IOSAF IL SIDDHARTA CRISTIANO
Si è soliti credere che l’influsso del buddismo sul pensiero e sulla cultura occidentale risalga all’avvento dell’orientalistica, ossia di quella branca accademica che studia le civiltà dell'Oriente, dal punto di vista storico, filologico-linguistico, antropologico e filosofico-religioso.
Eppure il buddismo era già penetrato in Occidente da secoli permeandone, in parte, la psiche collettiva. Buddha del resto era considerato un santo della chiesa cristiana fin dall’XI secolo.
Il suo nome era stato tuttavia lievemente mascherato: Ioasaf, da bodhisattva - budasaf - iudasaf, attraverso le varie versioni che avevano portato la sequenza di fatti, circostanze, archetipi e simboli, della vita del Buddha, fino a Bisanzio.
Inoltre va ricordato che la leggenda del Buddha fu conosciuta dai cristiani nell'Iran orientale e nell'Asia centrale dove questi ultimi vivevano a stretto contatto con buddisti, mazdeisti e manichei, grazie anche alla diffusione di qualche testo scritto come il Lalitavistara.
Tuttavia, la forza plasmatrice bizantina, civiltà del libro per eccellenza, generò un nuovo testo originale: la Storia di Barlaam e Ioasaf, risalente tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo, una versione cristianizzata di episodi della vita del Budda che più tardi divenne celebre con il titolo “Sibrdzne Balavarisa” nella traduzione di Eutimio l'Atonita, un monaco ortodosso georgiano che fu traduttore nella sua lingua di molti testi greci. A lui sono attribuite circa centosessanta traduzioni dal greco, tra cui testi di Basilio il Grande, di Giovanni Climaco e i commenti ai Vangeli di Giovanni Crisostomo.
E fu partendo dalla civiltà bizantina che i racconti sulla vita del Buddha si moltiplicarono in progressione geometrica nella letteratura occidentale , portando Buddha ad estendere la propria predicazione in Occidente sotto le spoglie di un santo cristiano.
La storia di Barlaam e Iosafat (o Josaphat), anticamente venerati come santi cristiani, era narrata in un romanzo agiografico, popolarissimo in età medievale, ispirato alla vicenda della conversione del Buddha.
In essa vi si narrava del principe indiano Iosafat al cui padre, pagano, venne predetto la futura conversione al cristianesimo del figlio.
Iosafat venne tenuto lontano dalle miserie del mondo, in mezzo al lusso ed ai piaceri, ma ciò non gli impedì di prendere coscienza delle miserie della vita umana (la malattia, la vecchiaia e la morte). Il giovane fu convertito dal santo eremita Barlaam e, divenuto eremita egli stesso, convertì al cristianesimo il padre ed i sudditi.
Il loro culto è ancora vivo presso la Chiesa greco-ortodossa che celebra la loro memoria il 26 agosto. I nomi di Barlaam e di Iosafat vennero inseriti nel Martirologio Romano al 27 novembre.
La storia venne in realtà ricalcata sul modello della vicenda della conversione del Buddha (il nome sanscrito Bodhisattva si trasformò in Budasaf e poi in Iosafat; dal nome dell'eremita Balahuar, sdoppiamento del Buddha stesso, si arrivò al nome di Barlaam): venne tradotta in greco e poi in latino, quindi in numerose lingue volgari. Divenne tanto popolare da essere inclusa da Jacopo da Varagine nella sua Legenda Aurea e da ispirare alcune opere di Bernardo Pulci e di Lope de Vega, oltre a numerose opere scultoree, come quella nel Battistero di Parma di Benedetto Antelami, miniature e vetrate, nonché alcune immagini sul mosaico di Otranto.
Attraverso il latino, ma con l’influenza del manicheismo, tale storia raggiunse la Provenza dei catari e degli albigesi. Si affrancò dal latino nei fabliaux, nei sunti dei Leggendari, nei misteri popolari, nelle ballate e nei ludi medievali. Attraversati i confini settentrionali dell’Europa influenzò anche il teatro di Shakespeare. Nel Seicento raggiunse la sua massima fortuna, in Spagna, dove Lope de Vega ne trasse il suo Barlán y Josafá,
Quell’eco mistica arrivò a Baudelaire, per insinuarsi in Mon coeur mis à nu, e a Tolstoj, la cui Confessione è forse la più chiara enunciazione del buddismo cristiano: conosciuto mediante la tradizione ortodossa dei Menei, il Buddha bizantino, scrive, «gli rivelò il senso della vita».