seguito vi cominciarono ad entrare anche Turchi già Musulmani. I ragazzini venivano acquartierati in appositi convitti-caserme che per tutta la loro vita diventava l’unica casa. Erano educati ad una vita frugale, ad una disciplina severissima, ad un addestramento militare pesantissimo, alla fedeltà verso il sultano, il loro unico vero padre-padrone. La raffigurazione del cucchiaio che gli ufficiali portavano sul copricapo, e che stava a significare come essi ricevessero il cibo direttamente dalla mano del sultano, era uno dei simboli di tale assoluta fedeltà. Costretti al celibato, erano iniziati alla confraternita islamica tariqa bektasshiyya, ispirata dal mistico Haci Bektas.
L'ordine bektashi venne fondato nel XIII secolo dal sufi Hajji Bektash Veli di Khorasan e si diffuse largamente in Anatolia, passando poi nell'Europa Balcanica (Albania, Bulgaria, Epiro e Macedonia) quando gli ottomani annetterono i territori dell'Impero bizantino. La stessa città di Costantinopoli aveva molte logge bektashi. L'ordine aveva strettissimi legami con il corpo dei Giannizzeri, molti dei quali erano appunto devoti bektashi, tanto che alcuni storici ritengono i bektashi il braccio spirituale dei "Nuovi soldati".
Ruolo importante nelle comunità bektashi è svolto dal Dede, sorta di guida spirituale. Uno dei riti che caratterizza i bektashi rispetto agli altri islamici è il magfirat-i zunub, sorta di ammissione dei peccati innanzi al proprio Dede. I rituali bektashi non sono, del resto, dettagliatamente codificati e variano, pertanto, da regione a regione.
I bektashi hanno in comune con gli aleviti e gli sciiti duodecimani il culto verso l'imam Ali ibn Abi Talib, genero di Maometto, ma soprattutto si rifanno alla dottrina della Wahdat al-Shuhud o di Ibn Arabi.
Nel XVI secolo, l'ordine bektashi venne guidato dal sufi Balim Sultan (1457-1517) che riorganizzò la comunità in una vera e propria ṭarīqa ed edificò la tekke principale (scuola-convento), la Pirevi, ad Hacıbekaş nell'Anatolia centrale.
Ma tornando alla trattazione sui Giannizzeri, si segnala che solo chi dimostrava il proprio valore accedeva al vero titolo di Giannizzero, intorno all’età di 24-25 anni. In caso di invalidità, o al sopraggiungere della vecchiaia (45 anni), ricevevano una specie di pensione ed alla loro morte il reggimento ereditava tutti gli averi, compreso il bottino di guerra di cui ognuno era eventualmente riuscito ad impossessarsi. Uno dei Giannizzeri più famoso era il principe albanese Gjergj Kastrioti Skënderbeu o in turco Iskender Beg (1403-1468), il quale come tanti suoi coetanei, fu preso in ostaggio e costretto a militare nei reggimenti dei Giannizzeri. Distintosi per il valore delle sue imprese, riuscì però a non dimenticare la casa paterna e a fuggire verso la Cristianità, in Albania, diventando una spina nel fianco dell’Impero ottomano.
I Giannizzeri erano l’elite dell’esercito imperiale ottomano. Essi erano un corpo permanente ancora prima che gli eserciti permanenti divenissero una realtà comune in Europa.. Il servizio non consentiva il matrimonio ed erano proibiti svaghi di ogni genere. L’arma principale consisteva nel moschetto e nell’arco. A differenza di altri eserciti dell’epoca i Giannizeri non usavano le picche, ma erano accettate nella dotazione ordinaria alabarde ed asce. La forza era strutturata in tre divisioni a loro volta costituite di 196 compagnie. Ogni compagnia era formata da un numero di combattenti che variava molto a seconda delle circostanze, ma in media comprendeva 500 uomini. Le compagnie erano denominate Orta e ogni compagnia veniva guidata dal Corbac corrispondente al grado di colonnello. Il Corbac era assistito da 6 ufficiali mentre la caserma era gestita dall’Odabasi (tenente) e il commissario per la logistica era l’Ascibasi ( letteralmente “cuoco” ). L’Ascibasi era anche esecutore di pene disciplinari e boia stesso. Al di sopra dei Corbac vi era il comandante generale del Corpo dei Giannizzeri denominato Agha. Il comandante inviava ordini al generale di divisione denominato Kul Kahya. Esisteva una sorta di “accademia” curata dal Segretario del Corpo denominato Yeniceri Katip che svolgeva le attività di istruzione ed addestramento e a livello organizzativo era generale di 34 compagnie di riserva. Una figura prestigiosa e rispettata era l’Atescibasi ( letteralmente capo cuoco ) che assumeva la funzione di Cancelliere e Furiere.
Il vessillo del Corpo aveva colori gialli e rossi con il Zulfikar (scimitarra adornata ) al centro, ma quando c’era il Sultano al comando veniva anche usato lo Stendardo del Profeta di colore verde (oppure nero). Le compagnie alla loro volta presentavano simboli propri alla sommità dei vessilli come cammello, elefante, leone, falco. Oltre ad animali anche strumenti come ancora, arco e chiavi.
