JNANA YOGA, KARMA YOGA E BHAKTI YOGA NELLE RIFLESSIONI DI SCHLEIERMACHER
Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher (Breslavia, 21 novembre 1768 – Berlino, 12 febbraio 1834) è stato un filosofo e teologo tedesco. È considerato tra i massimi esponenti della corrente filosofica dell'idealismo insieme a Hegel, Fichte e Schelling.
Le forme principali dello spirito umano, per Schleiermacher, sono tre: metafisica, morale e religione. Tutte e tre stabiliscono un rapporto dell'uomo con il Tutto. Nella metafisica è il pensiero che si rapporta alla totalità (jnana yoga); nell'etica è l'agire (karma yoga); nella religione è il sentimento (bakhti yoga). Queste tre attività dell'uomo non debbono essere confuse tra di loro. Esse hanno in comune l'oggetto: l'universo e l'uomo in rapporto con l'universo, ma differiscono fondamentalmente nel modo in cui le stesse si rapportano allo stesso oggetto. La metafisica si rapporta alla realtà per conoscerla, l'etica per agire e la religione per sperare. (già detto). Per Schleiermacher comunque vige la dipendenza della metafisica e dell'etica dalla religione. Senza la fondamentale intuizione religiosa della totalità infinita, la metafisica resterebbe come sospesa in aria, sarebbe una pura costruzione intellettuale, una mera esercitazione intellettualistica. L'etica, dall'altra parte, senza la religione non potrebbe fondare il principio da cui procede. Senza la religione, infatti, l'uomo sarebbe libero ed autonomo, assolutamente padrone del proprio destino, mentre l'intuizione religiosa rivela la dipendenza dell'uomo dalla totalità infinita che è Dio. In pratica, tramite l'intuizione religiosa, l'uomo percepisce Dio come principio-base di riferimento per la fondazione dell'etica. «Con tale opposizione, la religione, per entrare in possesso della sua proprietà, rinunzia ad ogni pretesa su ciò che appartiene alla morale e alla metafisica e restituisce loro tutto ciò che le è stato appioppato. Essa non aspira a conoscere e a spiegare l'universo nella sua natura, come fa la metafisica; non aspira a continuare lo sviluppo e a perfezionarlo mediante la libertà e la divina volontà dell'uomo, come fa la morale. La sua essenza non è né il pensiero né l'azione, ma l'intuizione e il sentimento. Essa aspira ad intuire l'universo; vuol stare a guardarlo piamente nelle sue manifestazioni e nelle sue azioni originali; vuole farsi penetrare e riempire dei suoi immediati influssi con passività infantile. Essa si oppone, dunque, ad ambedue in tutto ciò che costituisce la sua essenza e in tutto ciò che caratterizza i suoi effetti».
La religione, per Schleiermacher, consiste nella coscienza immediata che ogni essere finito è nel e per l'infinito, che ogni essere è nel e per l'eterno. Mediante la religione l'uomo entra in rapporto con l'universo infinito, sperimenta come se stesso e le cose siano parte di un tutto. Ogni ente e ogni cosa diventa manifestazione dell'infinità. L'uomo coglie tutta questa realtà tramite il sentimento di dipendenza che rappresenta il mezzo tramite cui l'uomo religioso coglie il suo stato di dipendenza nei confronti della Totalità. Il sentimento non esclude contenuti religiosi, ma sottolinea l'immediatezza della percezione. La teologia filosofica, e non la religione, può spiegare i contenuti concettuali legati al sentimento di dipendenza. L'idea di Dio non è esclusa dalla religione, ma essa non è parte essenziale della religione, per cui, paradossalmente si può dire che ci può essere religione senza Dio, in quanto un concetto non contaminato di Dio è possibile e garantito soltanto dall'esperienza religiosa. La religione non è una dottrina rivelata o fondata sulla ragione, non è un insieme di verità; non è nemmeno un insieme di precetti morali, né uno strumento della morale, la religione è sentimento, esperienza della Totalità, non comprensione di concetti teorici sulla Totalità, un vivere, sperimentando il rapporto con la Totalità.
