ABHINAVAGUPTA E LO YOGA DELLA GIOIA
Abhinavagupta, eminente filosofo, esteta e santo fu uno dei più importanti Acharya (Maestri) del Monismo Shivaita.
Nato in una famiglia di studiosi e mistici Abhinavagupta studiò tutte le scuole di filosofia e d'arte del suo tempo sotto la guida di ben quindici (o più) insegnanti e guru.
Si dice che Abhinavagupta non fosse il suo vero nome, ma un titolo onorifico assegnatogli da un suo maestro che significa competente ed autorevole. Nella sua analisi, Jayaratha (1150-1200 d.C.), il più importante commentatore di Abhinavagupta, rivela anche altri tre ulteriori significati del nome: colui che è sempre vigile, onnipresente e protetto da lodi. Raniero Gnoli (orientalista italiano allievo di Tucci), il solo sanscritista che abbia completato una traduzione del Tantrāloka in una lingua europea, afferma che Abhinavagupta significa anche nuovo, con riferimento alla forza creativa sempre nuova della sua esperienza mistica.
La famiglia aveva una lunga tradizione Shivaita. Suo padre Narasimhagupta e sua madre Vimalakala ebbero una grande influenza sulla sua vita e si crede che entrambi si sottoponessero a severe austerità per meritare un figlio straordinario dotato di poteri spirituali. Il termine con cui Abhinavagupta stesso definiva la sua origine fu "yoginībhū" "nato da una yogini". Sua madre morì quando aveva solo due anni ed il padre dopo la morte della moglie preferì seguire uno stile di vita ascetico, pur dedicandosi all'educazione dei suoi tre figli. Era un uomo estremamente colto e "straordinariamente devoto a Maheśvara" (Shiva) e fu il primo maestro di Abhinavagupta, istruendolo nella grammatica, nella logica e nella letteratura.
Nella sua vita non fu monaco errante, ma rimase nella sua casa (una sorta di ashram) con familiari e discepoli come scrittore e insegnante.
Abhinavagupta fu famoso per la sua insaziabile sete di conoscenza. Per la sua istruzione ebbe molti insegnanti (ben 15, o più), filosofi, mistici e studiosi. Frequentò visnuiti, buddisti, Shivaisti Siddhanta e gli studiosi del Trika. Fra i suoi maestri più importanti egli ne elenca quattro: Vāmanātha gli diede l'insegnamento relativo allo Shivaismo dualista; Bhūtirāja, che lo istruì nella dottrina dualista-nondualista; Lakṣmaṇagupta gli insegnò tutte le dottrine di pensiero monistiche: il Krama, il Trika e la Pratyabhijñā (tranne il Kula); Śambhunātha infine gli insegnò la quarta dottrina Kaula, fondata dalla figlia di Tryambaka.
Abhinavagupta sintetizzò e unificò i rami della tradizione shivaita fino ad allora trasmessa solamente da Maestro a discepolo (da guru a chela). Egli classificò lo Shivaismo del Kashmir in quattro sistemi:
Krama (“procedimento”, “serie”, “successione ordinata”) che tratta dello spazio e del tempo;
Spanda (“suprema vibrazione creatrice”) che tratta del movimento;
Kula (“stirpe”, “discendenza”) avente ad oggetto la scienza della totalità;
Pratyabijnya (“dottrina del Riconoscimento”) relativo alla scuola del Riconoscimento (il “Riconoscimento di Shiva” è la dottrina della realizzazione spirituale Shivaita).
L’attività letteraria di Abhinavagupta si espresse in opere di carattere specificatamente religioso o mistico, opere prevalentemente speculative e scritti di retorica e drammaturgia.
Il Tantraloka, l’opera religiosa più importante di Abhinavagupta, unificò tutte le apparenti differenze tra le scuole dello shivaismo kashmiriano. Egli definì (e riportiamo di seguito proprio le sue parole) come scopo di questo lavoro l’esposizione de “la verità sui Tantra, secondo la logica e la tradizione. Guidati dalla luce che essa emana, i devoti potranno con facilità orientarsi nei riti”.
I Tantra sono considerati testi rivelati direttamente dalla divinità, non appartengono ad un’unica scuola, né rappresentano un solo indirizzo di pensiero. Il culto shivaita, quello buddista e quello vishnuita vantano i loro Tantra che hanno in comune lo scopo ossia offrire agli uomini un mezzo più adeguato e diretto per arrivare a conseguire quei poteri soprannaturali o “perfezioni” (siddhi) o la liberazione definitiva dall’illusione dell’esistenza fenomenica.
L’opera di Abhinavagupta si presenta come una gigantesca summa del sapere esoterico in cui si tratta in maniera dettagliata di ogni possibile aspetto della via tantrica verso la liberazione: dalla natura onnicomprensiva della coscienza, alle pratiche yogiche connesse con il respiro e il “divoramento del tempo”; dal risveglio dell’energia kundalini alla natura e all’uso dei mantra; dalla preparazione ai mandala alle varie specie di iniziazione; dalle “cadute di potenza” con cui la Grazia Divina si manifesta nell’adepto; dai modi per valutare le caratteristiche di un guru; dai riti sessuali ai metodi che permettono di attingere l’universale pulsazione della coscienza.
