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Sibilla Mannarelli

PAISIJ VELICOVSKIJ. UNA VOCE DAL GRANDE EREMO


Paisij Velicovskij (Poltava, 1722 – Monastero di Neamț, 15 novembre 1794) è stato un monaco ucraino.

Paisij proveniva da una famiglia sacerdotale. Nacque nel 1722 a Poltava e già nei primi anni della giovinezza venne a contatto con la vita ecclesiastica. Secondo l’uso dell’epoca, cominciò gli studi con la lettura del “Salterio” e dell’ “Orològion”. Ma ben presto l’istruzione tradizionale non riuscì a soddisfare le sue esigenze. Egli si isolò dall’ambiente circostante e cominciò ad immergersi nella lettura della Sacra Scrittura e delle opere dei Padri. Nella sua giovane anima sorse il desiderio di abbandonare il mondo e di farsi monaco, per condurre una vita simile a quella degli angeli. A tal punto amava il silenzio – così si narra – che sua madre stessa solo di rado poteva intrattenersi a parlare con lui. Era d’animo mite ed equilibrato, assai timido non solo di fronte agli estranei, ma anche nei rapporti con i familiari.

Dopo la morte del fratello maggiore – egli aveva allora tredici anni – grazie all’intervento dell’arcivescovo di Kiev fu accolto nell’Accademia teologica di quella città. Nei quattro anni che vi trascorse diede prova di essere uno scolaro diligente e dotato di notevole intelligenza, ma vi trovò ben poca soddisfazione interiore. Una notte lasciò di nascosto la scuola, fuggì da Kiev e si diede alla vita errante giungendo dapprima al monastero di Ljubec. Dopo tre mesi in seguito alla nomina di un nuovo igumeno, che aveva un carattere rigido e dispotico, si incamminò nuovamente.

Raggiunse poi il monastero di san Nicola su un’isola del fiume Tjasmin in Moldavia. Egli attese obbediente ai lavori che gli venivano affidati e si dedicò con tale zelo al servizio del monastero tanto che all’età di 19 anni l’igumeno gli diede la tonsura monastica e gli impose il nome di Platon. Ma la persecuzione per opera degli Uniati provocò un inatteso mutamento: le chiese furono chiuse ed i monaci cacciati dal monastero. Tornò quindi a Kiev, trovò lavoro in una tipografia, dove apprese pure l’arte di incidere icone nel bronzo. Un giorno, due monaci partirono per un pellegrinaggio e Platon si unì a loro e giunse in Valacchia con il proposito di raggiungere l’Athos.

A 24 anni insieme allo ieromonaco Trifonraggiunse l’Athos dove ottenne come abitazione un kellìon. Attorno a lui vivevano in piena povertà, rinuncia e silenzio monaci e padri che avevano ormai raggiunto un elevato grado di vita ascetica. Nella ricerca di un monaco che lo guidasse nella vita spirituale, egli si rivolse a più di uno tra loro, offrendo i suoi servizi. “Ma Dio dispose – si legge nella Vita – che non trovasse ciò che cercava. Allora egli si affidò alla Provvidenza Divina e rimase anche nel tempo successivo solo”.

Trascorse quasi 3 anni in una beata solitudine ed in un fruttuoso silenzio. In questo periodo giunse dalla Valacchia lo ieromonaco Vasilij e, quando comprese quale sviluppo avesse preso la vita spirituale del giovane Platon, lo rivestì del piccolo abito monastico (Mikròn Schima) e gli ridiede il nome di Paisij. Erano passati intanto altri quattro anni, allorché a lui si rivolsero alcuni giovani monaci e lo pregarono di prenderli sotto la sua guida spirituale e quindi dopo vari ripensamenti decise di farsi consacrare sacerdote e non lontano dal monastero del Pantokrator edificò una chiesa, un refettorio e sessanta celle. Ben presto le celle a disposizione non furono più sufficienti e Paisij considerò di ritornare in Valacchia per costruirvi un nuovo monastero. Trovo posto presso il monastero di Dragomirna intitolato alla discesa del Santo Spirito. Qui Paisij, che nel frattempo aveva ricevuto anche il grande abito angelico (Méga Schima), introdusse la vita cenobitica secondo le norme di san Basilio e san Teodoro Studita.

