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Sibilla Mannarelli

IBN ARABI, IL GRANDE SHAYKH


Muhammad ibn ʿAlī ibn Muhammad ibn al-ʿArabī, più noto come Ibn ʿArabī, nacque a Murcia il 28 luglio 1165. Gli vennero dati i nomi di al-Shaykh al-Akbar (il più grande maestro), Muḥyiddin Ibn Arabi, ed in seguito divenne noto anche come il grande Shaykh.

La famiglia di suo padre sosteneva di discendere dal leggendario poeta arabo Hatim al-Tai. Il padre servì nell'esercito di Abu Abd Allah e quando quest’ultimo morì (1172), spostò la sua fedeltà al sultano almohade, Abū Ya'qūb Yūsuf I, diventando uno dei suoi consiglieri militari. La sua famiglia si spostò così a Siviglia.

La madre proveniva da una nobile famiglia berbera con forti legami con il Nord Africa. Uno zio materno, Yahya ibn Yughman, ricco principe della città di Tlemcen, lasciò tutto per condurre una vita di spiritualità dopo aver incontrato un mistico sufi.

Ibn Arabi nella sua giovinezza incontrò diverse volte al-Khidr (un semi-misterioso personaggio del Corano che compare nella Sūra XVIII, ai versetti 59-81). Un primo incontro avvenne quando Ibn Arabi era ancora adolescente e viveva a Siviglia. Dopo aver avuto una discussione accesa col suo maestro egli si era allontanato con disappunto e poi per strada, uno sconosciuto lo apostrofò con affetto: “Muham mad! Fidati del tuo maestro. Si tratta proprio di quella persona”. Tornato dal suo maestro questi lo anticipò dicendogli: “Sarà proprio necessario che al-Khidr ti appaia ogni volta che dovrai fidarti della parola del tuo maestro?”.

La seconda volta fu a Tunisi di notte a bordo di un battello quando un malessere lo svegliò mentre tutto l'equipaggio era immerso nel sonno. In quel momento, vide qualcuno camminare sulle acque e conversare con lui per un istante. Il giorno dopo, un sant'uomo sconosciuto gli domandò: “Ebbene, com'è andata la notte in compagnia di al-Khidr?".

I suoi studi iniziarono a Siviglia e Ceuta. La maggior parte dei suoi insegnanti erano clero dell'epoca almohade e alcuni di loro ricoprivano le cariche ufficiali di Qadi o khaṭīb. Il suo mentore spirituale di Fes era Muhammad ibn Qasim al-Tamimi.

Nel 1179 ebbe occasione di avere a che fare con il filosofo Averroè, ormai settantenne, che aveva espresso il desiderio di incontrarlo. Tale incontro fu molto importante per entrambi: Averroè fu molto colpito da un "così divino maestro", al quale chiese: "Come risolvi il dilemma dell'illuminazione e dell'ispirazione divina? Sono queste identiche a ciò che ci giunge dalla riflessione speculativa?", ricevendo dal giovane Ibn ʿArabī la stringata ma densa risposta: "Si e no". Malgrado la sua giovane età (aveva infatti 14 anni appena) percepiva la debolezza del percorso razionalistico della filosofia per giungere alla verità della Rivelazione.

Fino al 1198 Ibn ʿArabī trascorse la sua vita in Andalusia e in Maghreb, incontrando sufi e teologi razionalisti, talvolta misurandosi con loro in dibattiti. Per tutto questo tempo ebbe varie visioni mistiche. Nel 1198 ebbe una nuova visione che gli ordinava di partire verso est, ove avrebbe passato il resto dei suoi giorni. Dopo alcuni anni di viaggio attraverso Arabia, Egitto, Asia Minore e altri luoghi, divenuto ormai maestro di grande fama, si stabilì a Damasco dove trascorse il resto della propria vita. Qui avvenne un altro incontro importante per gli sviluppi del sufismo con il giovane Rumi destinato a diventare il più grande poeta mistico della letteratura persiana medievale. Durante questo periodo completò la sua opera principale, i dodici volumi delle al-Futūḥāt al-Makkiyya ("Le Rivelazioni della Mecca"), che era non solo un'enciclopedia esaustiva del credo e delle dottrine del sufismo, ma anche un diario trentennale delle sue esperienze spirituali; un compendio di scienze esoteriche dell'Islam che sorpassò qualsiasi altra opera precedente ma anche successiva che trattasse degli stessi argomenti.