Anche se in maniera non chiara Schleiermacher distingue tra Totalità e Dio. Totalità è il mondo, mentre Dio è l'unità. Tra la molteplicità del mondo e l'unità di Dio c'è uno stretto rapporto. Ora questa Totalità viene sperimentata come identica a se stessa, è totale e perfetta unità. Ma quando dall'esperienza si passa a concettualizzare, l'intelletto opera una serie di distinzioni e di opposizioni: l'unità infinita della percezione di dipendenza si scinde nelle idee di Dio e del mondo. Il mondo concettualmente viene concepito come totalità di tutte le opposizioni e di tutte le differenze, mentre Iddio è concepito come unità, come negazione delle opposizioni e delle distinzioni. Il pensiero concettuale non coglie il rapporto univoco di dipendenza del mondo da Dio, non coglie la compresenza, ma concepisce il rapporto tra Dio e il mondo come di una correlazione. Da qui la naturale opposizione di Schleiermacher alla razionalizzazione della religione. I concetti razionali non possono esprimere la vera natura della religione, appunto per questa esigenza di distinguere continuamente. Non è essenziale per la religione avere un concetto chiaro di Dio, quello che importa è avere una genuina esperienza religiosa di Dio. L'esperienza religiosa sta, infatti, al di là di ogni credenza: «Una religione senza Dio può essere migliore di un'altra con Dio». È solo la genuina esperienza religiosa di Dio che dà la possibilità e la garanzia per un concetto non contaminato di Dio. L'uomo, tramite il sentimento, scopre la sua dipendenza da Dio, poi sente il bisogno di esprimere e comunicare ciò che ha esperito, e quindi cerca parole, immagini, fa descrizioni, esprime ciò che di per sé è inesprimibile. Se l'uomo attribuisce valore letterale a queste sue immagini e descrizioni di Dio, egli fa mitologia. La mitologia cosi, per Schleiermacher, è attribuire al contenuto espresso il valore di verità letterale, mentre, al contrario, ogni espressione è solo un modo incompleto di dire l'esperienza di dipendenza da Dio.
In questo mondo di espressione del sentimento di dipendenza da Dio, il miracolo diventa la denominazione religiosa di un fatto che ha eccitato l'attenzione religiosa e per questo motivo conserva un valore speciale. «Il miracolo è semplicemente il nome religioso di un fatto; ogni fatto, anche il piú naturale e il piú abituale, quando ha certe proprietà tali che l'opinione religiosa che se ne ha può essere dominante, è un miracolo». Quest’ultimo, in pratica, è tutto ciò che ha fatto esperire il Tutto.
La Rivelazione non è un insieme di dottrine, ma è un fatto importante che si spiega con la connessione storica e una una serie di fatti storici tramite i quali Iddio dà prove concrete di ciò che è una vera esperienza di dipendenza dal Tutto.
Quando Schleiermacher parla di infinita dipendenza da Dio, si tratta sempre di esperienza che l'uomo compie nei confronti di Dio, tramite il sentimento. In pratica significa precisare che il sentimento di dipendenza è infinito allorché si riferisce a Dio. Sentirsi dipendente ed avere relazioni con Dio è una stessa cosa. Entrando in relazione con Dio l'uomo si sente totalmente dipendente da Lui.
Il sentimento religioso di infinita dipendenza è un sentimento di beatitudine; se a questo sentimento di beatitudine si aggiunge spesso l'afflizione, la sofferenza, ciò è possibile perché il sentimento religioso non si percepisce mai allo stato puro, ma è accompagnato sempre da altri sentimenti, determinati dalla natura finita e sensibile dell'uomo.
La novità della posizione di Schleiermacher è data dall'aver affermato l'originalità e l'autonomia della religione nei confronti dei fenomeni affini, come la metafisica e la morale. La priorità dell'esperienza religiosa viene affermata su ogni confluenza della religione con altre attività umane. Il sentimento che è all'origine del fenomeno della religione nell'uomo, dice che la religione viene intesa come momento essenziale all'interno della struttura metafisica dell'uomo. La religione dunque non è qualcosa di aggiunto di cui l'uomo può fare a meno: l'uomo è anche sentimento e quindi non potrà mai fare a meno della religione, che del sentimento è il prodotto storico concreto.
Anche se l'aver indicato ed affermato l'autonomia della religione è certamente un contributo notevole da parte di Schleiermacher, ciò avviene con molte aporie.
Anzitutto avere fondato l'autonomia della religione sul sentimento, ha rischiato di sottrarre la religione da ogni forma di riflessione razionale su di essa, in modo tale che si possa pensare alla religione come ad una realtà non solo oltre e al di fuori della ragione, ma contro la stessa ragione. Si può cadere inoltre in forme di soggettivismo e di antropocentrismo. Porre infatti al centro della religione non Dio, come fatto oggettivo, ma il sentimento dell'uomo può fare cadere la religione a pura creazione del sentimento dell'uomo. Già Hegel fa osservare una cosa del genere, Scheler preciserà i concetti affermando che l'oggetto del sentimento di dipendenza è l'Universo, in questo modo il romanticismo di Schleiermacher diventa una forma di panteismo; dall'altra parte una volta che Schleiermacher trascura l'oggetto che provoca nell'uomo questo sentimento di dipendenza, egli cade in una forma di soggettivismo. K. Barth addirittura sosterrà che la posizione di Schleiermacher è una preparazione all'ateismo antropologico di Feuerbach, in quanto porre al centro della religione non Dio, nella sua realtà oggettiva, ma il sentimento dell'uomo, significa fare l'uomo creatore della religione: trasformare appunto la teologia in antropologia.
Tuttavia Schleiermacher nonostante questi innegabili limiti, vuole ancora una volta sottolineare la grande importanza dell'affermazione di una sfera autonoma che fonda la religione, anche se ancora bisognerà fare molto cammino per precisare e fondare realmente qual è questa sfera autonoma che fa si che la religione abbia un suo ethos specifico: non conoscere, non fare, ma sentire.