IL PALIO E LE CONTRADE NELLA SIENA MISTERICA
Titus Burckhardt in "Siena città della Vergine" scrive: Il rapido sviluppo delle città attuali, dovuto alla tecnica moderna, ci ha fatto quasi dimenticare cosa sia una civitas nell'autentico senso della parola, cioè una città edificata a misura umana e ordinata secondo le esigenze spirituali della comunità. Siena ha mantenuto fino ad oggi un tale aspetto e un tale ordine. Non si tratta dell'ordine razionale proprio di certe città barocche; l'universo di Siena è multiforme, è corpo, anima, intelletto, come l'uomo. La bellezza di Siena non è il risultato di uno sviluppo casuale, "naturale"; la città è stata costruita con piena consapevolezza dai suoi abitanti che volevano l'unità, ma che nel contempo, da veri aristocratici, conservavano quel rispetto per la vita privata delle famiglie e delle classi sociali tipico del Medioevo. È stato giustamente detto che nell'Italia del Medioevo il grande capolavoro della comunità è la città, mentre nell'Europa del Nord, in Francia e in Germania, il gioiello da essa creato è la cattedrale gotica. Siena, fra tutte le città italiane, ha conservato più intatta la sua unità gotica; in nessun'altra città esiste una piazza come il Campo, con la sua incomparabile armonia di misure; nessun'altra città testimonia in modo così unitario lo stile aspro e insieme nobile di quell'epoca. La storia di Siena si svolge limpida come una storia sacra: dapprima la vittoria nel segno della fede, poi la sfrenata ebbrezza del potere, le discordie interne, la decadenza, e l'umiliazione estrema, preceduta da innumerevoli moniti."
Altri nomi di Siena sono Sena, o Seina in etrusco; probabilmente ciò indica a legami con i galli senoni provenienti dalla parte adriatica (infatti esisteva Sena Gallica, l'attuale Senigallia; ma, come saprete, la necessità di mettere un aggettivo accanto alla parola "Sena" significa che già ne esisteva un'altra).
Quindi come tradizione vuole, Siena è una città nata da più insediamenti, ognuno posto su un colle, che alla fine si sono uniti, le origini stesse della città sono avvolte nel mistero perché, anche se storicamente è citata come colonia romana ("Saena Julia"), esisteva anche come "Saena Vetus" una Siena antica, precedente a quella riconosciuta con la famosa cittadinanza romana del 79 a. C.
Il Duomo di Siena (dove il famoso SATOR che è murato fuori in un angolino) è oggi una cattedrale cristiana ma sorge su un sito antichissimo; le fondamenta dell'attuale costruzione appartengono a una cattedrale tardo-antica e, ancor prima, a un tempio pagano Non vi è praticamente opera di raccolta e commento dei testi del Corpus Hermeticum che non faccia ricorso, solitamente nella prima di copertina, alla tarsia marmorea del Duomo di Siena rappresentante Ermete Mercurio Trismegisto, il signore della scrittura, della magia e di ogni sapere, la trasposizione, nella cultura greca e romana, del dio egizio Toth dalla testa di ibis. Una tarsia verosimilmente realizzata intorno al 1488, opera attribuita al genio di Giovanni di Stefano, uno degli artisti più rappresentativi della cultura rinascimentale senese, che fa bella mostra di sé esattamente davanti all'ingresso principale della Cattedrale dell'Assunta.