Nell'anno 1200, andò in Marocco dove si congedò dal suo maestro Yūsuf al-Kūmī, che viveva nel villaggio di Salé in quel momento.

Nel 1201 a trentasei anni visitò la Mecca dove fu accolto da una nobile famiglia persiana, la cui figlia aveva il dono di una profonda saggezza spirituale e che introdusse Ibn ‘Arabi all'iniziazione dei Fedeli d'amore.

Racconta il mistico islamico: « Ora, questo shaykh aveva una figlia, un’adolescente sagace che incatenava gli sguardi di chiunque la guardasse, la cui sola presenza costituiva l’ornamento delle riunioni, e suscitava meraviglia fino allo stupore in chiunque la contemplasse. Il suo nome era Nezàm (Harmonia), e il soprannome “Occhio del Sole e della Bellezza” (Ayn al-Shams wàl-Bahâ). Savia e pia, già piena dell’esperienza della vita spirituale e mistica, ella personificava la veneranda antichità dell’intera Terra Santa e la gioventù ingenua della grande città fedele al Profeta. La magia del suo sguardo, la grazia della sua conversazione erano così incantevoli che, se le accadeva di essere prolissa, la sua parola scorreva come acqua che sgorgasse dalla fonte; concisa, era un prodigio d’eloquenza; quando dissertava, sapeva essere chiara e trasparente [...].

Allora, io decisi che l’avrei presa come fonte d’ispirazione dei poemi che questo libro contiene: sono poemi d’amore, composti di frasi eleganti e dolcissime, benché io non sia riuscito ad esprimere nemmeno una parte dell’emozione che provava l’anima mia e che la frequentazione di questa fanciulla suscitava, né del generoso amore che io sentivo, né del ricordo che la sua costante amicizia ha lasciato nella mia memoria...». Nezam diviene quindi per lui quello che fu Beatrice per Dante.

Dopo la Mecca, egli viaggiò in tutta la Siria, la Palestina, l'Iraq e l'Anatolia. Successivamente ci fu un importante incontro con Shaykh Majduddīn Isḥāq ibn Yūsuf, nativo di Malatya e uomo di grande importanza alla corte selgiuchide con cui visitò Medina e Baghdad e incontrò i discepoli diretti dello Shaykh ‘Abd al-Qādir Jīlānī. Ibn Arabi vi rimase solo per 12 giorni perché voleva visitare Mosul a vedere il suo amico ‘Alī ibn ‘Abdallāh ibn Jāmi', un discepolo di Qaḍīb al-Bā. Vi trascorse il mese del Ramadan componendo "Il libro della Maestà e bellezza". In seguito visitò Gerusalemme, La Mecca e l'Egitto. Dopo il 1204 al Cairo, ebbe un'altra visione dove vide un essere di straordinaria bellezza che gli annuncia: “Io sono il messaggero che l'Essere Divino ti invia”. È in questo modo che gli venne rivelata la sua dottrina.

Attraversò poi la Siria, visitando Aleppo e Damasco. Più tardi, tornò alla Mecca, dove continuò nei suoi studi.

Ibn Arabi morì a Damasco il 16 novembre 1240. Il suo corpo venne seppellito a nord della città, nel quartiere di Sàlihiyya, ai piedi del monte Qasiyun. Nel XVI secolo, Selim II, sultano di Costantinopoli, fece edificare sulla sua tomba un mausoleo e una madrasa.