L’Agha aveva un proprio portastendardo che recava su un asta con una sfera dorata e code di cavallo: un antica reminiscenza delle radici nomadi dei turchi.
Le caserme erano dei veri e propri “monasteri” per dimensioni e rigore delle condizioni di servizio, un’ eccezione rispetto alla tendenza diffusa nel resto di Europa di alloggiare gli eserciti nei quartieri urbani. Inoltre le caserme erano provviste di una propria moschea e anche di vere e proprie fabbriche per oggetti di uso quotidiano realizzati espressamente per i Giannizzeri. Precisi canali di approvvigionamento fornivano generi alimentari quali carne e biscotti.
L’esercito ottomano era definito come Ordu che indicava anche l’accampamento, organizzato, quasi come un accampamento romano. Vi era appunto un centro con la grande Tenda del Sultano e da lì si irradiava geometricamente un sistema di vie. Ogni settore era fornito di tutti i servizi necessari, dalla tenda per abluzioni rituali alla latrina. I Giannizzeri marciavano in ordine e spesso erano accompagnati da gruppi di cavalleria tartara che si occupava di rifornimenti sul posto, preda bellica e sorveglianza delle salmerie. I Giannizzeri non ebbero mai reparti di cavalleria e i cavalli erano uso esclusivo dei comandanti.
Le manovre sul campo venivano organizzate tramite grandi tamburi e cimbali che avevano anche funzione di terrorizzare il nemico con suoni cupi, ritmici e minacciosi. I tamburi erano anche usati per ordinare l’installazione o lo smantellamento dell’accampamento che veniva eseguito velocemente, ma in modo sempre organizzato. I cammelli erano molto usati per il trasporto di munizioni e inoltre si organizzavano lunghissime linee di carriaggi per il grano mentre i cannoni venivano faticosamente sospinti da bufali o buoi. Erano al seguito anche agnelli e oche per l’alimentazione a base di carne.
I Giannizzeri al di fuori delle campagne e della rigorosa disciplina, venivano anche allietati da spettacoli eseguiti con fantocci organizzati da un’unità detta Meydan Orta presente in ogni compagnia. La prostituzione era severamente punita e dunque c’era l’usanza che un certo numero di cadetti (maschi) di particolare bellezza eseguivano i compiti delle prostitute (in pratica una sorta di omosesualità era tollerata in caserma e i “femminielli” erano definiti Acemioglans). I prostituti però erano anche agenti della polizia militare ed eseguivano compiti di pattuglia notturna in aree urbane ed erano particolarmente detestati dalla società. I Giannizzeri in generale intervenivano nelle attività di mercato sulle piazze per contrastare truffe e raggiri e sorvegliavano le prigioni e fortezze. Le fortezze avevano una guarnigione solitamente di 50 Giannizeri assistiti da una trentina di ausiliari ed erano il principale strumento per i governatori locali per reprimere le rivolte in loco. Tuttavia i Giannizzeri erano anche essi particolarmente riottosi se non venivano pagati e solitamente tendevano a bruciare quartieri o persino città e gli ammutinamenti erano la norma dal ’600 in poi.
I Giannizzeri erano anche impiegati a difesa delle basi marittime nel quartiere di Galata a nord di Istanbul e a Gallipoli. Essi venivano anche impiegati sulle navi e partecipavano attivamente nelle battaglie navali come a Lepanto nel 1571.
I Giannizzeri si distinguevano per il loro valore in battaglia; d’altronde sin da piccoli venivano iniziati all’addestramento militare e alla guerra santa. Parteciparono come corpo d’elite a tutti i principali scontri con i Cristiani (battaglia della piana di Kossovo nel 1389, Nicopoli nel 1396, Varna nel 1444) e nel corso degli assedi (Costantinopoli, Rodi, Malta, Famagosta, ecc.) erano sempre in prima fila.
In ciò erano preceduti soltanto dagli Iayalari, una milizia di musulmani suicidi che si gettavano nella mischia con lo scopo deliberato di morire per Allah e di guadagnare subito il paradiso.
Il corpo verrà sciolto definitivamente nel 1826 da Mahmud II dopo una lunga epoca di decadenza del corpo stesso che dal ’600 in poi assunse sempre più privilegi di guardia pretoriana sfruttando i frequenti deboli sultani, spesso anche deboli di mente per i lunghi periodi di isolamento in una torre dove venivano costretti da altri sultani che li avevano rovesciati. Ovviamente con l'abolizione dell'ordine dei Giannizzeri (nel 1826), anche i bektashi vennero banditi dall'Impero Ottomano ed i leader della comunità si spostarono in buona parte a Tirana in Albania. A Tirana i capi bektashi dichiararono la propria non appartenenza alla comunità sunnita, avvicinandosi, così, alla componente sufi sciita.