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Sibilla Mannarelli

PADRE SILVANO, UMILTA’ E AMORE PER IL NEMICO


Simeone Ivanović Antonov, noto come Silvano del Monte Athos o Silvano Athonita è stato un mistico russo.

Nacque nel 1866 a Šovskoe nell'Oblast' di Lipeck nella Russia europea.

Umile contadino della Russia centrale, da giovane conobbe i traviamenti propri dell'ambiente e dell'età: sedusse una ragazza, accecato dall'ira colpì un suo compagno che lo beffava con un pugno così violento da provocarne la morte. Nonostante scosso da tali passioni egli sentiva nel suo cuore l'appello di Dio fin dalla giovinezza.

Fu la parola della Madre di Dio che lo distolse dalla vita impura e gli accese nel cuore un orrore invincibile per il peccato, un dolore incontenibile per l'offesa recata a Dio, come se stesse bruciando nel fuoco dell'inferno. Prima ancora di andare soldato, una notte si svegliò di soprassalto con l'impressione di avere ingoiato un serpente e nello stesso istante udì nell'intimo una voce: "Tu provi disgusto per avere in sogno inghiottito un serpente, così mi fa orrore di vedere quello che fai".

A 26 anni, una settimana dopo il suo ritorno dalla vita militare, lasciò la famiglia e la patria per entrare al Monte Athos (Grecia), presso il monastero della comunità ortodossa russa di Panteleimon, dove nel 1896 ricevette i voti monastici e il nome di Silouan (il nome russo per il biblico Silvanus) in italiano, Silvano.

Prima di ritornare dal servizio militare andò a Cronstadt per visitare il famoso padre Giovanni. Gli chiese di pregare per lui per ottenergli la perseveranza nella sua vocazione.

Nel 1911 ricevette il titolo di schimonaco, riservato agli asceti più esperti.

Egli visse come un semplice monaco: dopo un breve periodo di vita solitaria rimase sempre al servizio della comunità nel monastero. Lavorò al mulino, nel podere e soprattutto come economo nel magazzino. La povertà dei fatti esteriori e la semplicità della vita interiore impedirono, finché visse, che la sua grandezza spirituale fosse riconosciuta pienamente anche dai monaci del suo stesso monastero.

I primi anni egli visse un combattimento spirituale: nonostante tutti i suoi sforzi e le sue preghiere Dio gli era assente e a Silvano sembrò di fallire. Egli arrivò ai confini della disperazione, della bestemmia, forse della pazzia; vedeva demoni che lo blandivano e che a volte lo assalivano con furore impedendogli la preghiera e togliendogli la pace. Non dormiva più e mangiava pochissimo.

Proprio in questo estremo tormento Dio lo soccorse. Gli apparve Gesù e Silvano non poté più dimenticare, finché visse, lo sguardo inconcepibilmente mite del Cristo. Allora «seppe» l'amore infinitamente misericordioso di Dio, svanì il dubbio e fu vinta per sempre la disperazione. Da allora la sua anima fu circondata di luce.

Quando pensò di confidare la sua anima ad uno dei padri del monastero, cercò quello che gli sembrava più avanti nelle vie dello spirito e gli aprì con candore l'anima sua. Il padre spirituale si stupì che il giovane monaco fosse giunto già tanto avanti. La meraviglia di colui che doveva guidarlo nelle vie dello spirito, invece di far sentire semplicemente a Silvano che Dio lo voleva nella sua solitudine, scatenò di nuovo in lui la tempesta. Ecco: egli era dunque perfetto pur essendo laico e assai giovane ancora, era così avanti nelle vie dello spirito da superare i più anziani monaci dell'Athos. Nel suo orgoglio egli non si difese contro le suggestioni del suo spirito e ebbe, o gli parve avere, delle visioni: si apriva il cielo sopra di lui, sentiva il canto degli angeli, contemplava i santi e si sentiva già come uno di loro. D'improvviso una luce lo avvolgeva nella notte ed egli non riusciva a combattere con perseveranza e vigore, si abbandonava a tutto questo susseguirsi di esperienze interiori che lo esaltavano per lasciarlo poi depresso. A volte la visione terminava in una tregenda bizzarra, in un ghigno satanico. Supplicava il Signore di assisterlo, ricacciava la tentazione, invocava Dio, lo implorava piangendo.

In quest'ultimo periodo del suo combattimento interiore l'anima sua non disperò mai, non dubitò mai dell'amore di Dio; egli non sapeva tuttavia in che modo liberarsi da tutte queste suggestioni importune che lo opprimevano. Se ne lamentò una notte col Signore e finalmente ricevette la risposta di Dio che lo stabiliva per sempre nella pace: "Tienti consapevolmente nell'inferno, gli disse il Signore, e non disperare".

Silvano ormai era giunto alla piena maturità spirituale: vi rimase umile, semplice, sereno fino alla morte. Nulla cambiò all'esterno. Amava i suoi confratelli, li venerava come immagini del Cristo. Soffriva per gli operai al servizio del monastero, per tutti gli uomini e particolarmente per coloro che erano nemici del Cristo e non conoscevano Dio. Nel suo cuore vi erano infinita dolcezza e infinita pietà.