Non vi è alcun dubbio che uno dei tre personaggi ivi rappresentati sia proprio Ermete, dal momento che una provvidenziale scritta apposta al di sotto del riquadro ammonisce il visitatore che lì è effigiato Hermes Mercurius Trimegistus Contemporaneus Moysi . Introducendo quindi, nella già complessa vicenda, un ulteriore, fondamentale elemento di riflessione, costituito appunto dall'accostamento di quella divinità dai formidabili poteri magici, ma anche dalle sterminate conoscenze in ambito astrologico e alchemico, con Mosè: del suo rapporto, qui definito "di contemporaneità", con colui che condusse il popolo eletto dall'Egitto alla Terra promessa. La cosa è di per sé abbastanza singolare se è vero che le immagini di Ermete all'interno dei templi cristiani sono non solo una rarità bizzarra, ma addirittura il segno di una irriguardosa inosservanza verso le prescrizioni di Agostino d'Ippona che, come ricorda F. Yates riprendendo alcuni passi del De civitate Dei, attacca lo stesso Ermete […]per aver lodato le pratiche magiche con cui gli Egiziani infondevano spiriti o demoni nelle statue degli dei, rendendole, così, animate e trasformandole a loro volta in divinità.
Alcuni studiosi hanno sottolineato affascinanti analogie dei Palii delle origini con i giochi equestri degli etruschi e prima ancora dei Greci. Da Poggio Civitale, non lontano da Siena, proviene il famoso frontone, datato al VI secolo a.C., che mostra una serie di cavalieri allineati, che montano a pelo come i fantini di oggi, e come loro sono muniti di nerbi e di berretti, intenti a correre il loro Palio etrusco. Il mito di fondazione che vuole invece Siena nata dalla costola di Roma, fondata dai transfughi figli di Remo, li fa giungere al luogo fatidico di gran carriera, inseguiti dai cavalieri di Romolo. Senio e Aschio fondano Siena alla fine di un mitico "Palio alla lunga". L'insegna della nuova città sarà bianca e nera come i loro cavalli e come le nuvole di fumo che si innalzano dalle due are sulle quali offrono i loro sacrifici agli Dei. La Balzana (antica insegna romana) sarebbe rimasta per sempre lo stemma di Siena. Forse perchè, come ha scritto Geno Pampaloni, è il simbolo perfetto del carattere estremo della città. In apparenza opposizione irriducibile di bianco e nero, la Balzana rappresenta tutti insieme i colori fusi nel bianco e anche la loro assenza assoluta nel nero. Lo stesso è nel Palio: la Balzana è dovunque presente come insegna del Comune e come segno del tutto, reductio ad unum della concordia discorde, della faziosa armonia delle Contrade che nei loro colori individuali, sotto le loro bandiere, si dividono e si oppongono, si distinguono e si scontrano. Ma nella Balzana si ritrovano e si riuniscono come i senesi fuori di Siena o contro il resto del mondo. I marmi ossessivamente bianchi del Duomo, per alcuni segno della gloria e del dolore della Madonna, lo rendono una "Sacra Balzana" esso stesso, appropriato scenario per l'offerta dei ceri, la benedizione del Palio, il Te Deum della vittoria, insomma per tutti i momenti più alti e tumultuosi di una religiosità popolare arcaica nelle sue forme, ma sentita come parte sempre attuale e indispensabile dei riti palieschi. Proprio al sagrato del Duomo Nuovo bianco e nero dal 1200 fu posta l'insegna del Comune a segnare l'arrivo della corsa dei barberi, il Palio alla lunga che nei secoli precedenti si era corso per le vie tortuose della città fino al Duomo vecchio, dedicato a San Bonifazio, come attestano documenti del XII secolo. E quando Siena divenne una delle più ricche e colte città dell'Europa del Medioevo, il Palio fu l'evento ludico e il momento culminante e conclusivo delle splendide feste annuali in onore di Nostra Donna d'Agosto, Maria Vergine Assunta regina e patrona di Siena e del suo Stato. A lei la città si sarebbe consacrata e raccomandata, offrendole le chiavi della città, in tutti i momenti estremi