LE DISORDINATE GEOMETRIE INTERIORI DI FRANCESCA WOODMAN
Francesca Woodman (Denver, 3 aprile 1958 – New York, 19 gennaio 1981) è stata una fotografa statunitense.
Fu, nonostante una vita breve, un'artista fotografica influente e importante per gli ultimi decenni del XX secolo.
Crebbe in una famiglia di artisti: il padre George era un pittore e la madre Betty una ceramista. Durante l’infanzia trascorse diversi anni e molte vacanze estive a Firenze, dove frequentò il secondo anno di scuola elementare e prese lezioni di pianoforte. Scoprì la fotografia molto giovane, sviluppando le sue prime foto a soli 13 anni. Tra il 1975 e il 1979 frequentò la Rhode Island School of Design (RISD), dove si appassionò alle opere di Man Ray, Duane Michals e Arthur Fellig Weegee.
Tornò, poi, in Italia, a Roma, per frequentare i corsi europei della RISD con l'amica e collega Sloan Rankin. Si appassionò alle opere di Max Klinger e conobbe, tra gli altri, Sabina Mirri, Edith Schloss, Giuseppe Gallo, Enrico Luzzi e Suzanne Santoro. In Italia si avvicinò all'ambiente artistico della Transavanguardia Italiana.
Nel gennaio del 1981 pubblicò la sua prima (e unica, da viva) collezione di fotografie, dal titolo “Some Disordered Interior Geometries” (Alcune disordinate geometrie interiori).
Nello stesso mese si suicidò gettandosi da un palazzo di New York all'età di soli 22 anni.
La Woodman con la macchina fotografica ritrasse nudi femminili in bianco e nero, talvolta con il volto oscurato, ottenendo effetti sfocati grazie al movimento ed al lungo periodo di esposizione, conferendo con ciò l'effetto di una fusione dei corpi con l'ambiente circostante.
I critici hanno riscontrato nelle sue immagini l'influenza del surrealismo essendo manifesto in esse il desiderio di spezzare il codice delle apparenze. Anche l'artista stessa manifestò l'adesione alla tradizione surrealista attraverso la volontà di non fornire spiegazioni sulle proprie opere.
Francesca appariva in molte delle proprie fotografie e spesso anche l'amica fotografa Sloan Rankin Keck e il compagno Benjamin Moore.
Il suo lavoro si concentrava soprattutto sul suo corpo e su ciò che lo circondava, riuscendo spesso a fonderli insieme con abilità.
Francesca Woodman non è stata solo una fotografa, ma anche l’angelo fragile, la giovane promessa della fotografia, la più brava e sofisticata della scuola, la fotografa più inquieta e per molti la femminista.
Nella sua fotografia c’è sempre il corpo, nudo o in parte scoperto, il volto è spesso tagliato fuori, il corpo si fa frammentato e labile, fantasma fuso nella natura o nella carta da parati, assorbito in un ambiente domestico dismesso, logoro. Più che un filtro femminista c’è ricerca dell’identità, la propria più che di genere. Si avverte la tipica bipolarità adolescenziale, il non voler vedere il proprio corpo che cambia, il racchiudersi nel capriccio del corpo stesso e la convinzione che lo schifo attorno sia eccessivo per una mente sensibile. Nella sua fotografia la giovane Woodman sembra aver già fatto i conti col tempo.
Per Francesca Woodman la fotografia è un fatto estremamente personale, c’è sempre lei al centro della sua fotografia. Sempre lei al centro del suo mondo, sempre lei al centro della sua ricerca estetica. Il suo più che narcisismo è desiderio di non sparire per sempre, o almeno di emergere all’interno della famiglia, superare artisticamente il padre pittore e fotografo, la madre ceramista, il fratello video-maker. Lei stessa scriveva che «l’unico problema è che il mondo dell’arte qua ti dimentica se vai via cinque minuti», è un rischio essere artisti in un mondo di squali, soprattutto se fai la spola tra Roma e New York per studiare e poi tuo padre viene invitato ad una collettiva al Guggenheim e a te invece ti hanno notata in pochi, pochi ti hanno detto che la tua fotografia ha un senso e vale. Forse andando via per sempre e non per cinque minuti nessuno l’avrebbe più dimenticata.
In molti sostengono che nella fotografia di Francesca Woodman ci sia il segno di un suicidio annunciato. Negli scatti dell’ultimo periodo il corpo dell’artista sembra aver perso il ruolo preminente, come se la ricerca della Woodman si fosse a un certo punto spostata verso una fotografia dell’anima dell’ambiente circostante, una fotografia smaterializzata in puro spirito.
Alla sua morte nessuno si aspettava di trovare una quantità strabiliante di fotografie, carteggi e riflessioni su carta. Poi la fama postuma, con una retrospettiva nel 1986 al Wellesley Art Museum a cura di Ann Gabhart, la resurrezione fotografica, la nascita del mito e la dimensione commerciale.
Taluni affermando che sia stata la miglior fotografa degli anni ’70.
“Io vorrei che le mie fotografie potessero ricondensare l’esperienza in piccole immagini complete, nelle quali tutto il mistero della paura o comunque ciò che rimane latente agli occhi dell’osservatore uscisse, come se derivasse dalla sua propria esperienza.” (Francesca Woodman)