L'ICONA. RICHIAMO AL PROTOTIPO DIVINO
L’icona viene considerata tra le più alte manifestazioni del genio artistico umano. Essa è frutto del rinnovamento dell'arte stessa ed è strettamente collegata con l'inizio nella coscienza della Chiesa del significato dell’Incarnazione: la pienezza della divinità che abita corporalmente in Cristo (ha quindi un’impronta teologica e cristologica).
Dio nessuno l’ha mai visto, ma il Cristo uomo lo rivela in pieno. In Lui Dio diventa visibile e, quindi, anche descrivibile. L'immagine di Gesù uomo è quindi l'immagine di Dio, perché Cristo è il Dio-Uomo . Nell’icona vi è al tempo stesso un’ulteriore rivelazione della profondità del dogma di Calcedonia e il dono di una nuova dimensione nell’arte umana, perché Cristo ha dato una nuova dimensione all'uomo. Bisogna in considerazione l'icona ortodossa nei suoi aspetti teologici, antropologici, cosmici, liturgici, mistici e morali
L’icona è una “contemplazione a colori”, "un richiamo al Prototipo divino". Essa ci riporta a Dio come al Prototipo nel quale tutti gli esseri umani sono creati. Il significato teologico dell'icona è esprimere nella lingua dell'arte le verità dogmatiche rivelate agli esseri umani nella Sacra Scrittura e nella Tradizione della Chiesa. I Santi Padri videro l'icona come un Vangelo per gli analfabeti (la cosiddetta “biblia pauperum”). "Le immagini sono utilizzate nelle chiese in modo che l'analfabeta possa almeno guardare le pareti per leggere quello che non può leggere nei libri", ha scritto San Gregorio Magno, Papa di Roma.
Secondo san Giovanni Damasceno: "L'immagine è un memoriale, come le parole sono per l’orecchio che ascolta. Se il libro è per il letterato, l'immagine è per gli analfabeti. L’immagine parla agli occhi come le parole all’orecchio; attraverso la mente noi entriamo in unione con essa" e ancora "Se uno dei pagani viene a voi dicendo: mostrami la tua fede ... tu lo porterai in chiesa e gli mostrerai le immagini sacre", dice san Giovanni Damasceno.San Teodoro Studita ha sottolineato che "Ciò che è esposto nel Vangelo su carta e inchiostro è raffigurato nell'icona attraverso varie pitture e altri materiali". Negli atti del Settimo Concilio Ecumenico (787) si legge: "Come la parola comunica tramite l'udito così l'arte mostra silenziosamente attraverso un'immagine". Allo stesso tempo, l'icona non può essere vista come una semplice illustrazione del Vangelo, o una rappresentazione di eventi nella vita della Chiesa. "L'icona non rappresenta nulla, rivela piuttosto qualcosa", afferma l'archimandrita Zenon. In primo luogo, rivela a noi il Dio invisibile - Dio che, secondo l'evangelista, "nessuno ha mai visto", ma che è stato rivelato all'umanità nella persona del Dio-Uomo Gesù Cristo (Gv 1,18). Come è ben noto nel Vecchio Testamento esisteva il rigoroso divieto dell’immagine di Dio. Qualsiasi immagine del Dio invisibile sarebbe il frutto della fantasia umana e di menzogna verso Dio, adorando un'immagine equivarrebbe a venerare una creazione al posto del Creatore. Il primo comandamento del Decalogo di Mosè dice: "Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso". (Es 20, 4-5). Il Nuovo Testamento, invece, rivela un Dio fattosi uomo, visibile agli esseri umani. Con la stessa tenacia con la quale Mosè dice che il popolo sul Sinai non ha visto Dio, gli Apostoli dicono che lo hanno visto: "E noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito del Padre" (Gv 1,14), "Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita” (1 Gv 1,1). E se Mosè sottolinea che il popolo di Israele non ha visto "nulla", ma ha solo sentito la voce di Dio, l'apostolo Paolo chiama Cristo "immagine di Dio" (Col 1,15) e Cristo stesso disse di sé: "Chi ha visto me ha visto il Padre". L'invisibile Padre si rivela al mondo attraverso la sua immagine, la sua icona, per mezzo di Gesù Cristo, il Dio invisibile che è diventato un uomo visibile. Ciò che è invisibile non può essere rappresentato, ma ciò che è visibile si, in quanto non è più il frutto della fantasia, ma realtà materiale. Il divieto veterotestamentario delle immagini del Dio invisibile, secondo San Giovanni di Damasco, rende possibile di ritrarre Dio quando diventa visibile. San Giovanni dice: "E' chiaro che a quel tempo [prima di Cristo] non si poteva fare un’immagine del Dio invisibile, ma quando l’Informe è diventato un uomo per te, allora si potrà fare l’ immagine di lui nella sua forma umana. Quando l’invisibile, vestito di carne, diventa visibile, allora si può rappresentare Lui vestito in forma umana. Quando l'invisibile diventa visibile a noi, si possono poi ritrarre le sue sembianze... tutto si può ritrarre con parole e colori sia nei libri che sulle tavole". L'icona bizantina non è solo un'immagine di Gesù uomo, ma di Dio fatto uomo. Questo è ciò che distingue l'icona ortodossa dall'arte rinascimentale religiosa che rappresenta Cristo "umanizzato". Si vede anche Cristo con gli occhi della fede incrollabile nella sua divinità. È per questo che quando lo si presenta su un'icona non come un uomo qualsiasi, ma come l'Uomo-Dio nella sua gloria anche al momento del suo abbandono totale. E' per questo che la Chiesa ortodossa non ha mai raffigurato Cristo nelle sue icone semplicemente come un essere umano sofferente fisicamente e mentalmente, come accade nella pittura sacra occidentale. L'icona è strettamente legata con il dogma ed è impensabile al di fuori di esso. Attraverso mezzi artistici, l'icona comunica le dottrine fondamentali del cristianesimo della Santissima Trinità, l’Incarnazione, la salvezza e la deificazione dell'uomo. L’Ortodossia è chiamata a testimoniare la Verità attraverso la liturgia e l'icona. Di qui la necessità di realizzare ed esprimere il dogma della venerazione delle icone come applicato alla realtà moderna, alle esigenze e alle domande dell'uomo moderno. Alexander Schmemann (uno tra i più rinomati teologi della chiesa) sosteneva che il segreto della perfezione di un’opera è nella coincidenza completa e nella fusione tra legge e grazia, da ciò si deduce che senza il diritto, la grazia non è possibile proprio perché sono interdipendenti: l'immagine come appagamento, forma e contenuto, idea e realtà . L’arte inizia con la 'legge', cioè con abilità, obbedienza e umiltà e accettazione di forme. Ma l'arte rimane comunque adempiuta nella grazia poiché con essa la forma diventa contenuto, rivela il contenuto, è il contenuto.