della sua storia, dalla vigilia della battaglia di Montaperti nel 1260 fino a quella del passaggio del fronte nel 1944. Per la festa dell'Assunta Siena diveniva "città aperta". Le catture venivano sospese, i fuorusciti potevano tornare e andar franchi per la città, merci e bestiame giungevano in gran copia per il grande mercato, le strade si animavano di musici e giullari, mimi e buffoni intrattenevano la folla, saltimbanchi e forzaioli, cavadenti e guaritori, treccole e baldracche, osti e mercanti offrivano le loro merci e i loro servigi. La città esponeva arazzi e bandiere, addobbi, ammaj e ghirlande: nel 1329 il Comune ne fece intrecciare 600. Nel 1378 si fecero anche i fuochi artificiali, che per l'epoca rappresentarono una meraviglia. Il momento culminante delle feste era la cerimonia dell'offerta dei ceri e dei censi in Cattedrale, rito insieme religioso e politico, atto di devozione alla Madonna dei Senesi e di sudditanza ai suoi vicari in terra, i reggitori del Comune di Siena. Questo collettivo giuramento di fedeltà aveva un suo preciso rituale: una pergamena del 1220 ne dà la descrizione, riferendo un capitolo di uno statuto ancora più antico andato perduto. La quantità di censo in cera fina da offrire variava con l'importanza di chi faceva l'offerta, ma a presentarla erano tenuti e obbligati tutti i cittadini (tra i 18 e i 70 anni) e le istituzioni di Siena e del suo Stato, primo di tutti il Comune che allora come oggi offriva un cero fogliato e istoriato, ossia dipinto. Negli anni di maggior splendore i senesi che gremivano la Cattedrale avrebbero visto genuflettersi davanti alla loro Madonna del voto (e ai loro governanti che le stavano a lato) i loro nemici di ieri e oggi concittadini: i Conti della Scialenga e quelli della Gherardesca, i saggi Aldobrandeschi e i Guidi, leggendari guerrieri. E la cera che gli operai del Duomo ammassavano sotto la cupola avrebbe raggiunto il peso di trentamila libbre, poi ridistribuite a tutte le pievi e parrocchie del vescovado, a rappresentare il paradigma antico del dono rituale con i suoi obblighi simbolici del dare, del ricevere e del ricambiare. Ossia, come suonava un detto caro al Boccaccio, "la Chiesa è come il mare: da tutti prende e a tutti dà". Analogo era il ruolo del Comune negli aspetti profani della festa. Dalle stinche si liberavano prigionieri estratti a sorte, come i nomi delle fanciulle virtuose e bisognose che venivano dotate "a spese del pubblico". Pubbliche riconciliazioni tra fazioni e famiglie alleviavano le faide cittadine. Si provvedevano cibi e bevande per tutti. Nell'atto di sottomissione e Montelaterone (1205) il Comune si impegnava a fornire il vitto a chi porterà a Siena il tributo di cera fina. E' questa la prima testimonianza di un costume che sarebbe continuato nel banchetto offerto dalla Signoria e ai nostri giorni nelle grandi e popolari cene della vigilia imbandite per la città a migliaia di commensali. In un'età storica che viveva, anche nelle città più splendide come fu Siena, la "cultura della fame", la festa fu anche libertà dalle strette misure quotidiane del pane e del vino. La città reperiva, offriva e ostentava cibo e bevande per tutti, vini e carni, confetti e morselletti, biricuocoli e biancomangiari, tutti i diretti antenati dei cavallucci e dei ricciarelli, delle copate e dei panforti. Per l'organizzazione del Palio, il Comune nominava annualmente i Deputati della Festa, menzionati regolarmente nei documenti del Trecento, con compiti e attribuzioni assai più ampi degli attuali. A correre il Palio erano i nobili e i notabili sui loro cavalli da battaglia, perchè i giochi rituali medioevali furono battaglie mimate e training per la guerra. Si correva alla lunga, cioè in linea su un percorso che andava da fuori le mura al Duomo, dall'esterno all'interno, dai prati del suburbio sul tufo delle strade interrate, fangose e sconnesse come Pantaneto, fino