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di Massimo Mannarelli

L’ATTO RELIGIOSO IN MAX SCHELER


Max Scheler (Monaco di Baviera, 22 agosto 1874 – Francoforte sul Meno, 19 maggio 1928) è stato un filosofo tedesco.

Finita l'analisi della fenomenologia religiosa, Scheler procede a determinare in che cosa consista un atto religioso. È evidente che egli si richiama a quanto già espresso nella fenomenologia, soprattutto alla dimensione della capacità sintetica intenzionale che fa sì che ogni atto religioso sia di natura noetico e non solo psichico. Va sottolineato che l'atto religioso nasce all'interno dell'uomo, si rivela nella sua interiorità, ma non si esaurisce in un atto puramente interiore. L'atto religioso richiede la partecipazione della totalità della persona umana. È un atto che investe l'uomo in tutte le sue dimensioni, cognitive, volitive, affettive, sociali, ecc. È un vero atto della persona umana che impegna l'uomo in maniera totale. L'atto religioso si caratterizza per una triplice connotazione:

1. Trascendenza sul mondo. Un vero atto religioso coglie in forma sintetica ed unitaria la complessità dell'esperienza e della realtà, coglie in forma sintetica la realtà del mondo. Nei confronti del mondo poi esprime l'esigenza della trascendenza. Con l'atto religioso, l'uomo va alla ricerca di un oggetto intenzionale qualitativamente diverso da quello del cosmo.

2. Inquietudine verso Dio. L'atto religioso presagisce una inquietudine verso Dio. L'uomo con l'atto di religione, infatti, cerca un appagamento che può trovare solo nel divino. In questo senso, nota Scheler, Sant’Agostino ha espresso una delle esperienze originarie e fondanti: «Il nostro cuore è senza pace, finché non si placa in Dio». Questa inquietudine dice che l'atto religioso porta al rifiuto del mondo in quanto non sufficiente ad appagare le esigenze dell'uomo. Ciò significa, allo stesso tempo, apertura verso un essere che si pone come totalmente diverso. Non si tratta dunque di un'apertura verso un infinito indeterminato, ma verso un essere personale che si pone come diverso dal mondo, direbbe Horkheimer, come Totalmente-Altro.

3. La dimensione dialogico-personalistica. L'atto religioso è aspirazione ad entrare in rapporto con l'altro, ad entrare in intimità con Lui. «Dove l'anima non incontra Dio e non lo incontra al punto di sentirsi da lui sostenuta, non c'è alcun atteggiamento religioso... né alcuna religione, neppure naturale». L'atto religioso diventa dialogo ed interrelazione tra l'uomo e Dio-persona.

I tre momenti non sono indipendenti tra di loro, ma complementari e compresenti, infatti perché ci sia un vero atto religioso deve esserci la compresenza di tutti e tre.

Prima di concludere va fatta un'ulteriore notazione. L'atto religioso nasce all'interno del soggetto, nasce dunque come fatto individuale, nel senso che la fede è sempre una risposta personale alla chiamata di Dio, ma l'atto religioso tende ad includere tutti gli uomini nella realtà sperimentata. «La conoscenza religiosa è una conoscenza, che non è fatta prima della espressione culturale, ma che ha piuttosto il culto come veicolo essenziale necessario della propria crescita». L'atto religioso cosi è sempre individuale, ma si esprime e si concretizza in fatti ed espressioni sociali. Senza comunità, senza Chiesa, non c'è atto religioso. Il culto in tutte le sue forme e i suoi contenuti diventa il linguaggio simbolico-espressivo dell'atto religioso.

Il punto di riferimento del pensiero di Scheler è dato dalla convinzione che, nell'uomo, ci sia una esperienza religiosa autonoma e irriducibile ad altre forme di esperienza umana ed essa ha un suo proprio valore come e per quanto valore si attribuisce alle altre forme di esperienza. È la specificità propria dell'esperienza religiosa che rende la religione autonoma. Il punto dunque sta nel determinare e precisare quale sia la natura dell'esperienza religiosa. In questo contesto Scheler vede la specificità dell'esperienza religiosa nel fatto che essa si presenta non solo come esperienza su Dio, ma come esperienza che proviene da Dio. Ecco perché l'esperienza religiosa si presenta come salvezza e non come comunicazione di contenuti. Questo è possibile perché l'esperienza religiosa non è frutto solo dell'azione dell'uomo, ma è autorivelazione di Dio, è frutto dell'apertura di Dio verso l'uomo. Il sacro dunque non è semplicemente una categoria a-priori dell'uomo, ma è fondamentalmente conseguenza dell'amore suscitato nell'uomo da Dio. In estrema sintesi ci sembra questa la specificità e l'apporto notevole della filosofia della religione di Scheler. Un problema posto, ma non risolto in modo convincente è quello del rapporto tra religione e filosofia, cosi com'è impostato nel suo sistema di conformità. La religione come autorivelazione di Dio, a nostro avviso, non deve escludere la ricerca sui contenuti di verità che essa propone. È vero che la filosofia suscita "meraviglia" e non opera "salvezza", ma questo non significa che essa non possa dare il suo contributo razionale perché l'uomo possa comprendere di piú e vivere meglio il suo atto di religione. La religione crea speranza e dà possesso, la filosofia è ricerca. Niente vieta che ciò che è posseduto perché dato all'uomo da Dio nella Rivelazione, non sia poi ricercato dall'uomo tramite la filosofia.

A noi sembra che tra religione e filosofia bisogna mantenere la dialettica tra la serenità del possesso che viene dalla religione e l'inquietudine della ricerca che è propria della filosofia. Le due realtà non si identificano, né si escludono, restando autonome. Esse possono essere dialettizzate nella vita pratica in maniera tale che ciò che è dato come dono di Dio e viene sperimentato tramite la religione, diventi conquista di una ricerca filosofica che non potrà mai porre in essere l'atto di religione, ma ne potrà legittimare l’esistenza precisandone il valore e i fondamenti critici.

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