LO YOGA COME SCIENZA SPIRITUALE
Swāmī Rāma al secolo Brij Kiśore Dhasmana o Brij Kiśore Kumar, (1925 – 1996), spiega che le origini dello yoga risalgono a molte migliaia di anni fa e sono considerate divine più che umane. L'India è la roccaforte di questa scienza, poiché la purezza originaria degli insegnamenti è stata qui conservata: gli insegnamenti dello yoga sono stati tramandati in India attraverso una tradizione viva, quella del tramandare da maestro a discepolo (dal guru al chela).
Lo Yoga potrebbe risalire a 9.000 anni prima di Cristo, quindi subito dopo il periodo atlantideo (come direbbe Steiner). Sicuramente almeno al 3.000 a.C., sulla base del ritrovamento di figure nell’India preistorica.
Vivekananda dice che fu scoperto 4.000 anni fa. Esso risulta essere la messa in pratica dei due massimi sistemi filosofici indiani, ossia quello dei Veda (1500 a.C.) tramandati dai Rishi e quello del Sankhya (500 a.C), che nominalmente si rifà ai Veda, ma sviluppa una filosofia che elenca le 35 categorie dalla creazione (da Dio alla materia più semplice).
Lo Yoga rappresenta un’idea-forza centrale nella spiritualità indiana. Anzi, come sottolineato in più occasioni da Pio Filippani Ronconi: ‘’lo Yoga è una categoria a priori dell’India”. Lo stesso concetto è stato espresso da un altro insigne studioso, Mircea Eliade, che ha parlato dello Yoga come di un ‘’ fossile vivente”, una tradizione che si perde nella notte dei tempi giunta integra fino ai giorni nostri.
Swami Rama scrive che le origini dello Yoga, come di ogni Tradizione autentica, trascendono l’umano. Non a caso, a livello mitico e iconografico, il prototipo dell’Asceta e Signore dello Yoga è il dio Shiva Mahayogin, il “Supremo Yogi” o il "Adiyogi", il primo yogi, seduto sulla pelle di tigre, simbolo delle passioni soggiogate.
Il termine Yoga, dalla radice Yuj, significa “congiungere, unire“, (in latino è iugum, il giogo). Lo stesso significato ha réligo, “legare” in latino da cui religione.
La parola yoga, spiega Guénon, ha propriamente il significato di «unione»; incidentalmente diremo, benché la cosa abbia in definitiva poca importanza, che non sappiamo perché un buon numero di autori europei usi questo termine al femminile, quando è maschile in sanscrito. Il termine yoga, afferma Swami Rama, deriva dalla radice indoeuropea yuj che vuol dire ‘’ aggiogare”, ‘’legare”, ‘’unire”: lo scopo dello Yoga è quello di realizzare la totalità dell’ Essere mediante una perfetta comunione di corpo, mente e spirito e quindi permettere l’unione dello spirito individuale, atman, con lo Spirito Universale, il Brahman o Assoluto.
Paramhansa Yogananda, durante le sue classi introduttive definì lo Yoga: “la scienza della vita, dell’anima, dell’autorealizzazione che ci porta sempre più nelle profondità del nostro essere”. A questo aggiunse: “una volta che abbiamo realizzato il Sé, abbiamo realizzato Dio, la Verità”. Il vero yogin, secondo Patanjali, dovrà compiere l’ultima rinuncia perché il suo spirito conquisti l’immortalità e la libertà, cioè l’unione (Yoga) con l’Uno, l’Assoluto, il Principio : in una parola, l’Essere al di là di ogni divenire.
Lo stesso Guénon afferma che questo termine designa principalmente l’unione effettiva dell’essere umano con l’Universale. Tale darshana (visione della realtà), la cui formulazione in sûtra è attribuita a Patanjali, ha come fine la realizzazione di questa unione e include i mezzi per pervenire a essa. “Mentre il Sânkhya è solo un punto di vista teorico, qui si tratta essenzialmente di realizzazione, nel senso metafisico da noi indicato, checché ne pensino coloro che vogliono vedervi sia una «filosofia», come gli orientalisti ufficiali, sia anche, come certi pretesi «esoteristi» che si sforzano di sostituire con fantasticherie la dottrina di cui sono privi, «un metodo che sviluppa i poteri latenti dell’organismo umano»”.
Dal punto di vista teorico lo Yoga completa il Sânkhya introducendo la concezione di Îshwara che, identico all’Essere universale, permette prima di tutto l’unificazione del Purusha, principio multiplo se considerato esclusivamente nelle esistenze particolari, e poi di Purusha e di Prakriti (natura), perché l’Essere universale, essendo il principio comune, è al di là della loro distinzione.
Spiega Sri Aurobindo che se per la tradizione vedica il signore dello Yoga è il Purusha, ossia l’anima cosciente, nel Tantra è la Prakriti, ovvero l’Anima della natura, il non manifesto. Il Tantra offre quindi il culto dell’Energia, o Shakti, mentre il Vedanta “vede nella Shakti un potere d’illusione e si mette alla ricerca del Purusha silenzioso e immoto quale mezzo di liberazione dagli inganni dell’Energia attiva” (Sri Aurobindo: “La sintesi dello yoga – vol.I”). Tantra, dalla radice Tan, estendere, espandere, significa “espansione della coscienza”.
