MIRCEA ELIADE E L'ESPERIENZA DEL SACRO
Mircea Eliade nasce il 13 marzo 1907 a Bucarest, ma i genitori spostano il compleanno al 9 marzo; infatti al suo nome di battesimo non corrispondeva alcun patrono nel calendario ortodosso, sicché la famiglia decise di festeggiare il giorno 9, che non era consacrato a nessun santo particolare bensì ai Quaranta Martiri uccisi a Sebaste durante le persecuzioni di Luciano.
Uomo di grande cultura, assiduo viaggiatore, parla e scrive correntemente otto lingue: rumeno, francese, tedesco, italiano, inglese, ebraico, persiano e sanscrito.
Iscrittosi nel 1925 a Lettere e Filosofia dell’università di Bucarest, emerge come leader della giovane «Generazione», un gruppo di intellettuali anticonformisti che aspira a rinnovare la tradizione rumena. Tra gli altri «latini d’Oriente» ci sono Cioran (che nel 1986 gli dedicherà uno dei suoi superbi Exercises d’admiration), Ionesco, Costantin Noica e Mihail Sebastian, un ebreo a lui molto caro.
Nel 1927 e 1928 visita l’Italia, avendo alle spalle una serie di letture che mettono le ali alla sua passione per la nostra cultura. Su tutti Papini ed Evola, a proposito del quale scriverà un testo, “Il fatto magico”, andato perduto. Dopo la laurea sulla filosofia italiana da Marsilio Ficino a Giordano Bruno, alla fine del 1928, parte alla volta dell’India per studiare la filosofia orientale con Surendranath Dasgupta, in casa del quale incontra Giuseppe Tucci.
Vi rimane fino al dicembre del 1931, imparando il sanscrito e raccogliendo materiali, conoscenze ed esperienze che lo segnano profondamente. C´è anche una storia d’amore con Maitreyi, la figlia di Dasgupta, nella cui casa a Calcutta va ad abitare. La ragazza è la protagonista dell’omonimo romanzo, che Eliade pubblica in Romania nel 1933. Sarà un grande successo, che trasfigura Maitreyi in un simbolo dell’immaginario rumeno.
Incrinatisi i rapporti con Dasgupta, viaggia nell’Himalaya occidentale soggiornando nell’Ashram di Shivananda vicino Rishikesh e facendosi iniziare allo yoga. Nel contempo lavora alla tesi di dottorato, che discute a Bucarest nel ‘33 e pubblica a Parigi nel ‘36 con il titolo “Yoga, saggio sulle origini della mistica indiana”, libro che lo lancerà come autore di culto quando lo yoga si diffonderà in Occidente.
L'esperienza e gli studi di questo periodo e lo stretto contatto con le religioni dell'India influenzano e orientano profondamente il suo pensiero.
Dal 1933 al 1940 è di nuovo a Bucarest come assistente di Nae Ionescu che lo avvicina alla Guardia di Ferro, l’organizzazione di estrema destra capeggiata da Codreanu. Costui è convinto, tra l’altro, che gli ebrei cospirino per fondare una nuova Palestina tra il Mal Baltico e il Mar Nero, e il suo vice, Ion Mota traduce in rumeno “I protocolli dei Savi di Sion”. Eliade non è antisemita, ma si lascia intruppare. Il diario che l’amico ebreo Sebastian tiene fra il 1935 e il 1944, pubblicato nel 1996, è a tal proposito un accorato lamento per il comportamento ambiguo di Eliade.
Eliade intanto è tutto preso dalle sue carte: pubblica vari saggi (tra cui “Oceanografia” e “Il mito della reintegrazione”), romanzi (tra cui “Ritorno dal Paradiso”, “La luce che si spegne”, i due volumi Huliganii), un’importante rivista di studi mitologici, Zalmoxis, che richiamerà l’attenzione di Carl Schmitt ed Ernst Jünger.
Nel ’40, sei mesi prima dell'instaurazione della presa del potere dei nazional-legionari del generale Ion Antonescu, Eliade viene nominato consigliere culturale dell'ambasciata rumena, prima a Londra e poi, dal 1941 fino a settembre 1945, a Lisbona. Nel 1942 scrive “Salazar și revoluția în Portugalia”, una celebrazione dello "Stato cristiano e totalitario" del dittatore Salazar.
