L'OPERA SCONOSCIUTA DI "HAVISMAT" DE GIORGIO
- Massimo Mannarelli
- 11 apr 2017
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Guido Lupo Maria De G nasce nel 1890 a San Lupo nel Sannio Beneventano. Laureatosi in filosofia, si trasferisce in Tunisia per lavorare come insegnante di italiano e lì ha la ventura di entrare in contatto con maestri dell’esoterismo islamico.
Trasferitosi a Parigi dopo la prima guerra mondiale, conoscee René Guénon e ne diviene amico, collaborando con lui scrivendo articoli sulle due maggiori riviste esoteriche francesi dell'epoca, Le Voile d'Isis e L'initiation.
Tornato in Italia negli anni venti, entra nel Gruppo di Ur scrivendo sull'omonima rivista con lo pseudonimo di Havismat e successivamente nel 1930 diviene collaboratore di “Diorama Letterario” del quotidiano “Regime Fascista” di Cremona nonchè animatore insieme a Julius Evola della rivista “La Torre” nella quale arriva a teorizzare una sorta di "Fascismo Sacro", ossia il tentativo per vie esoteriche di universalizzare il movimento fascista.
Nella sua opera “La Tradizione romana” portata a compimento poco dopo la metà degli anni Trenta e pubblicata nel 1973 (nessuna sua opera fu pubblicata mentre era in vita e ve ne sono ancora d' inedite), De Giorgio accusa l'Europa contemporanea di essere divenuta scientista e di soffocare la ricerca spirituale dell'uomo. La soluzione di De Giorgio è quella di tornare ad una autentica concezione dell'autorità spirituale e di quella temporale.
Ed è in Dio che il Poeta De Giorgio riversa l'esperienza mistica derivata dalla sua pratica ascetica.
Lo spregiato - amato Julius Evola così ne parla: “… era una specie di iniziato allo stato selvaggio e caotico, aveva vissuto con gli arabi, aveva conosciuto il Guenon e dal Guenon era stato tenuto in alta stima. Possedeva una cultura eccezionale… la sua insofferenza per il mondo moderno era tale che egli si era ritirato a vivere fra i monti… Fui in contatto con De Giorgio con cui mi incontrai anche due volte sulle Alpi, soprattutto nel breve periodo della vita della mia rivista “La Torre””.
Nella sua vita egli sofferse e fece soffrire purificandosi e purificando in virtù di quel suo non adeguarsi al mondano, il suo spregio per la modernità, il progresso e il quotidiano, per quel suo modo di amare sempre in attesa che l’amato desse il suo meglio, il tutto di sé a pena del disprezzo verbale, seppur sempre temperato da un’ironia appena percettibile.
De Giorgio cerca e trova rifugio fra le montagne di Mondovì, dove trascorre ca trent’anni morendo nel 1957.
Durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale e sino alla morte, anche se non trova mai quiete nella contemplazione, s’accosta con singolare fervore al Cattolicesimo più profondamente ortodosso. Egli pare fosse solito portare nel suo sacco da montagna un libretto con le opere del Manzoni “Osservazioni sulla morale cattolica” e “Sentir Messa”.
Pur essendo fedele al pensiero tradizionale e assertore dell’unità di tutte le religioni nella Trascendenza, De Giorgio sceglie di essere sempre più aderente al pensiero ed alla liturgia della Chiesa Romana così come anche il Guenon gli suggerisce invitandolo a restare nel solco in cui è nato, per quella “salvezza” che trascende vita e morte.
Per De Giorgio la ricerca intellettuale si conclude ed esprime compiutamente col momento della Preghiera che non appartiene, come sembra rimproverargli Evola, “ad una specie di Cristianesimo vedantizzante”, ma si ispira all’unità nel Cristocentrismo di San Gregorio Palamas.
La sua ricerca di umile pellegrino lo porta a richiedere a Padre Pio la confessione e la benedizione.
La morte mistica è il trionfo di Dio sull’uomo, è la Croce volontariamente assunta … l’uomo nella morte mistica calca il teschio di Adamo, si aderge sull’alto della Croce ridonando a Dio tutto se stesso.
De Giorgio nella sua analisi si focalizza sull’opera di Dante guarda al sommo poeta non per la sua esperienza letteraria, nè per meri valori poetici o ricerca estetica, ma per trovare conferma che l’Alighieri esprime, attraverso la costruzione dell’Opera, le similitudini ed in particolare i simboli, le sacre verità, i valori della tradizione trascendente senza tempo.
Con De Giorgio, il Sacro del poema dantesco si illumina, allegorie e simboli si pongono in una nuova dimensione. Attraverso il Boccaccio del commento e del “Trattatello in laude di Dante” De Giorgio chiarisce come, secondo la tradizione, Dante sia poeta e teologo, cammini sulle orme dello Spirito Santo, sia ispirato perciò dallo Spirito di Dio e come dice appunto Boccaccio (Tr.123) segue la teologia che “niun’altra cosa è che una poesia di Dio”.
