LA METAFISICA DEL SESSO DI JULIUS EVOLA
La “Pandemìa del sesso” nell’epoca moderna evidenzia come, anche attraverso la pubblicità, l’influenza, un tempo, dei media e della televisione ed ora della rete abbia trasformato il sesso in una vera e propria mania. Julius Evola definirebbe tale atteggiamento come una ossessione pervasiva, dentro la quale si è perduto il significato più profondo della sessualità stessa.Tale fenomeno che un tempo poteva leggersi come una reazione smodata al clima moralistico di estrazione cattolico-borghese, alla sessuofobia tipica di una certa educazione di matrice cattolica, ma anche in opposizione al puritanesimo tipico di una certa cultura protestante, oggi assume, invece, i temi di una consuetudine preconfezionata, pratica e rapida nel suo consumo.
Dallo squilibrio di una passata educazione sessuofoba si è passati all’eccesso maniacale, tuttavia entrambi i fenomeni hanno in comune lo smarrimento del senso profondo del sesso e dell’amore, come superamento del senso dell’ego, integrazione delle complementarietà e riaccostamento a quel senso dell’unità primordiale adombrata nel mito dell’androgine riportato da Platone nel Simposio ed ampiamente citato da Evola nella sua opera. L’ossessione attuale ha finito col banalizzare il sesso attenuandone l’attrazione, poiché la fisicità femminile ed il nudo femminile divengono qualcosa di così ordinario ed abituale da perdere quella carica sottile di magnetismo e di fascinazione che sono fondamentali nell’attrazione fra i sessi.
“Metafisica del Sesso” fu pubblicato, per la prima volta, nel 1957. Da allora tale fenomeno ossessionante si è sicuramente accentuato grazie all’estrema libertà di pubblicazione nella rete e il suo facile accesso tipici di quest’era globale e telematica.
I social forum, in particolare, hanno creato relazioni superficiali fra i sessi, dietro le quali si nasconde spesso una reale incapacità di comunicare su temi di fondo, dove il sesso perde il suo significato di comunione animica divenendo una semplice pratica che riempie il vuoto di un mondo omologato e scontato.
La crisi dei rapporti fra i sessi e del senso stesso del sesso si inquadra così nel contesto generale della crisi del mondo moderno, del suo essere, rispetto ai significati ed ai valori della Tradizione, un processo involutivo, una vera e propria anomalìa.
Da ciò è deducibile una paura di fondo, ossia la paura dell’uomo di entrare in contatto reale con se stesso e con gli altri, di guardare dentro e magari di mettersi in discussione. Stefano Arcella in un articolo su Evola spiega bene che: “L’uomo contemporaneo – come tendenza prevalente – rifugge dall’autosservazione ed ha sempre più bisogno di “droghe” in senso lato, di evasioni, dal caos della metropoli a certe forme di musica che abbiano un effetto di stordimento, al “rito”degli esodi di massa nei periodi di vacanza e nei fine-settimana, in una trasposizione automatica della dimensione della metropoli che risponde ad un bisogno di stordirsi e di perdersi comunque”.
La metafisica del sesso evoliana non solo è lungimirante e sempre più attuale, ma può essere compresa solo nel quadro morfologico della civiltà e in un senso filosoficamente storico come era già possibile vedere nella sua opera principale “Rivolta contro il mondo moderno”.
E’ nel quadro complessivo delle opere di Evola e soprattutto in quelle che hanno preceduto la stesura de “La metafisica del sesso” che si può comprendere non solo questa sua visione dell’insieme, ma, soprattutto, il punto di vista evoliano nell’approccio alla tematica in questione.
