LO SGUARDO VERSO ORIENTE DI GIOVANNI TUCCI
Giuseppe Vincenzo Tucci (Macerata, 5 giugno 1894 – San Polo dei Cavalieri, 5 aprile 1984) è stato un orientalista, esploratore, storico delle religioni e buddhologo italiano. Autore di circa 360 pubblicazioni, tra articoli scientifici, libri ed opere divulgative, condusse diverse spedizioni archeologiche in Tibet, India, Afghanistan ed Iran. Durante la sua vita, è stato unanimemente considerato il più grande tibetologo del mondo. Nel 1933, fondò assieme a Giovanni Gentile, l'Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente di Roma e fece parte anche della Massoneria.
Nel 1925, in seguito al sostegno accordato dal Governo italiano al poeta bengalese Rabindranath Tagore, partì per l'India assieme a Carlo Formichi per insegnare come visiting professor Lingua, arte e letteratura italiana all'Università Visva Bharati di Shantiniketan.
Nel 1926 visitò l'Assam per accompagnare Tagore, ma, dopo le aspre critiche al fascismo proferite da Tagore, il governo italiano ritirò il suo sostegno a Visva Bharati e Tucci iniziò ad insegnare nelle università statali indiane di Dacca, Varanasi e Kolkata. Durante questi anni si recò nel Punjab, nel Kashmir e per due volte in Ladakh e altrettantein Sikkim, nonchè una in Nepal, principalmente per studiare i testi buddhisti contenuti nelle biblioteche monastiche e palatine.
Dal primo gennaio 1927 Tucci, che risultava docente alla Regia Università di Roma come incaricato di "Religioni e filosofia dell'India e dell'Estremo Oriente", fu collocato fuori ruolo e trasferito senza limiti di tempo sotto il Ministero degli Affari esteri, Direzione generale delle Scuole italiane all'estero.
Nel gennaio del 1929, in casa del filosofo e sanscritista indiano Surendranath Dasgupta, a Calcutta, Tucci incontrò Mircea Eliade (con il quale mantenne rapporti per tutta la vita) e frequentò esploratori del calibro di Sven Hedin, Paul Pelliot e Aurel Stein; inoltre formò generazioni di studenti, tra i quali vanno ricordati gli orientalisti Pio Filippani Ronconi, Fosco Maraini, Mario Bussagli, Raniero e Gherardo Gnoli e, in particolare, Luciano Petech.
Il 27 settembre 1929 fu nominato membro della Reale Accademia d'Italia.
Nel febbraio-marzo del 1930 fece un viaggio a Darjeeling e da giugno a settembre ancora in Ladakh. In tutto restò in Asia ininterrottamente per cinque anni e mezzo.
All'inizio del 1931 rientrò in Italia per insegnare lingua e letteratura cinese presso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli; passando poi dal primo novembre 1932 alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Roma La Sapienza, come professore straordinario prima e ordinario poi, Religioni e Filosofia dell'India e dell'Estremo Oriente fino al 1969.
Il rapporto con Gentile fu assai importante per Tucci in quanto Gentile rappresentava l'uomo di Mussolini dentro la cultura italiana, il filosofo ufficiale del fascismo (legato al Duce anche da una profonda stima a livello personale) e senza la sua mediazione , Tucci non avrebbe mai avuto accesso al capo, come amava chiamarlo. Fu sempre Gentile che volle nominare Tucci accademico d'Italia. Insieme poi, come anticipato, fondarono l'Istituto Italiano per il Medio e l'Estremo Oriente, l'IsMEO. Il rapporto fra i duerisaliva al 1917 ed si sviluppavaanche sul piano filosofico, dato che Tucci, uomo molto colto conosceva benissimo anche la storia del pensiero occidentale e trovava legami filosofici fra Oriente e Occidente. Il loro rapporto fu lunghissimo e si interruppe solo con l'omicidio di Gentile nel 1944.
Mussolini con lo scopo principale di sviluppare le relazioni culturali tra l'Italia ed i paesi asiatici diede a Tucci un ruolo di protagonista nella sua politica culturale e strategica, il cui obiettivo era quello della conquista dell’India. In un primo tempo l’interesse si esplicitava soprattutto in termini commerciali ma il vero obiettivo era quello di sostituirsi al British Raj come potenza coloniale; tale politica fu portata avanti con metodi molto pratici come la fondazione di una banca italo-indiana e il finanziamento di un giornale a Mumbay nella cui redazione furono mandati alcuni studiosi fascisti.
