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Massimo Mannarelli

AKBAR "IL MOGHUL ILLUMINATO"


Muḥammad Abū l-Fatḥ Jalāl al-dīn meglio conosciuto come Akbar il Grande, Akbār-e Aẓam nacque nel 1542 nella fortezza Rajput di Umarkot, nella regione del Sindh, dove suo padre, l'Imperatore Mogul Humayun si era appena installato con la sposa Hamida Banu Begum. Nel 1540 Humayun era stato, infatti, costretto all'esilio dopo essere stato sconfitto dal notabile afghano Sher Shah Suri. Rifiutandosi di raggiungere i suoi familiari in Persia, Akbar decise invece di restare in Afghanistan dallo zio Askari e da sua moglie. Qui crebbe dedicandosi alla caccia e alla lotta, ma non imparò mai né a leggere né tanto meno a scrivere, diventando l'unico erede del mitico Babur a restare analfabeta. Tuttavia la sua mancanza di istruzione non gli impedì di maturare un certo gusto per l'arte, l'architettura e la musica. La sua capacità di ascoltare con tolleranza e rispetto le opinioni altrui fu tale che lo si può definire come uno fra i più importanti imperatori Mogul, non solo per le conquiste che gli permisero di espandere i confini dell’impero e per la sua riforma amministrativa, ma anche e soprattutto per i suoi sforzi in ambito religioso dove si impegnò a far convivere le religioni maggioritarie del regno, come l'induismo e l'islam.

I fatti della sua vita sono narrati nell'Akbarnama (Akbar nāmeh), cronaca ufficiale, riccamente miniata, sul suo regno, commissionata dallo stesso sovrano.

Approfittando dell'anarchia derivante dalla lotta per la successione al trono di Sher Khan Suri nel 1555, il padre di Akbar, Humayun, marciò con un esercito in parte fornito dal suo alleato lo scià di Persia Tahmasp I e conquistò nuovamente Delhi, prima di morire pochi mesi dopo. Akbar succedette a suo padre il 14 febbraio 1556 nel mezzo del conflitto con Sikandar Shah Suri, uno dei figli di Sher Shah Suri e pretendente al trono. Dopo essere stato incoronato in una solenne cerimonia vestito di una tunica dorata e con una tiara nera, Akbar venne insignito del titolo di Shahanshah (in persiano Re dei re).

Il primo obiettivo del nuovo Imperatore fu quello di debellare definitivamente la minaccia rappresentata dalla dinastia Suri, eliminando il suo rappresentante più minaccioso Sikandar Shah Suri, il quale manteneva ancora il controllo della regione del Punjab.

Fu così che Akbar marciò contro Sikandar, lasciando Delhi nelle mani del suo capo militare Tardi Beg Khan. Sikandar non cercò mai lo scontro con il suo avversario e mentre questi avanzava preferì ritirarsi con il suo esercito. Nel frattempo però, a Delhi, un capo militare di nome Hemu al servizio di Adil Shah Suri, fratello di Sikandar, conquistò con un audace attacco a sorpresa la capitale del regno Mogul e si autoproclamò sovrano con il titolo di Raja Vikramaditya tradendo così il suo stesso sovrano. Akbar, facendo affidamento ai suoi fedeli generali, seppe non solo riguadagnarsi l’impero, ma riuscì anche ad allargarlo, allargando i confini del regno oltre che all'Indostan propriamente detto, anche sull'Afghanistan orientale, al Bengala, al Kashmir e a gran parte del Deccan. Tale estensione non fu più raggiunta in seguito da nessun altro sovrano. Akbar scelse Agra come centro dell'impero, in luogo di Delhi.

Akbar considerava con grande serietà il fatto di essere l'imperatore di un popolo con più religioni e dedicò molto tempo e risorse per cercare punti di contatto tra le diverse fedi del popolo su cui regnava. Si spese così, oltreché in campo amministrativo migliorando l'apparato burocratico, anche sul fronte sociale attenuando i prelievi fiscali, sforzandosi di renderli omogenei (tale parità di trattamento implicava anche un uguale riconoscimento di natura religiosa). Egli era estremamente tollerante nei confronti dell'induismo, mentre al contrario era molto critico nei confronti dell'Islam: volle approfondire la conoscenza di altri culti, invitando a dibattere pubblicamente e liberamente alcuni esponenti delle principali religioni presenti nel suo regno: musulmani, zoroastriani, indù, giainisti e anche cristiani, questi ultimi provenienti da Goa, possedimento portoghese, nonché dalle missioni francescane e gesuite.

