LO "YOGA DI STATO" DI MODI. LO YOGA COME TRADIZIONE E NON COME FRUTTO DELLA BEAT GENERATIO
Lo Yoga cambierà l’India e il Mondo, il premier indiano Narendra Modi non ha dubbi in merito e per questo ha intenzione di massificare la pratica dello yoga a tutta l’India. Un progetto ambizioso che ha già prodotto i primi contrasti fra la maggioranza indù e le minoranze religiose presenti nel paese, una su tutte quella musulmana.
Narendra Modi vanta un passato nel ben più radicale Rss (Rashtriya Swayamsevak Sangh), gruppo paramilitare induista, responsabile, tra le altre cose, della distruzione di alcune moschee negli anni Novanta
Il 21 giugno di ogni anno si celebra la giornata internazionale dello yoga, sancita dalle Nazioni Unite proprio su richiesta del primo ministro indiano nel 2014.
Modi in un discorso, alla sede delle Nazioni Unite in concomitanza con la giornata mondiale delle Yoga da lui voluta, ha affermato: “Lo yoga è un dono inestimabile dell’antica tradizione indiana. Esso incarna l’unità di mente e corpo, pensiero e azione, moderazione e realizzazione, l’armonia tra uomo e natura e un approccio olistico alla salute e al benessere. Non si tratta di esercizio, ma di scoprire il senso di unità con sé stessi, il mondo e la natura”.
Nerendra Modi, convinto vegetariano, e praticante di yoga, ha già da tempo attuato una politica nazionalista in linea con la cultura indù, che da un lato ha introdotto la pratica obbligatoria dello Yoga per gli agenti di polizia e dall’altro, in modo più democratico, ha dato la possibilità di praticare la disciplina gratuitamente in tutte le scuole indiane, oltre che a ben tre milioni di dipendenti pubblici e alle loro famiglie.
E’ stato anche il primo capo di Governo indiano a istituire un ministero dello Yoga.Tuttavia le tensioni non mancano.
Secondo l’opposizione interna tale rivoluzione in atto, non è nè un disegno nè un ricamo, ma un atto di violenza che sta provocando divisione e dissenso fra cristiani, musulmani e indù. I musulmani sopratutto, rivendicando il loro diritto ad essere nazionalisti, non hanno intenzione di aderire a questo Yoga di massa allo stato embrionale imposto dal governo Modi, perché lo ritengono contro i principi dell’Islam.
La linea nazionalista di Modi vuole porre in essere un cambiamento sociale con o senza il consenso delle minoranze politiche e religiose e vuole farlo sulla base della tradizione culturale indù.
L’evento ha scatenato una serie di critiche, soprattutto da alcuni gruppi e attivisti musulmani che non vogliono essere obbligati a cantare “Om”, suono sacro all’induismo, o fare il saluto al sole, che secondo loro violerebbe la natura monoteistica dell’Islam (New York Times). Modi ha chiarito che l’evento non avrebbe previsto alcun “Om” né alcun saluto al sole (una delle più comuni sequenze yoga), ma un suo compagno di partito, il parlamentare e sacerdote indù Yogi Adityanath, ha risposto che, fosse per lui, chi ha problemi col saluto al sole andrebbe gettato in mare.
Il ministro dello Yoga Shripad Naik, anche lui del Bjp, ha dichiarato inoltre, in linea con le tesi di Baba Ramdev, che lo yoga è un ottimo strumento per «curare l’omosessualità».
Nel 2015 lo Yoga Day ha coinvolto 47 nazioni, inclusa l’Italia. A nuova Delhi si è svolta una sessione collettiva di yoga, che, con quasi 36 mila partecipanti, ha battuto il Guinnes dei primati. Molti erano dipendenti pubblici, la cui partecipazione è stata caldamente consigliata dal primo ministro in persona.
E’ molto interessante come in Occidente molti maestri e insegnanti di yoga, spesso critici con ogni forma di nazionalismo e perfino contro lo stesso Modi, festeggino ogni anno la “Giornata Mondiale dello Yoga”.
