IL CREDO SENZA RELIGIONE NELL'EPOCA DEL PLURALISMO RELIGIOSO
Alcuni sociologi sono giunti alla conclusione che in tutto l’Occidente la vera religione di maggioranza relativa è quella delle persone impegnate in un “credere senza appartenere”: believing without belonging, secondo la formula proposta da Grace Davie nel suo “Religion in Britain since 1945. Believing without Belonging” (Blackwell, Oxford 1994).
La teoria della Davie e il concetto “credere senza appartenere” sono diventati argomenti importanti, tra la fine del XX secolo e il primo decennio del XXI, per le discussioni sulla “sociologia delle religioni” coinvolgendo studiosi importanti come Danièle Hervieu-Léger, Peter Berger ed Eileen Barker.
Un primo risultato della discussione ha collocato il “credere senza appartenere” in un contesto geografico specifico, ossia quello dei Paesi europei occidentali economicamente più avanzati, cui si aggiungono l’Australia e il Canada, mentre l'”appartenere” resiste negli Stati Uniti, in Africa, in Asia.
In alcuni contesti poi si verifica un fenomeno opposto al suddetto ma ad esso decisamente legato. Ci riferiamo al cosiddetto “belonging without believing” (appartenere senza credere), all’interno del quale persone che non credono nell’esistenza di Dio si dichiarano religiose o partecipano a riti religiosi in funzione di una affermazione di appartenenza nazionale o etnica (così è il caso israeliano, fu quello dell’Irlanda del Nord, ma anche quello dei Paesi Baltici e della ex Jugoslavia dopo la caduta del muro di Berlino). ciò si inquadra all’interno di una protesta politica e culturale che soprattutto oggi nei paesi occidentali ha assunto il significato di una “appartenenza basata sulla contrapposizione”; con essa non si fa più riferimento al principio “Io sono questo” quanto piuttosto “Io sono questo perché tu sei altro”; tale appartenenza religiosa si basa principalmente sulla fragilità dell’identità religiosa europea che produce due effetti: la paura che l’altro percepito come più forte dal punto di vista identitario (anche quando non lo fosse) possa portarci via ciò che abbiamo volutamente abbandonato o lasciato; e l’idea che la propria identità (compresa quella religiosa) si costituisca sulla contrapposizione all’altro senza il quale essa smetterebbe di essere. La presenza sempre più massiccia di immigrati di altri fedi ha visto la discesa in strada di uomini e donne innalzanti il crocifisso e nello stesso tempo non condurre vita religiosa ad esso legata. Questa appartenenza che possiamo definire “vicaria” perpetua, sia pure in modi nuovi, la presenza della religione come memoria collettiva.
A testimonianza di ciò si segnala l’esistenza, per esempio, sociologicamente e teologicamente ambigua (visto che per il cattolico la pratica è obbligatoria) dei “cattolici non praticanti” e di fedeli di religioni cui non si applica un obbligo di frequenza religiosa settimanale o che possono avere difficoltà a ricondurre le loro pratiche al concetto di “frequenza religiosa”.
Ci troviamo dinnanzi a un fenomeno di “religiosità multiple” che non solo mettono in discussione l’idea di una religione prioritaria, ma anche il rapporto, nel contesto attuale, fra religione praticata e visione modernizzata della religione stessa.
Da ciò emerge una “religione” non omogenea
non solo per la presenza di una molteplicità di fedi diverse ma anche per il fatto che all’interno di esse esistono una gamma di posizioni diverse e non solo in ambito dottrinale. Ciò porta ad esempio a situazioni che vanno dai “credenti a modo loro”, ai “cristiani a modo loro” e anche ai “cattolici a modo loro” al “sono cattolico, ma non pratico”, “sono cattolico, ma non sono d’accordo con la Chiesa” o anche posizioni come “sono cattolico, ma sono contro i preti”. A ciò si aggiunge quella percentuale di persone che “crede senza appartenere”, manifesta un’aspirazione al sacro, ma non partecipa regolarmente alle attività di nessuna confessione religiosa.
La sociologa francese Danièle Hervieu-Léger definisce tale fenomeno “disistituzionalizzazione” della religione e lo indica come una delle caratteristiche salienti del sacro postmoderno.
Nel contesto attuale esistono centinaia di proposte religiose, da un certo punto di vista impegnate in una sorta di lotta darwiniana per la sopravvivenza: a fronte di poche che sopravvivono ve ne sono molte che non hanno successo e muoiono.
Se ci si chiede – all’interno dell’area del “believing without belonging” – in che cosa chi non “appartiene” vuole comunque “credere”, la risposta deve fare riferimento non soltanto, o forse non principalmente, a credenze di tipo tradizionale, ma anche a credenze nuove che hanno portato ad un grande interesse, specialmente da parte dell’uomo occidentale, a movimenti di origine soprattutto orientale e non solo; vedi ad esempio i movimenti e ordini di tipo esoterico o magico che fanno da pendant alla crescita, o al ritorno, di diffuse credenze nella magia, del ricorso a pratiche magiche, della consultazione di “professionisti dell’occulto” o in una sorta di “scienza olistica” considerata in un senso negativo all’interno della quale vive tutto e il contrario di tutto.
Nella ricerca spirituale fin dagli anni sessanta si è registrato il cosiddetto fenomeno della New Age, ossia quelle che Paul Heelas chiama “sacralizzazione del Sé” o “spiritualità del Sé”, che peraltro sta rischiando in questa nuova epoca, con il passaggio dal New Age al cosiddetto “Next Age” di diventare semplicemente “spiritualità del me”.
Ciò ha portato ad uno scontro fra vie e percorsi iniziatici sorretti dalla tradizione e fenomeni iniziatici senza una vera e propria trasmissione e successione; allo scontro fra visioni letterali e allegoriche del testo sacro; tra exoterismo ed esoterismo; al conflitto fra fedi non più vissute come tali, ma come fenomeni geografici ed etnici, ma soprattutto al giudizio verso l’altro e ad una continua delegittimazione della verità altrui, dimenticando, per chi crede, che se Dio avesse voluto creare una sola comunità religiosa lo avrebbe fatto e che le la somma di tante verità soggettive (intese come i percorsi dei popoli spirituali di questa o altra fede ed estraniato dai contesti nazionali e politici) portano come risultato ad una sola ed unica verità che altro non è che la fonte da cui tutto proviene, ossia questo Uno per taluni descrivibile e manifesto per altri immanifesto e inaccessibile.