Tucci si segnalava per le sue immense capacità pratiche (chiunque avesse organizzato otto grandi spedizioni nel centro dell’Asia in quegli anni non poteva non averle) ed anche una robusta dose di cinismo e di disprezzo per la politica. Tutto questo gli aveva permesso una certa disinvoltura nel farsi finanziare le spedizioni prima dal fascismo e poi dai governi democristiani del dopoguerra. Ma l’abilità nel destreggiarsi era un’attitudine totalmente priva di fini bassamente utilitaristici o di carriera, ma era a servizio di una fantasia senza limiti e di una fortissima tendenza visionaria.
Fosco Maraini, in “Segreto Tibet”, scrive che a lui e agli altri membri della spedizione del 1948 non fu permesso di entrare a Lhasa e che solo Tucci, come buddista, ricevette il lam-yig (autorizzazione di transito). Tucci era infatti diventato buddista durante la spedizione del 1935, essendo stato iniziato dall'abate di Sakya, come scrive egli stesso in “Santi e briganti nel Tibet ignoto”. Tucci era convinto di essere stato un tibetano nella sua vita precedente e di essersi reincarnato in Occidente per aiutare il suo popolo a mettere in salvo le testimonianze della sua religione e della sua cultura.
Nel 1936-1937 fu inviato in missione culturale in Giappone come rappresentante del governo, col titolo di ministro. Ciò lo porterà nel 1947 ad essere sospeso dall'Università perché sottoposto a procedimento di epurazione.
Nel 1948 Giuseppe Tucci affronta un nuovo lungo viaggio ai più inaccessibili monasteri tibetani, accompagnato da Tenzing Norgay; nel 1953 tenne una conferenza agli incontri di "Eranos", che fu pubblicata negli Annali di Eranos con il titolo "Earth in India and Tibet”.
Nel 1968andò in pensione e nel 1970 fu nominato professore emerito e nel 1978 presidente onorario dell'IsMEO.
Poco prima della sua morte nel 6 febbraio 1984, il comune amico Gilberto Bernabei scrisse a Giulio Andreotti una lettera in cui diceva che Tucci era ridiventato cattolico. È molto probabile che fosse un'iniziativa di sua moglie Francesca, in ogni caso non vi è nessuna lettera o documento autografo di Tucci o da lui firmato che certifichi questo ritorno al Cattolicesimo dell'ultima ora.
Tucci che era nato in una famiglia di religione cattolica tuttavia l'8 ottobre 1973 e in una lettera pubblicata sul giornale “Il Tempo” (p. 3, rubrica "Copialettere"), in seguito ad una polemica dovuta al mancato incontro di Tucci col XIV Dalai Lama in visita al papa Paolo VI, Tucci scrisse: «Confermo ancora che io sono sinceramente Buddhista nel senso però che io seguo e cerco di rivivere in me le parole del Maestro nella loro semplicità originale, spoglie dalle architetture religiose e speculative logiche e gnostiche che, nel corso del tempo, le hanno travisate e distorte. Pertanto sempre profondamente rispettoso delle opinioni delle persone che fanno testimonio della sincerità della propria fede, io non credo in Dio, non credo nell'anima, non credo in nessuna Chiesa ma in tre principi soltanto: retto pensiero, retta parola, retta azione, semplici a dirsi, difficilissimi a mettere in pratica con coraggio e senza cedimenti, senza l'umiliazione del compromesso o gli indegni calcoli del vantaggio e dell'utile».
Afferma Stefano Malatesta: “Giuseppe Tucci è stato un visionario come lo erano i santi e i profeti di una volta, ma come questi avevano passato la loro vita a cercare gli dei, così Tucci aveva passato la sua ad evitarli, almeno quelli delle culture monoteistiche. Il buddismo, questa forma suprema di laicismo scelta da anime religiose che non si adattano ad avere un pantheon di padri padroni sopra di loro, l’aveva messo in guardia sulla vanità e l’inadeguatezza della mente inutilmente sovrana del passato e del futuro, del prossimo e del remoto. E sulla necessità, imperiosa per gli uomini, di staccarsi dall’effimero tragitto che porta dalla nascita alla morte”.
“Molto spesso Tucci” conclude Malatesta “auspicava il riavvicinamento tra la cultura occidentale e quella orientale. Eppure lui, meglio di chiunque altro, sapeva l’enorme distanza dei due modi di essere.
Noi pensiamo che l’asceta dell’Oriente dissipi vanamente il tempo che passa correndo dietro a fantasmi e visioni. Loro hanno pietà di noi che andiamo alla ricerca di cose che non sono nostre e mai lo saranno”.
Secondo Tucci: “La vita personale dovrebbe tornare a immergersi nella vita cosmica, immortale, quella di tutte le cose e di tutti i mondi che sono e che saranno. Allora non avremmo più paura di morire perché la morte apparirà nel suo vero significato”.