Alla fine della guerra si trasferisce a Parigi dove, aiutato da Dumézil, insegna all’Ecole des Hautes Etudes. Il Trattato di storia delle religioni (1949) lo consacra come massimo studioso del fenomeno religioso su scala mondiale. Ostile al metodo positivistico e storicista, Eliade riprende la prospettiva aperta da Rudolf Otto e sviluppa uno studio comparativo del sacro e delle sue manifestazioni, le «ierofanie». La sua non è una storia bensì una morfologia del sacro, le cui forme appaiono e si ripetono nel tempo, con le feste, e nello spazio, con i «centri del mondo», riattualizzando miti primordiali. Per lui il mito non è affatto arcaico né fuori gioco, si è piuttosto ritirato negli interstizi della modernità, dove si tratta di scovarlo contro la presunta superiorità dell’uomo moderno sui «primitivi».
Nel 1950 è invitato da Jung al primo incontro di «Eranos» ad Ascona. Nel 1956 passa a insegnare alla Divinity School di Chicago, dove rimarrà fino alla morte (avvenuta il 22 aprile 1986 per un ictus). Dal 1960 al 1972 dirige con Ernst Jünger una straordinaria rivista di storia delle religioni, Antaios. Intanto seguita a pubblicare a ritmo martellante un’infinità di lavori, culminati nella grande “Storia delle credenze e delle idee religiose” (1976-1983). È anche candidato al Nobel per la letteratura.
Nel 1972 lo storico Theodor Lavi (pseudonimo di Lowenstein), in base al diario ancora inedito di Sebastian e ad altre testimonianze, rivela su Toladot, una piccola rivista dell’emigrazione rumena in Israele, che Eliade era stato vicino alla Guardia di ferro. Eliade fa finta di nulla, cerca di sbarazzarsi del suo passato come un serpente della sua pelle, ma la notizia fa il giro del mondo e in Italia è ripresa da Furio Jesi. Un suo viaggio a Gerusalemme nella primavera del 1973 viene annullato in extremis, tra lo sconcerto dell’amico Gershom Scholem. Nei suoi diari, silenzio.
Da quel momento Eliade adopera la sua intelligenza per dissimulare e insabbiare. Cerca coperture, si stringe ad amici insospettabili, come Paul Ricoeur e lo scrittore ebreo Saul Bellow. Quest’ultimo diventa suo intimo, ma nel romanzo Ravelstein inscena il dubbio che lo tormenta. Il protagonista, alias Allan Bloom, mette in guardia l’amico narratore da Radu Grielescu, alias Eliade: è stato «un seguace di Nae Ionescu che fondò la Guardia di Ferro», avverte, antisemita che denunciò «la sifilide ebraica che contagiava la raffinata civiltà balcanica», «ti strumentalizza» per «rifarsi una verginità». Il tarlo del sospetto non soffocherà la compassione, e ai funerali di Eliade Bellow prenderà la parola per dire il suo dolore e la sua compassione.
La sua eredità letteraria viene raccolta dall'allievo Ioan Petru Culianu che però muore misteriosamente assassinato in una toilette dell'Università di Chicago nel 1991.
Il fattore religioso (e più ancora quello mistico) è stato per Eliade la chiave di volta per la comprensione dell'essenza dell'uomo. In pieno XX secolo, di fronte ai progressi scientifici, tecnologici e sociali egli resta un grande sostenitore del valore profondo dell'esistenza arcaica. Egli ha scritto: «Per lo storico delle religioni ogni manifestazione del sacro è importante; ogni rito, ogni mito, ogni credenza, ogni figura divina riflette l'esperienza del sacro, e di conseguenza implica le nozioni di essere, di significato, di verità. «È difficile immaginare – facevo già notare in altra occasione - come lo spirito umano potrebbe funzionare senza la convinzione che nel mondo vi sia qualcosa di irriducibilmente reale; ed è impossibile immaginare come la coscienza potrebbe manifestarsi senza conferire un significato agli impulsi e alle esperienze dell'uomo. La coscienza di un mondo reale e dotato di significato è legata intimamente alla scoperta del sacro. Mediante l'esperienza del sacro lo spirito umano ha colto la differenza tra ciò che si rivela reale, potente, ricco e dotato di significato, e ciò che è privo di queste qualità: il flusso caotico e pericoloso delle cose, le loro apparizioni e le loro scomparse fortuite e vuote di significato» (La Nostalgie des Origines, 1969). Il “sacro” è insomma un elemento nella struttura della coscienza, e non è uno stadio nella storia della coscienza stessa. Ai livelli più arcaici di cultura vivere da essere umano è in sé e per sé un atto religioso, poiché l'alimentazione, la vita sessuale e il lavoro hanno valore sacrale. In altre parole, essere – o piuttosto divenire – un uomo significa essere “religioso”»