In Indiala principale forza di opposizione, il partito del Congresso, ha accusato il premier di volere «usurpare lo yoga» trasformandolo «in una questione polarizzante e coercitiva». Non è lo yoga di per sé, quanto l’idea di imporlo agli altri, e in particolare ai musulmani, che il Congresso contesta. Per ribadirlo, il partito d’opposizione ha fatto circolare immagini del suo padre fondatore Jawaharlal Nehru immerso nella meditazione.
Per l’opposizione indiana, lo Yoga Day è stata decisamente una operazione di destra, nonché, secondo, alcuni, in odore di imposizione dell’induismo come religione di Stato: «Lo yoga è la prosecuzione della politica con altri mezzi», ironizza la studiosa indo-americana Andrea Jain.
Questa idea dello yoga che ci fa essere più buoni ha cominciato, secondo alcuni, a diffondersi in Occidente negli anni Sessanta e Settanta. Era l’epoca della rivoluzione sessuale e ben presto sarebbe arrivata quella dei figli dei fiori, quando Richard Alpert, uno psicologo ebreo di Boston, cominciò a interessarsi di psichedelia e delle possibili applicazioni dell’LSD nella cura delle malattie mentali: cacciato da Harvard nel 1963 a causa di questi suoi esperimenti, Alpert partì per l’India, dove si convertì e prese il nome di Ram Dass, “servo di Dio.” Tornato negli Stati Uniti, pubblicò nel 1971 Be Here Now che presto diventò un bestseller e, complice lo spirito del momento, contribuì alla diffusione dello yoga, della meditazione e, più in generale, della spiritualità orientale nel Nord America. Da lì nacque la sovrapposizione tra yoga e sottocultura hippy. Da lì, in parte, deriva l’idea che dello yoga ha oggi il pubblico generalista: amore, pace, spiritualità.
Tuttavia Paramahansa Yogananda guru e mistico indiano, nonché autore del libro “Autobiografia di uno Yogi”, giunse a Boston, negli Stati Uniti, molto prima ossia nel 1920 e nella costituzione della sua “Self-Realization Fellowship, che dal 1925 avrebbe avuto sede stabile a Los Angeles, fu accolto con grande partecipazione ed entusiasmo da personaggi che provenivano dalla chiesa mormona come Sri Daya Mata, al secolo Faye Wright, e da uomini d’affari come Rajarsi Janakananda (James J. Lynn), e non certo da personaggi legati alla beat generation che riempirono gli ashram di maestri come Prabhupada e personaggi come Osho, Maharishi Yogi, ecc, verso la fine degli anni sessanta.
Tanti maestri o insegnanti di yoga europei e occidentali, contestano l’idea di politicizzare lo yoga, più spinti dal fastidio che lo yoga possa essere classificato all’interno di una concezione politica a cui si oppongono per motivi ideologici e perfino talvolta con l’intento di strappare la connotazione indiana dello Yoga per renderla più global e quindi anche commercializzabile e che spesso viene fatto convivere con percorsi di tipo olistico tutt’altro che in linea con lo Yoga stesso, quanto piuttosto con una visione prettamente progressista di tutto ciò che possa essere definito come tradizionale o spirituale. E’ possibile vedere la programmazione della maggior parte di centri yoga italiani per trovarvi ammassati una grande cozzaglia di discipline ( o presunte tali) alternative a tutto ciò che è ufficiale con tanto di “ego smisurato” al seguito; mentre in India lo yoga diviene semplicemente ufficiale e non alternativo!
Per non dimenticare lo yoga “femminista” degli anni 70, tutto tipicamente ideologico, che monopolizzava lo yoga come un percorso tassativamente femminile
Lo yoga, si continua a sostenere, essere una disciplina – o, meglio, un’insieme assai variegato di filosofie e pratiche, fisiche e spirituali – antichissima, che traccia le sue origini nelle culture indiane pre-vediche di quattromila anni fa.
Eppure l’Europa “moderna” comincia a conoscere lo yoga verso la fine del Settecento, quando si consolida il dominio britannico delle Indie: in quel periodo arrivano le prime traduzioni inglesi dei più importanti testi induisti, come i Veda e il Bhagavadgītā, giunti grazie alla traduzione in persiano volute da personaggi come l’imperatore Akbar e il sufi Mohammed Dara Sikoh.