Per primo, cosa evidentemente di grande novità per quel tempo, applicò un criterio di tolleranza religiosa, facendo in modo che i vari credi potessero convivere senza che ne prevalesse alcuno.

Akbar fu il primo sovrano che permise alla sua corte di conservare le proprie tradizioni e di seguire la propria religione, autorizzando la costruzione di nuovi templi, ma tuttavia proibendo alcuni costumi per lui inaccettabili come ad esempio la “Sati”, il suicidio delle vedove indù.

La sua fama di sovrano clemente (soprattutto per il trattamento accondiscendente verso le missioni e le ambascerie cristiane ed europee) si estese all'Occidente, dove fu noto col nome di "Gran Mogol", dovuto all'origine mongola (il suo antenato Tamerlano era di etnia turco-mongola) della sua dinastia e che venne esteso in seguito anche ai suoi successori.

Tuttavia col tempo, a causa di lunghe diatribe, di sottili ragionamenti teologici e soprattutto i vari tentativi di conversione nei suoi confronti, operati soprattutto da parte dei missionari gesuiti e l’opposizione di una parte dell’Islam più ortodosso, Akbar si allontanò definitivamente da ogni tipo di religione ufficiale, tanto che nel 1579 si autoproclamò infallibile in materia di fede e nel 1582 fondò nel tentativo di attuare concretamente il suo sogno di conciliazione ed armonizzazione fra le varie fedi, una sua personale religione chiamata Din-i tawhid-i ilahi ("monoteismo"). La nuova religione derivava dalla lunga permanenza di Akbar in Persia, e si basava fondamentalmente sull'Islam, in particolare sufi, ma registrava anche una forte influenza dallo sciismo; era comunque fondata sul concetto dell'unicità di Dio e dell'unità del reale.

Akbar assunse il titolo di "Rivelatore di quanto è all'interno e rappresentante di quanto esiste", titolo di chiara derivazione sciita, che considera l'imam come colui che sparge la conoscenza di Dio e plasma il mondo in funzione di tale conoscenza. Dagli altri credi mutuò il rispetto di tutti gli esseri viventi, tipico del giainismo, ed il Culto del Sole e della divinità dell'imperatore, provenienti dallo zoroastrismo, che creò forti attriti con l'ortodossia islamica; tuttavia, malgrado i suoi sforzi, essa rimase circoscritta alla cerchia dei letterati di corte e non ebbe alcun seguito presso il popolo.

Akbar al fine di stringere alleanze politiche con le potenti famiglie Rajput, di fede induista, che dominavano vaste zone, l’imperatore, e includevano i capi nella classe governante del regno, sposò la principessa reale Hira Kunwari (chiamata in seguito Mariam-uz-Zamani), figlia del sovrano Rajput di Jaipur, in Rajasthan.

Questo matrimonio “misto” fra l’imperatore musulmano e la principessa indù fu una significativa indicazione del suo eclettismo religioso e produsse effetti importanti sulla sua politica pubblica.

Mariam-uz-Zamani dette all’imperatore l’erede maschio tanto desiderato e benché fosse indù godette sempre di gran rispetto e considerazione alla corte islamica Mogul. Ella poté continuare a praticare il suo culto disponendo di un tempio anche all’interno del palazzo reale che suo marito fece addirittura affrescare con dipinti di Krishna, al quale la moglie era devota. Riguardo al culto vaishnava, quando Akbar venne a sapere di Mirabai, la grande devota di Krishna sposata con il principe e nemico Bhoja Raj di Chittor, sorse in lui il desiderio di incontrarla a tal punto da essere disposto a mettere a rischio la propria vita. E così insieme al suo musicista di corte, Tansen, celandosi sotto le classiche vesti sannyasin color ocra, giunse al tempio dove Mirabai e i devoti erano persi nel sankirtan.

Akbar e Tansen furono profondamente commossi dalla bella voce di Mirabai e dalle sua grande devozione per Dio e per mostrare la propria gratitudine l’imperatore depose una collana di diamanti ai piedi della piccola statua di Mirabai dedicata al Signore Krishna. Coloro che erano presenti furono meravigliati dal gesto del mendicante che non poteva certo godere di tale ricchezza. Dopo l’offerta Akbar e Tansen si dileguarono.

Akbar regnerà fino alla sua morte avvenuta ad Agra nel 1605 dopo aver aperto una nuova era per l’India e avendola portata al massimo del suo splendore, raggiungendo obiettivi di unità territoriale, prosperità economica, stabilità politica e sociale e un forte rinnovamento culturale, artistico e spirituale fondato su una grande tolleranza religiosa fondata sull’incontro, la convivenza e il dialogo.

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