Il “silenzio sulle labbra e la preghiera nel cuore” sono la base della vita nel monastero unitamente al servizio ai fratelli, la lettura della Sacra Scrittura e delle opere dei Padri. Con l’autorizzazione dello Staretz viene concesso l’accesso alla preghiera del cuore.

Paisij era un instancabile modello di tutte le virtù ascetiche e spesso partecipava direttamente ai lavori dei monaci dicendo: “Fratelli nessuno può starsene ozioso, giacché dall’ozio nascono tutti i mali”. Due monaci che conoscevano il greco, provvidero alla traduzione delle opere dei Padri in slavo ecclesiastico ed in moldavo. Così nacque la traduzione slava della Filocalia (in slavo: “Dobrotoljubije”), che fu poi pubblicata grazie all’appoggio del metropolita Gavriil di Pietroburgo.

Nel 1774, dopo sei anni di lotte, ebbe termine la guerra tra la Russia e la Porta Ottomana. In seguito agli accordi di pace una parte della Moldavia toccò all’Austria, tra cui anche quella in cui sorgeva il monastero di Dragomirna. Paisij allora ottenne il permesso di trasferirsi nel monastero di Sekul ma in breve tempo diventarono molto numerosi e si dovettero trasferire con parte dei monaci nel grande monastero di Njametz, ed amministrare due monasteri.

Si diceva che avesse doti profetiche e più di una volta egli predisse fatti che poi si avverarono. Inoltre i miracoli e le guarigioni da lui compiute contribuirono ad accrescere la fama ed il rispetto di cui godette sino alla morte che sopraggiunse il 15 novembre del 1794 all’età di 72 anni.

La figura di Paisij Veličkovskij è stata riportata all’attenzione della coscienza ecclesiale in questi ultimi anni con la sua canonizzazione da parte della Chiesa Ortodossa russa e romena, rispettivamente nel 1988 e nel 1992.

Oltre all’indefessa attività epistolare e di traduzione, Paisij ci ha lasciato alcuni scritti, tra cui i Capitoli sulla preghiera interiore, dove si vede quale importanza egli attribuisca alla preghiera detta «di Gesù» o «del cuore»: «Essa permette di restare interiormente uniti a Gesù, perché questo ricordo purifica e santifica tutti i pensieri e i sentimenti di colui che prega e orienta tutte le sue azioni verso l’adempimento dei comandamenti di Cristo […] Invocare il suo Nome è già averlo in sé. La potenza del Nome del Salvatore infiamma il cuore di un amore ineffabile e divino» .

Ma lasciamo ora spazio alle sue parole:

Così si edifica la vita comunitaria dei cenobi: per prima cosa, figli miei occorre che chi presiede sia molto versato in tutte le divine Scritture, in pieno possesso del dono di un vero e retto discernimento, capace di istruire e di guidare i suoi discepoli secondo la potenza delle sante Scritttire. Abbia amore vero e sincero per tutti. Sia mite e molto umile, molto paziente. Sia assolutamente libero dalla collera. In secondo luogo, i discepoli siano nelle sue mani come utensili nelle mani dell'artista, come argilla nelle mani del vasaio, come la pecora nelle mani del pastore. Non posseggano beni particolari, nulla di nulla, nemmeno un ago. Non confidino in se stessi a proposito di nulla, ma solo nel loro padre spirituale.

Paisij Velickovskij, dalle Lettere

La vera obbedienza consiste in questo: nel non pensare che si servono gli uomini, bensì il Signore. Dall'obbedienza nasce l'umiltà e l'umiltà è il fondamento di tutti i comandamenti, così come l'amore ne è la sommità. Perciò sforzatevi, nei limiti delle vostre possibilità, di compiere tutti i comandamenti del Signore. Umiliatevi l'uno davanti all'altro; preferite l'altro a voi stessi e abbiate amore secondo Dio tra di voi. Allora ci sarà in voi un'unica anima e un unico cuore nella grazia di Cristo.

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