Sir John Woodroffe, noto anche con lo pseudonimo di Arthur Avalon (15 dicembre 1865 – 1936), fu un orientalista britannico, il cui lavoro ha contribuito a promuovere in Occidente un profondo interesse per la filosofia indiana, le pratiche yoga e quelle tantriche.
Nella seconda metà dell’Ottocento, con la diffusione dell’occultismo tra i ceti istruiti dell’Europa e degli Stati Uniti, gli stessi testi incontrarono una discreta popolarità tra i movimenti esoterici del periodo e in particolare nella Società Teosofica all’interno della quale approderanno personaggi come Krishnamurti, considerato “Il Guru della Nuova Era”, compito dal quale quest’ultimo pensò bene di abdicare, sostenendo: “la rivoluzione interiore va fatta da sé per sé, nessun maestro o guru può insegnarti come fare”.
In Italia, tra i primissimi estimatori dello yoga si annovera Julius Evola e alcuni suo estimatori come lo steineriano Massimo Scaligero (che si interessò in particolar modo di Kundalini), e non solo; come in Europa vogliamo ricordare Mircea Eliade; la lista tuttavia sarebbe assai lunga.
Evola pubblicò nel 1949 il saggio Lo Yoga della potenza, ristampato nel 1968 da Edizioni Mediterranee. Più che un saggio sullo yoga in sé, definito da Evola come «disciplina volta alla liberazione», è un saggio sullo yoga tantrico, caratterizzato «non dalla via del puro distacco, come nel buddhismo delle origini e in molte varietà dello stesso yoga, bensì da quella della conoscenza, del risveglio e del dominio delle energie segrete chiuse nel corpo».
La spiritualità orientale era presente prima di quella che venne definita la “contestazione giovanile” all’interno degli interessi di studiosi italiani di spicco come Giuseppe Tucci, ma anche come Filippo Pio Ronconi; non solo, ma il primo studioso di lingua sanscrita Paolo Emilio Pavolini, padre del gerarca fascista Alessando Pavolini impiccato a Piazzale Loreto. Durante l’esperienza fiumana Guido Keller, nudista, vegetariano e cultore delle asana, creò il movimento esoterico “Yoga. l’Unione di Spiriti Liberi tendenti alla perfezione”, che assume come simbolo una svastica, allora allegoria del carro e del sole, e una rosa a cinque petaliMathias Tietke, che nel 2011 ha pubblicato il saggio “Lo Yoga nel Nazionalsocialismo concetti, contrasti, le conseguenze”, sostiene che il ministro degli interni Heinrich Himmler avesse consigliato agli aguzzini dei campi di concentramento di praticare la meditazione orientale per alleviare la tensione.
Che Eva Braun la compagna di Hitler praticasse yoga ogni mattina era poi risaputo.
Difatto nell’India contemporanea la pratica dello yoga ha sempre avuto anche una connotazione di identità culturale, di ritorno alle origini, di rifiuto della cultura occidentale imposta dal dominio inglese, senza però necessariamente implicare un estremismo nazionalista. Praticavano lo yoga quotidianamente Jawaharlal Nehru, padre della nazione indiana, e sua figlia Indira Gandhi, per fare due esempi.
Il disappunto esplicito da parte di quella elite di yogi occidentali di sinistra che si oppongono alle posizioni della destra indiana svaniscono quando le medesime sono in prima fila nell’organizzare, spesso con scopi anch’essi bassi come quello di riempire le proprie casse, la giornata dello Yoga nelle loro città, all’interno delle quali ovviamente si contestano le scelte di Modi stesso, di cui si utilizzano tuttavia le scelte che fanno comodo. Con il sostantivo maschile sanscrito Yoga nella terminologia delle religioni originarie dell'India si indicano le pratiche ascetiche e meditative. Non specifico di alcuna particolare tradizione hindu, lo Yoga principalmente inteso come mezzo di realizzazione e salvezza spirituale, è stato poi variamente interpretato e disciplinato a seconda della scuola. Se non può essere esclusiva di nessun nazionalismo, non può neppure essere appartenere ad un’idea prodotta dall’arroganza di alcuni yogi occidentali.