ai marmi del Duomo, dalla campagna alla città. Il premio era un Pallium, una lunga pezza di stoffa preziosa, talvolta cucito a bande verticali e foderato da centinaia di pelli di vaio. Il Pallium avrebbe dato il nome alla corsa e poi alla festa intera, fatto linguistico che sottolinea una stretta unità di segni e contesti, di simboli e cerimonie, di significanti e significati. La corsa fu all'inizio sensazionale e drammatica, ricca di eventi e di incidenti. Il più antico documento sul Palio è del 1238 e tratta di giustizia paliesca. Fissa a 40 soldi la pena pecuniaria inflitta a Ristoro di Bruno Ciguarde perchè “quia cum currisset palium in festa Sante Marie de Augusto, et fuisset novissimus, non accepit sune sicut statutum est pro novissimo”. Ossia perchè correndo il Palio ed essendo giunto ultimo non aveva preso il porco, il premio derisorio che per regolamento veniva assegnato al perdente più perdente di tutti (allora l'ultimo, oggi il secondo arrivato). Tale "purga" era obbligatoria, per meglio definire vittoria e sconfitta (anche allora il Palio stabiliva classifiche e gerarchie tra vincitori e vinti, dettando perentoriamente il simbolico ordine dell'homo ludens. Un altro impagabile segno dei tempi lo troviamo in un disposto del Costituto del 1262, nel quale si decreta che coloro qui current eques, i partecipanti al Palio, i nobili fantini dell'epoca, non siano perseguibili per omicidi e ferimenti riconducibili alla carriera, purchè “predicta maleficia non committerint studiose”, ossia purchè non lo abbiano fatto apposta. Anche allora, ai fantini si chiedeva prima di tutto la rappresentazione teatrale dell'onesta. Questi primi Palii furono affare di nobili. Le Contrade parteciparono, invece, ai crudi giochi le cui grandi masse di contendenti si opponevano su base territoriale (per esempio Città contro Camollia e San Martino). Siena, infatti, era nata al plurale, su tre colli. I tre castelli primevi si allargarono in Terzi (Città, Camollia, San Martino) e crebbero fino a incontrarsi e quasi dettare l'ubicazione del Campus Fori, l'attuale Piazza del Campo. Le Contrade presero, così, vita e forma all'interno di questa tripartizione, una matrice indoeuropea che fu anche degli Etruschi e a Siena resistette ostinatamente al modello quadripartito imposto ovunque dai romani La più antica memoria d'archivio delle Contrade è nel regolamento del 1200, dove si prescrive che tutti i cittadini rechino il cero in Cattedrale “cum hominibus sue contrate”. Il cronista Andrea Dei afferma che i Senesi "cominciarono a fare le compagnie per la città delle Contrade" nel 1209. Contrada significò dapprima "strada principale abitata" poi "rione" e, infine, anche associazione fra i suoi abitanti. Per Giovanni Cecchini, autore imprescindibile nella storiografia del Palio, la "Contrada, come circoscrizione territoriale e amministrativa, è antica quanto la città stessa". E William Heywood, un altro importante storico del Palio,aggiunge: "per gli ultimi quattrocento anni le Contrade sono state caratteristica distintiva della vita senese della quale non si trova l'uguale in nessun'altra città italiana". Le Contrade furono assai più numerose delle attuali. Dopo la peste del 1347, il loro numero si ridusse a 42. Presero i loro nomi da strade, porte o fonti, chiese o da illustri famiglie residenti nel loro territorio. Ebbero funzioni devozionali, amministrative, militari e ricreative. Capo della Contrada era un Sindaco, che rispondeva direttamente al Podestà, coadiuvato da consiglieri eletti dal popolo. La Contrada era soggetto di imposte, fungeva da polizia urbana, provvedeva al mantenimento delle vie ed espletava altre funzioni e servizi di pubblica utilità.
La Contrada forma il fortissimo senso d'identità sociale dei Senesi e il Palio propone loro il modello di come fare le cose. Perfino in politica, è stato detto citando in proverbio, il palio si corre tutto l'anno.