Centrale è il significato che Evola conferisce a quello che chiama “mondo della Tradizione”, intendendo con questo termine un insieme di civiltà orientate “dall’alto e verso l’alto”, per citare una tipica espressione evoliana; si tratta di tutte quelle civiltà che, pur nella varietà delle loro forme non solo religiose, ma soprattutto misteriche (cioé iniziatiche), hanno in comune una orientazione sacrale, nel senso che esse sono ispirate dal sacro e tendono verso il sacro, inteso e vissuto come dimensione trascendente e, al tempo stesso, immanente, ossia una sacralità che entra nella storia e nell’umano, che permea di sé i vari aspetti della vita individuale e sociale di una determinata civiltà. Ogni aspetto della vita, dall’amore al sesso, alle arti ed ai mestieri, diviene, in questo particolare “tono” una occasione, una possibilità di aprire la comunicazione con il Divino, quindi una opportunità di elevazione e miglioramento personale.
La sessualità era, quindi, vista come una manifestazione della potenza del divino, una irruzione della trascendenza nell’immanenza della vita terrena, un segno delle possibilità più alte presenti nell’uomo.
Stefano Arcella fa notare che particolare attenzione è data dal pensatore romano alla sessualità nei Misteri antichi e, in particolare, in quelli di Eleusi, alle forme rituali di ierogamìa, di unione sessuale sacra fra un uomo e una donna nel quadro sacerdotale misterico così come molta attenzione è data alle forme ed alle procedure della magia sesssuale, soprattutto con riferimento alle scuole tantriche induiste e buddhiste, nelle quali la sessualità viene utilizzata, con diversità di metodiche fra una scuola e l’altra, per attivare una superiore integrazione della coscienza e quindi uno stato di illuminazione interiore che si desta nel momento in cui si ha il contatto reale con il Sacro. Evola avverte anche sui pericoli insiti in alcune metodiche tantriche e mette in guardia il lettore da certi atteggiamenti superficiali di imitazione di pratiche che si collocavano in un contesto ambientale e culturale molto diverso, anche sotto il profilo della carica energetica presente in certe confraternite antiche.
In questo contesto “tradizionale” si colloca la concezione evoliana del sesso e dell’amore. Centrale è il riferimento al Simposio di Platone, quindi alla visione della polarità fra i sessi – maschile e femminile – come anelito, spesso inconsapevole, alla reintegrazione dell’unità primordiale dell’androgino, poi scissa nella dualità dei sessi. In origine, secondo il mito, esisteva una specie di essere che riassumeva in sé i due sessi, poi scissa nelle due sessualità distinte e separate. L’amore e l’incontro sessuale vengono visti quindi come superamento dei limiti individuali, come completamento e superamento del senso dell’ego, come capacità di dono di sé, di apertura all’altro, di integrazione con l’altro e nell’altro.
Fondamentale è anche il riferimento all’archetipo di Afrodite, vista nei suoi vari aspetti e gradi: l’Afrodite Celeste e l’Afrodite Pandémia simboleggiano due stati e gradi dell’amore, quello spirituale e quello sensuale, quest’ultimo essendo visto come un primo grado di approssimazione esperienziale all’amore in senso alto, come Amore per il divino, come slancio fervido e raccolto verso la nostra origine spirituale. E’ importante notare come, nella visione evoliana, non vi sia scissione fra i due piani, ma come essi rappresentino, in realtà, due fasi di un unico iter ascensionale, poiché il divino non è un quid lontano dal mondo, ma si manifesta nel mondo, pur non riducendosi ad esso. A tale riguardo, si può ricordare la concezione indiana della Shakti, ossia l’aspetto “potenza” e manifestazione del divino, cioé l’aspetto femminile, dinamico che, non a caso, è definito nei testi tantrici la “splendente veste di potenza del divino” su cui l’orientalista (come ci ricorda bene Stefano Arcella) Filippani-Ronconi ha scritto pagine illuminanti nella sua opera Le Vie del Buddhismo. Non è marginale osservare che nello shivaismo del Kashmir, ossia nelle forme del culto di Shiva tipiche di quella regione dell’India nord-occidentale, la considerazione dell’aspetto shaktico del divino si riflette nella valorizzazione sociale della donna concepita come l’incarnazione terrena di quest’aspetto e, come tale, degna di rispetto e dotata di una sua dignità spirituale. Altro mito platonico cui il filosofo romano si richiama è quello di Poros e Penia, che spiega l’amore come perenne insufficienza, come continua privazione. E’ l’amore inteso come “sete inesausta”, come desiderio mai del tutto soddisfatto, come continuo anelito verso un completamento di sé mai del tutto realizzato e quindi fonte di perenne e nuovo desiderio. Qui si può cogliere il nesso fra lo stato esistenziale cui questo mito allude e l’amore sensuale, come tale sempre bramoso e sempre insoddisfatto.