Ibn Arabi iniziò a scrivere i suoi trattati quando aveva all’incirca 27 anni e continuò a farlo per il resto della sua vita. Pare che egli abbia scritto circa 300 opere alcune delle quali sono molto lunghe mentre altre estremamente corte. Le sue opere maggiormente conosciute sono:

Fusûs al-hikam (I Castoni della saggezza)

Viene comunemente ritenuto la quintessenza dell’insegnamento spirituale di Ibn Arabi. Si compone di ventisette capitoli, ognuno dei quali è dedicato al significato spirituale ed alla saggezza di un determinato profeta abramitico. A distanza di secoli, i discepoli di Ibn Arabi ritengono estremamente importante questo libro tanto da consacrarvi all’incirca un centinaio di commentari.

Al-Futûhât al-makkiyya (Le Illuminazioni della Mecca)

Questa opera rappresenta una grande compendio di metafisica, cosmologia, antropologia spirituale, psicologia e giurisprudenza. Fra i temi che affronta, si incontrano i significati reconditi della ritualità islamica, le stazioni di sosta che raggiungono i pellegrini in viaggio verso Dio ed in Dio, la costituzione della gerarchia cosmica, il significato ontologico e spirituale delle lettere dell’alfabeto arabo, le scienze che comprendono ognuno dei novantanove nomi di Dio ed il significato dei messaggi divergenti di certi profeti.

Tarjumân al-ashwâq (L’interprete dei desideri)

Questa breve collezione di poesia amorosa venne ispirata dall’incontro di Ibn Arabi, durante il suo primo pellegrinaggio a La Mecca, con Nizam. Più tardi, scrisse un commentario molto esteso sui poemi per dimostrare ai suoi detrattori, che questi trattavano di verità spirituali e non di amore profano. Alcune poesie de “L'Interprete dei desideri” non sono distinguibili da comuni componimenti d'amore e pertanto alcuni suoi contemporanei rifiutarono di credere nelle sue proclamate intenzioni. Egli, quindi, con i suoi commenti aveva la necessità di tacitare i suoi critici e convincerli che le sue poesie erano mistiche nello spirito e nelle intenzioni dando minuta e precisa interpretazione di ogni verso, per non dire di ogni parola. Quando Ibn Arabî pubblicò il suo commentario omise dalla prefazione i passaggi relativi alla bellezza di Nizam che si trovano nella prima recensione. Non c'è dubbio sul fatto che essi fossero stati fraintesi ed eliminarli fu soltanto un espediente per privare i suoi detrattori di un'arma micidiale, da cui l'autore non si sapeva difendere altrimenti. Nizam fu per lui (e manifestamente non fu altro) una Beatrice, un prototipo di perfezione celeste, una personificazione dell'amore e della bellezza divina.

Ibn Arabi è generalmente riconosciuto come il maggior esponente del Wahdat al-Wajud, sebbene egli non abbia mai usato tale termine nei suoi libri. Come ogni mistico, la sua enfasi veniva posta sul vero potenziale dell’essere umano e sul sentiero per realizzare tale potenziale raggiungendo lo status di uomo perfetto (al-insan al-kamil).

Wahdat al-Wajud è un particolare tipo di filosofia che prevede “che mentre Dio è assolutamente trascendente rispetto all’universo, l’universo non è completamente separato da lui; l’universo è misteriosamente immerso in Dio”.

Ibn Arabi mostra come ‘Un uomo perfetto’ diventi l’immagine completa di questa realtà e quindi quelli che conoscono davvero sè stessi conoscono Dio, ovvero la realtà. I suoi scritti offrono un’ampia esposizione del concetto di unità dell’essere, l’unica ed indivisibile realtà che trascende tutto e si manifesta in tutte le immagini del mondo. Per questa teoria egli fu accusato di essere un panteista che vede una sostanziale continuità tra Dio e l’Universo mentre invece Ibn Arabi riteneva che Dio trascendesse ogni categoria.

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