Secondo De Giorgio il cattolicesimo integrale di Dante gli impone di andare oltre il punto di vista religioso per restare fedele alla Grande Tradizione. La sua adesione ai Fedeli d’Amore chiarisce il senso della Vita Nova – hic incipit vita nova – da quando cioè il bisogno, naturale nell’uomo, di verità lo spinge a seguire un insegnamento dottrinale segreto per integrare fede e dogma.
Successivamente il lui si rafforza l’ortodossia ed abbiamo il passaggio dalla Vita Nova alla Commedia, dal simbolismo esoterico alla tradizione pura.
Perciò nella Commedia ogni spiegazione dottrinale è interrotta là dove la teologia diventa muta, cioè dove il punto di vista religioso è oltrepassato, là dove la comunicazione scritta diventa impossibile.
Nei suoi commenti alla Divina Commedia De Giorgio sottolinea la figura del Veltro (cane da caccia – che diventa simbolo del Cristo) che “è certamente l’essere privilegiato, nutrito di sapienza, d’amore e di virtù che domerà la lupa” e la “scoverà da ogni ripostiglio del cuore”, “la caccerà per ogni villa” e la riporrà nel mondo dell’eternità buia, subterrestre. Il Veltro sdegnerà la gloria del mondo, sarà un povero, un fakir, un sufi (tra feltro e feltro) nel senso assoluto, non si nutrirà di alcun cibo terreno e darà “salute” all’umile Italia terra della tradizione latina.
Nel commento al secondo canto De Giorgio propone anche il tema della “jihad” la guerra, la grande guerra santa che l’Islam oppone alla “piccola guerra santa” puramente esteriore; quella guerra è “sì del cammino e sì della pietade” ed implica cioè sforzo, travaglio sulla via della liberazione ed esercizio continuo di pietas, dedizione espiatoria con assentimento assoluto della coscienza. E’ proprio la pietas che assicura la purificazione dell’animo che ascende per i gradi dell’eternità ed è la condizione principale senza la quale sarebbe impossibile intraprendere il “grande combattimento” contro la “propria sventura di non essere santi”.
De Giorgio esprime una potente forza individuale e culturale, tuttavia molte cose del di lui spirito e del suo atteggiamento spirituale restano oscure se non si inquadra la sua figura in quella vasta corrente di pensiero che, in particolare nel periodo fra le due guerre mondiali, esprime l’inquietudine europea di fronte all’imponente sviluppo tecnico e industriale.
Secondo lo storico Delio Cantimori sono gli “spiriti liberi” europei che prendono in esame i sintomi del declino spirituale dell’Occidente che sta divenendo ateo, scientista e materialista. Letterati come Valery, Mann, Musil o Drieu La Rochelle, saggisti come Spengler, Benda o Huizinga, filosofi come Ortega y Gasset, Berdiaef o Simone Weil, tradizionalisti come Guenon, Evola o Schuon.
Essi non hanno la stessa matrice culturale, sono mistici, irrazionalisti, democratici ardenti o aristocratici, per il Fronte popolare in Francia o contro, per Franco in Spagna o contro, alcuni perseguitati dai nazisti, altri uccisi dai “liberatori”.
Le fughe di questi personaggi sono nel passato(il Medioevo rappresenta per alcuni la logica antitesi del presente), nei grandi spazi ( per Hermann Hesse sarà l’India e i suoi misteri, per Malraux la Cina, per Paul Nizan, Guenon, Schuon l’Islam) quasi ad esorcizzare od a prepararsi al futuro del profeta Joseph de Maistre: “… oggi più che mai dobbiamo occuparci di queste alte speculazioni, perché dobbiamo tenerci pronti per un avvenimento enorme nell’ordine divino, verso il quale stiamo avviandoci ad una velocità sempre più forte che deve impressionare tutti coloro che la osservano…”
Per gli ultimi rappresentanti della Tradizione tra i quali De Giorgio questa pienezza dei tempi è giunta ed il destino della sapienza umana è consumato. La Tradizione per il pensatore campano, non ammette definizioni che potrebbero snaturarne il significato e consiste “… nella trasmissione innata ed immanente di principi di ordine universale … una filiazione spirituale fra maestro e discepolo”.
L’unità dei principi e delle origini spiega come sussistano legami profondi fra le Tradizioni succedutesi nel tempo e nello spazio, poiché tutte si richiamano a quella primordiale e, nella trascendenza convergono nell’Unità, così come le religioni.
Grazie ai simboli, ponti fra i sensi e lo spirito, è consentito rendere palpabili, tangibili i concetti intellegibili, attraverso la varietà delle interpretazioni, che ciascuno può dare a seconda del suo grado di iniziazione, della sua capacità intellettuale, si giunge a un “enteder non entendiedo / toda sciencia tracendiendo” (San Giovanni Della Croce).