Tra i suoi scritti una delle pagine più belle è quella dedicata al «lamento di Adamo». Adamo, padre dell'umanità, aveva conosciuto la beatitudine dell'amore di Dio nel paradiso, e perciò soffriva amaramente quando il peccato lo ebbe scacciato e gli ebbe fatto perdere l'amore e la pace di Dio. Si doleva di aver perso l'amore che attrae continuamente l'anima a Dio. Ogni anima che dopo aver conosciuto Dio nello Spirito Santo ha perso la grazia, si sente come Adamo. Quando poi Adamo vide Abele ucciso dal fratello Caino, non contenne più il suo dolore e piangendo gridò: “Da me sorgeranno dei popoli e si moltiplicheranno, ma vivranno in inimicizia e si uccideranno”.

Lo Staretz vede in Adamo cacciato dal Paradiso la condizione di ogni uomo e in questo senso il lamento di Adamo è il lamento di ogni uomo che sospira per aver perduto Dio. Secondo lo Staretz nessuno potrebbe amare Dio se non lo conoscesse, ma ogni uomo porta come sepolto nel più profondo di sé il ricordo del paradiso perduto: questo ricordo dà all’uomo che ritorna in se stesso una viva e dolorosa nostalgia di Dio.

La dottrina spirituale di Silvano si forma dall'assidua lettura della filocalia e dalla tradizione viva dell'Athos: egli sosteneva che se anche si fossero perdute tutte le opere dei Padri sulla vita spirituale vi sarebbero sempre state sul monte Athos delle anime capaci di scrivere di nuovo tutte quelle opere.

Egli conosceva la durezza del combattimento spirituale, il doversi sottrarre all'impero delle passioni vigilando costantemente e chiedendo a Dio di permettergli di capire i raggiri del demonio, gli inganni dell'amor proprio, e riconoscere l'azione del nemico e smascherarla. La fede e l'umiltà furono le sue armi principali.

Egli dice: “L'orgoglioso ha paura dei demoni o è diventato demoniaco egli stesso. Ma noi dobbiamo temere la vanità e l'orgoglio, non i demoni, altrimenti perdiamo la grazia. Non dobbiamo trattenerci con gli spiriti maligni affinché l'anima nostra non sia insudiciata. Chi rimane nella preghiera viene illuminato dal Signore. La nostra battaglia è dura e rabbiosa, ma solo per gli orgogliosi e i superbi; è invece facile per gli umili, che amano il Signore; Egli dà loro un'arma potente: la grazia dello Spirito Santo. I nostri nemici temono tale arma, tale arma li brucia. Questa è la via più breve e più facile alla nostra salvezza: sii ubbidiente e casto, non giudicare, conserva il tuo spirito e il tuo cuore dai pensieri cattivi, pensa che tutti gli uomini sono buoni e che il Signore li ama. Tante sono le armi: il digiuno, la vigilanza, la preghiera, ma l'arma più efficace di tutte è l'umiltà. Anzi l'umiltà è l'arma assolutamente efficace: "chi è umile ha già vinto l'avversario".

Silvano chiese a Dio l'umiltà con lacrime incessanti. Per lui, come per San Francesco, l’umiltà è la rivelazione stessa di Dio nel volto di Gesù e solo l’umile può vedere Dio.

Caratteristica di Silvano è il senso di una sua unità con tutti gli uomini che lo fa insistere continuamente negli scritti sul comandamento dell'amore verso i nemici: chi ha raggiunto l'umiltà ottiene da Dio la sua grazia e prega per i suoi nemici e per tutto il mondo con calde lacrime. Questo amore sormonta ogni barriera e fonde ogni durezza.

Grazie a questo amore padre Silvano si fa uno con gli stessi nemici della Chiesa, assume sopra di sé il loro peccato, implora per loro la misericordia di Dio. Ecco la sua preghiera: “Signore, come tu hai pregato per i tuoi nemici, così insegna anche a noi per lo Spirito Santo ad amarli e a pregare con lacrime anche per loro”.

La parola di Dio “Amerai il prossimo tuo come te stesso” divenne per Silvano l'espressione di una unità quasi ontologica.

Diceva ancora: “Io sono cattivo e, dinanzi al Signore, più brutto di un cane rognoso, per i miei peccati. Ma ho pregato Dio di perdonarmeli, ed egli non soltanto mi dette il perdono, ma anche lo Spirito Santo, e nello Spirito Santo io riconobbi Dio. ... Lo Spirito Santo è come una madre che ama suo figlio e sente con lui. Egli si fa conoscere nella preghiera umile, soffre con noi e perdona, sana e istruisce. … Lo Spirito Santo ci fece parenti del Signore. Se senti in te la pace divina e l'amore per tutti, la tua anima assomiglia già al Signore”.

Tramite le sue parole, Silvano rende testimonianza di un’esperienza mistica straordinaria. Tali parole, nella loro semplicità esprimono l'ineffabile.

Egli morì il 24 settembre 1938. Fu canonizzato il 26 novembre del 1987 dal Patriarca di Costantinopoli Dimitrios I, ultimo asceta del Monte Athos ad avere tale destino.Il monaco cattolico Thomas Merton lo definì "il più autentico monaco del ventesimo secolo".

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