BADSHAH KHAN E MAULANA AZAD. IL GANDHISMO ISLAMICO
Nell’Islam – come in altre religioni o correnti di pensiero – sono emerse delle figure che hanno svolto un ruolo fondante nella diffusione della pratica della non violenza come Abdul Ghaffar Khan “Badshah Khan” (1890-1988) e Maulana Abul Kalam Azad (1888-1958), i quali con il loro rifiuto della violenza e della vendetta e la loro disponibilità a vivere, cooperare e costruire con i non musulmani hanno lasciato una preziosa eredità non violenta. Quest’ultima può essere, oggi, di grande aiuto per superare non solo le divisioni tra laici e religiosi nel mondo islamico, ma anche nella costruzione di una nuova sfera pubblica musulmana.
Molti considerano Abdul Ghaffar Khan un nazionalista Pashtun, piuttosto che un fautore dell’islam non violento. Egli iniziò a dar forma alla sua filosofia della non violenza ancora prima di entrare in contatto con il Mahatma Gandhi, ma, a differenza di quest’ultimo le cui idee erano ispirate dalla Bhagavad Gita, dal Nuovo Testamento e dagli scritti di Thoreau e Tolstoj, Ghaffar Khan traeva ispirazione direttamente dal Corano e dal profeta Mohammed. Egli, infatti, era solito dire: “Non ho imparato la laicità da Bapu (Gandhi, ndr). L’ho trovata nel Corano”.
Verità, amore e servizio erano centrali nella concezione di Ghaffar Khan per la costruzione di una sfera pubblica spiritualizzata, all’interno della quale ogni fede avrebbe svolto un ruolo importante, soprattutto nel perseguimento dell’unità tra musulmani e induisti, già sperimentata durante il dominio dell’Imperatore moghul Akbar; da ciò nasceva la sua contrarietà alla creazione del Pakistan come patria per i soli musulmani del subcontinente indiano.
Badshah Khan, come Maulana Azad, era un ardente sostenitore della tolleranza come uno dei valori fondamentali dell’esistenza stessa credendo nella sostanziale somiglianza dei principali insegnamenti di tutte le grandi tradizioni. Il fine della religione non era, quindi, dividere gli uomini, ma unirli. L’unità delle religioni, per come la interpretava Maulana Azad, non era identità di queste ultime nè tanto meno uniformità delle credenze: esse rimanevano, per Azad, strade diverse, ma dirette tutte verso lo stesso scopo, in quanto verità rivelate da Dio in diversi testi, diversi linguaggi, attraverso diversi profeti e in diverse nazioni. Azad nel suo Tarjumanul- Quran afferma: “Non è corretto considerare queste differenze come unità di misura del vero e del falso”. Tuttavia Azad distingue bene tra dîn e sharî’a. La sharî’a può variare da persona a persona, a seconda del tempo, del luogo e dei modi di vita in condizioni diverse, ma il dîn, che è l’essenza stessa della fede, è una per tutti. In sostanza, l’interrogativo di Azad e di Ghaffar Khan è: se la religione esprime una verità universale, perché dovrebbero esserci differenze e conflitti tra coloro che professano religioni diverse? Azad giunge a definire la laicità non come l’assenza, nello spazio pubblico, di religione o di spiritualità quanto piuttosto il terreno dove si incontrano rispettosamente le diverse credenze. Egli si oppone all’idea di uno spazio comune mono-religioso o mono-secolare aprendo, invece, le porte ad un pluralismo religioso dove le molteplici fedi coabitano in un clima di comprensione, tolleranza, mutuo rispetto e stima reciproca. Nella mente di pensatori come Ghaffar Khan e Maulana Azad, in tale spazio pubblico laico la religione diventava questione puramente personale e non forma comunitarista e separata dagli aspetti politici, economici, culturali e sociali della vita della nazione. In quest’ultima la totale libertà di culto per tutti e le pari opportunità senza discriminazione alcuna diventavano principio fondante.
Badshah Khan, poi, fondò il primo esercito non violento della storia, il Khudai Khidmatgar (servi di Dio) un esercito di soldati pasthun disarmati, ma nello stesso tempo addestrati e disciplinati, con quadri, uniformi, bandiere, pronti ad affrontare spavaldi il nemico per una giusta causa senza indietreggiare né rispondere.
Il pacifico miliziano giurava recitando: “Sono un Khudai Khidmatgar, e poiché Dio non ha bisogno di essere servito, ma servire la sua creazione è servire lui, prometto di servire l’umanità nel nome di Dio. Prometto di astenermi dalla violenza e dal cercar vendetta. Prometto di perdonare coloro che mi opprimono o mi trattano con crudeltà. Prometto di astenermi dal prendere parte a litigi e risse e dal crearmi nemici. Prometto di trattare tutti i patta come fratelli e amici . Prometto di astenermi da usi e costumi antisociali. Prometto di vivere una vita semplice, di praticare la virtù e di astenermi dal male. Prometto di avere modi gentili ed una buona condotta, e di non condurre una vita pigra. Prometto di dedicare almeno due ore al giorno all’impegno sociale”.
Tutto ciò in conformità al versetto coranico che dice: “E «Pace!» sarà la parola che dal misericordioso Signore udiranno!” ( Corano, XXXVI, 58).
La vita di Badshah Khan rispecchia i profondi valori dell’amore, della fede e del servizio disinteressato incarnati nell’Islam fin dalle origini; egli rifacendosi all’insegnamento del profeta stesso afferma: “Vi sto fornendo un’arma cui la polizia e l’esercito non potranno resistere. E’ l’arma del Profeta, ma voi non lo sapete. La pazienza e la giustizia sono quest’arma. Nessun potere sulla terra può resisterle”.
Le figure storiche di Abdul Ghaffar Khan e Maulana Abul Kalam Azad i cosi detti “Gandhi islamici” divengono nell’attuale un mezzo importante per sfatare la limitante identificazione tra Islam e violenza.