Un altro suo testo importante è il commento alla Parātrīśikā, un breve testo sacro di trenta versi assai venerato dedicato alla Dea Suprema, Para. In essa viene spiegato il significato dell'energia dei fonemi e i due sistemi sequenziali di ordinarli, la Mātṛkā e la Malini.
Di seguito altre sue opere alcune delle quali purtroppo oggi andate perdute.
Tantrasāra, "Essenza del Tantra", è una versione riassunta, in prosa, del Tantrāloka, ed è stato a sua volta riassunto nel Tantroccaya e infine presentato in forma sintetica e molto breve con il nome di Tantravaṭadhānikā, "Il seme del Tantra".
Pūrvapañcikā è un commento al Pūrvatantra, ossia il Mālinīvijaya Tantra, oggi perduto.
Mālinīvijayā-vārttika, "Commento al Mālinīvijaya", è un commento in versi sulla prima strofa del Mālinīvijaya Tantra.
Kramakeli, "Il Gioco di Krama", è un commento al Kramastotra, oggi perduto.
Bhagavadgītārtha-Samgraha, che significa "Commento essenziale alla Bhagavad Gita", ha ora una traduzione in inglese di Boris Marjanovic.
Abhinavagupta ha composto anche un certo numero di poesie devozionali, molte delle quali sono tradotte in francese da Lilian Silburn.
Altre opere importanti di Abhinavagupta sono l'Īśvarapratyabhijñā-vimarśini, "Commento alle Stanze del riconoscimento del Signore" e l'Īśvarapratyabhijñāvivṛtivimarśini, "Commento alla spiegazione dell' Īśvarapratyabhijñā". Questo trattato è fondamentale nella trasmissione della scuola Pratyabhijnâ ai giorni nostri. Altri commenti quali il Pratyabhijnâ Śivadṛṣṭyālocana, "Commento che illumina le Stanze del riconoscimento di Shiva", il Padārthapraveśa-nirṇayaṭykā, "Commento alla Spiegazione introduttiva delle categorie" e il Prakīrṇakavivaraṇa, "Commento allo Zibaldone", – che si riferisce al terzo capitolo della Vākyapadīya di Bhartṛhari sono oggi perduti. Altri testi filosofici di Abhinavagupta sono Kathāmukhatilaka, "Ornamento del Volto dei discorsi", e Bhedavādavidāraṇa, "Confutazione del dualismo".
L'opera più importante di Abhinavagupta sulla filosofia dell'arte è l'Abhinavabhāratī - un commento lungo e complesso sul Nāṭyaśāstra, Libro del Teatro, di Bharata Muni. Quest'opera costituisce uno dei motivi fondamentali che hanno reso famoso Abhinavagupta fino ai giorni nostri. Il suo contributo più importante è la teoria del rasa ("gusto estetico"). Altre opere poetiche sono: il Ghatakarparakulakavivṛti, un commento a un poemetto chiamato Ghaṭakarpara attribuito a Kālidāsa; il Kāvyakauṭukavivaraṇa, "Commento all'incanto poetico" (un'opera perduta di Bhatta Tauta), ora perduto; e infine il Dhvanyālokalocana, "Illustrazione del Dhvanyāloka", la Luce del Senso Poetico, che è una famosa opera di Ānandavardhana, un retore e filosofo vissuto in Kashmir nel IX secolo.
Nell’ambito dello Yoga, Abhinavagupta non contraddice Patanjali ma lo rende più ampio e funzionale al mondo occidentale. Egli dice: “Anche dove appare la dualità, la realtà non è duale. E’ chiaramente stabilito anche nello Yoga, che sembra basarsi sulla dualità”.
Egli chiama il suo approccio Ananda Yoga, lo yoga della felicità. Egli considera la gioia il senso più elevato. L’approccio corporeo è l’espressione di questa gioia non concettuale, emozione pura. Egli dice: “La parte di felicità che si trova in ogni piacere della vita quotidiana è presa di coscienza del proprio sé”.
Le emozioni vengono viste come strade per apprendere il divino. La vita non è che emozione. Al contrario dello Yoga classico che vuole sopprimere le modificazioni mentali (citta vritti) egli ritiene che più si sviluppa la capacità di vivere le emozioni senza concettualismi e psicologia più si rivela la meraviglia della vita in tutte le sue forme. “Quando lo yogi diventa uno con la gioia d’un canto o di un’altra esperienza, c’è identità”.
Si dice che Abhinavagupta sia stato una manifestazione di Shiva e, secondo una leggenda sul momento della sua morte (collocato fra il 1015 e il 1025 a seconda delle fonti) narra che portò con sé 1200 discepoli e si diresse verso una grotta (la grotta Bhairava, un luogo reale conosciuto ancora oggi), recitando il suo poema Bhairava-Stava, un'opera devozionale.