L’insegnamento che la sacerdotessa Diotima (iniziata ai Misteri di Eleusi) tramanda a Socrate nel Simposio, in alcune pagine che sono fra le più belle del testo, è che l’amore sensuale rappresenta solo un primo grado per poi ascendere a forme più alte secondo una scala ascensionale che ha una sua continuità di gradi di perfezionamento. Questo ci offre la cognizione di un mondo che non demonizza il sesso, ma lo valorizza nel quadro di una visione ascendente della vita umana in cui la sensualità ha una sua funzione ed un suo valore, perché è il primo momento di accostamento al bello, colto nelle sue manifestazioni fisiche più agevolmente percepibili per poi ascendere, gradualmente, al bello ideale e spirituale, all’idea del bello in sé secondo la filosofia platonica che, in realtà, riprende e sistematizza, sul piano speculativo, più antichi insegnamenti misterici, com’è dimostrato dalla connotazione sacerdotale e misterica di Diotima, non a caso introdotta ai Misteri di Demetra e Persefone-Kore, che sono i misteri della femminilità e della terra, della fecondità fisica e spirituale insieme.
Possono allora comprendersi certe forme cultuali del mondo antico inconcepibili secondo la visuale cristiana, quali, ad esempio, la prostituzione sacra, presente nel culto di Venus Erycina ed in quello di Venere Cupria. La sacerdotessa, quale incarnazione di una potenza sacra, si univa sessualmente con l’uomo devoto a quel culto, perché così il fedele entrava in contatto con la sacralità della dea Venus. L’atto sessuale era, quindi, un veicolo di comunicazione con il divino, un sentiero di contatto e di unione con la trascendenza. Si comprende allora anche la sacralizzazione del fallo, testimoniato dall’iconografia e dal culto del dio Priapo e dalle processioni in onore di Dioniso (le falloforie), dove si portavano in mostra le rappresentazioni falliche quali epifanie del dio, presenti del resto nella religione egizia, quali ierofanie di Osiride, nel quadro dei Misteri egizi isiaci ed osiridei. Ancora oggi, in Giappone, si celebra annualmente una ricorrenza religiosa in cui le rappresentazioni falliche come oggetti sacri sono portate in processione.
Il problema di fondo che si pone è se e come tale visione sacrale del sesso possa essere praticata e realizzata nel quadro del mondo moderno e post-moderno, nell’era della rivoluzione tecnologica, informatica e telematica, in un ambiente desacralizzato e laicizzato. Certe forme cultuali e rituali (ierogamie, procedure tantriche) presupponevano l’esistenza dei Misteri, dei collegi misterici, dei sacerdoti e dei maestri spirituali, che sono del tutto assenti nell’età oscura, il kali-yuga dei testi indù.
Si ripropone quindi, in tema di sessualità, lo stesso problema che si presenta in linea generale per le possibilità di realizzazione spirituale che sono offerte nel mondo moderno ed in quello contemporaneo dove venuti meno i supporti rituali e misterici delle civiltà antiche e dove domina lo sviluppo scientifico e tecnico che parte da una visione materialistica del mondo in cui la concezione di una metafisica sessuale fondata su principi dionisiaci e nello stesso tempo sacrali in quanto rivolti verso l’alto e non verso i bassi istinti viene decisamente meno.