Lo Yoga peraltro ammette, continua Guénon, lo sviluppo della natura o della manifestazione così come è descritto dal Sânkhya; ma, assumendola come base di una realizzazione che deve condurre al di là di questa natura contingente, la vede per così dire in un ordine inverso all’ordine di tale sviluppo, e come sulla via di ritorno verso il suo fine ultimo, il quale è identico al suo principio iniziale. In rapporto alla manifestazione il principio primo è Îshwara, o l’Essere universale; ciò non vuole dire che tale principio sia primo assolutamente nell’ordine universale, poiché abbiamo sottolineato la distinzione fondamentale che bisogna fare tra Îshwara, che è l’Essere, e Brahma, che è al di là dell’Essere; ma per gli esseri manifestati l’unione con l’Essere universale può considerarsi come qualcosa che costituisce uno stadio necessario in vista dell’unione con il supremo Brahma. Del resto la possibilità di andare oltre l’Essere, sia teoricamente sia come realizzazione, presuppone la metafisica totale, che lo Yoga-shâstra di Patanjali non ha la pretesa di rappresentare da solo.
Ancora Guénon scrive: “Lo Yogi, nel senso proprio della parola, è colui che ha realizzato l’unione perfetta e definitiva; è quindi indebito attribuire il termine a colui che semplicemente si dedica allo studio dello Yoga in quanto darshana, e anche a colui che segue effettivamente la via di realizzazione che vi è indicata senza essere ancora pervenuto al fine supremo a cui essa tende”.
Swami Vivekananda scrisse che il risultato dell’intensa meditazione è la percezione sovrasensibile e, in ultima analisi, la piena illuminazione, ossia la percezione del Sé.
Ci sono stati grandi maestri che hanno riportato l’attenzione sul vero Yoga che ha come scopo la conoscenza di noi stessi, come leggiamo nelle Mundaka Upanishad, II.12, tutto l’universo è Brahman, per lo Yoghi, “l’autorealizzazione è la realizzazione di Dio”. Possiamo chiaramente dedurre da questa definizione di Paramahansa Satyananda Saraswati, il fondatore della Bihar School of Yoga, una delle più importanti scuole di Yoga in India, che lo Yoga è una disciplina religiosa, una via ascetica. “Il più profondo credo dell’India è la ricerca dell’unità nella molteplicità” (Rabindranath Tagore, Nobel per la letteratura 1913). Il dualismo tra il mondo sensibile, manifesto e la Prakriti, la natura all’origine, non manifesta, è l’ignoranza da cui lo Yogi, il Purusha, lo spirito si deve liberare.
“Lo Yoga è una via per raggiungere l’autorealizzazione”. “Una via“, non “la via“, dice Satyananda Saraswati.
Secondo Swāmī Rāma lo Yoga è prima di tutto una scienza sistematica; per Swami Vivekananda l’ideale dello Yogi è volto a insegnare all’uomo come, attraverso l’intensificazione del potere di assimilazione, ridurre il tempo dell’ottenimento della perfezione. Swami Rama afferma che i suoi insegnamenti sono parte integrante di moltissime religioni, ma lo Yoga in sé non è una religione. La maggior parte delle religioni insegna cosa fare, ma lo Yoga insegna come essere. Lo Yoga non è un'antica filosofia esoterica orientale, è una ricerca pratica, sistematica e scientifica della perfezione, così pertinente oggi come lo fu nei tempi antichi, sia in Occidente che in Oriente.
Swami Shivananda disse che “vale più un grammo di pratica che un mare di teoria”, intendeva la vera pratica, la vita! Anche Pattabhi Jois diceva che lo Yoga era 99% pratica.
Lo Yoga è un grande bacino dove troviamo diversi tipi di discipline, studiate e sperimentate per consentire a tutte le tipologie di persone di raggiungere tale Yug, tale “legame” e, inizialmente, di migliorare la loro qualità di vita. Per esempio soggetti molto attivi e magari poco propensi alla meditazione, pur impegnandosi ad accrescere tale qualità latente, mettendo le proprie qualità pratiche a disposizione dei più bisognosi possono ugualmente raggiungere lo scopo; ne sono esempio i missionari. Questo Yoga basato sulla carità, è detto Karma Yoga, lo Yoga dell’azione, del lavoro. Swami Vivekananda in un saggio intitolato proprio Karma Yoga scrive: “Per mezzo del solo lavoro gli uomini possono arrivare dove Buddha è ampiamente arrivato per mezzo della meditazione o Cristo per mezzo della preghiera”. La pratica meditativa del Buddha si ritrova a grandi linee nel Jnana Yoga, lo Yoga della conoscenza, mentre quella devozionale di Cristo nel Bhakti Yoga, “ma lo stesso ideale è stato raggiunto da ambedue”. La direzione e la meta sono le stesse! Come afferma anche Paramahansa Yogananda: “La riconciliazione degli opposti soddisfa la mente e il cuore. Bhakti (devozione) e Jnana (saggezza) sono essenzialmente una cosa sola”. “L’idea più grandiosa della religione del Vedanta”, scrive Swami Vivekananda, “è che noi possiamo raggiungere la stessa mèta per strade diverse e alla fine le quattro strade convergono e si fondono in una sola. Tutte le religioni, tutte le discipline spirituali conducono ad un’unica identica mèta”.