L'AVVENTURA SPIRITUALE DI HENRY LE SAUX
Henri Le Saux (noto con il nome indiano Abhishiktananda) (Saint-Briac, 30 agosto 1910 – Indore, 7 dicembre 1973) è stato un monaco cristiano francese dell'ordine benedettino, figura mistica del cristianesimo indiano che ha contribuito al dialogo tra Cristianesimo e Induismo.
Dopo aver studiato presso il seminario di Rennes entra, a 19 anni, nell'Abbazia di Sainte-Anne de Kergonan, che dipende dalla Congregazione di Solesmes. Ordinato sacerdote nel 1935, assume la funzione di bibliotecario e di professore prima dello scoppio della guerra nel 1939. Fatto prigioniero nel 1940, riesce ad evadere.
Nel 1945, entra in contatto con l'abate Jules Monchanin, dedito agli studi sull'India e alle connessioni tra il Cristianesimo e la spiritualità indiana che successivamente nel 1948 raggiunge in India.
I due fondano nel 1949 un ashram in un luogo chiamato Shantivanam («il bosco della pace»), sulle rive del fiume Kâverî. L'ashram è dedicato a Saccidânanda, cioè, secondo le Upaniṣad, al Brahaman (essenza, conoscenza e beatitudine pura). I due eremiti individuano così una sorta di Santa Trinità indiana.
Dopo essersi recato nel 1949 ai piedi del Monte Shiva Arunachala (a circa 100 km a ovest di Pondichéry) in compagnia di padre Jules Monchanin e avere incontrato Ramana Maharshi, Henri Le Saux rimane profondamente scosso e cerca di comprendere più profondamente i misteri dell'India senza rinunciare alla propria fede cristiana. Vive un intenso dibattito interiore tra la parte cristiana e occidentale e la parte indiana e scrive sul diario “La montée au fond du cœur” alcune poesie che testimoniano questi interrogativi. Nel maggio 1957 conosce Raimon Panikkar presso il seminario cattolico di Pune, con il quale alcuni anni dopo (1964) compirà un "pellegrinaggio" alle sorgenti del Gange e al monte Arunachala, sulla cui cima celebreranno insieme una messa. Dopo qualche tempo passato come eremita sul monte Arunachala Henri Le Saux - che prende dopo il suo incontro con il maestro spirituale Gnanananda Tamil, il nome di Abhishiktananda - inizia una vita errante per una parte dell'anno (visita molti monasteri e partecipa alle riunioni interreligiose) e una vita da eremita nella zona di Rishikesh, ai piedi dell'Himalaya, per il resto dell'anno.
Negli ultimi anni di vita ha discepoli, sia indù che cristiani, con i quali può condividere la sua ricca esperienza spirituale. La consapevolezza che la sua vita aspra e spesso fraintesa sia destinata a portare frutto nei suoi discepoli, gli procura una profonda consolazione. Dopo lunghi periodi di meditazione con il discepolo più intimo, il francese Marc Chaduc, viene il momento di arrivare ad una doppia consacrazione monastica (dïkşã), che lo lega sia alla tradizione monastica cristiana che a quella indù del sannyãsa. Questa «iniziazione ecumenica» ha luogo nel giugno del 1973 a Rishikesh, sulle sponde del Gange. Dopo giorni di intensa meditazione con il suo discepolo nella giungla dei contrafforti dell'Himalaya, Swami Abhishiktananda, di ritorno verso Rishikesh, il 14 luglio 1973 viene colpito da infarto. Egli stesso descrive questa esperienza come la più alta «avventura spirituale», da cui si risveglia in uno stato al di là della vita e della morte. Ma il suo corpo non riesce a sopportare questo trauma. In agosto viene portato a lndore, in una clinica di francescane, dove, conservando una estrema lucidità di mente fino all'ultimo, muore il 7 dicembre 1973, dopo aver vissuto una vita in gran parte nascosta, alla ricerca continua di punti di contatto sia tra la spiritualità indiana e cristiana, sia tra l'antica tradizione monastica indiana e la tradizione dei padri cristiani del deserto, da un lato e l'odierna ricerca di nuove forme di vita religiosa dall'altro.
Ecco le sue parole: “Sono penetrato nell'ambiente indù, per portarvi Cristo e la chiesa; ma un po' alla volta ho capito che l’India mi faceva entrare nel mistero molto più profondamente, di quanto non mi si fossero manifestati fino ad allora i tratti di Cristo e della chiesa” .
“Ero venuto qui per farti conoscere ai miei fratelli indù, ma sei tu [Gesù] che ti sei fatto conoscere a me per la loro mediazione”.
Alla luce di questa prospettiva bisogna parlare di un dono reciproco, verificatosi nella sua persona e nella sua opera: il dono dell'India al cristianesimo e, nel sacramento della sua vita, il dono del mistero cristiano all'India, cosa che R. Panikkar chiama «reciproco influsso creativo». Ciò che accade non ha nulla a che fare con il sincretismo, bensì con un'apertura nei confronti del mistero divino, in qualunque veste esso si presenti.