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  • Sibilla Mannarelli

STEVE JOBS ED IL PROFONDO LEGAME CON L’ORIENTE


Nato come Abdul Latif Jandali da madre statunitense di origini svizzere e tedesche (Joanne Carole Schieble) e padre siriano (Abdulfattah "John" Jandali, uno studente che sarebbe diventato più tardi professore di scienze politiche), Steve Jobs non fu cresciuto dai suoi genitori naturali. Appena nato nel 1955 fu dato in adozione a Paul Reinhold Jobs e Clara Hagopian, residenti a Mountain View, nella contea di Santa Clara, in California. Il padre adottivo all'epoca faceva il meccanico per auto e la madre la contabile. Steve aveva una sorella biologica più giovane, Mona Simpson, scrittrice di successo. I genitori adottivi battezzarono Steve e lo educarono alla fede cristiana luterana.

Come stabilito molti anni prima, nel 1972 Steve Jobs si iscrisse all’università, al Reed College, in Oregon. Ben presto capì che quei corsi non erano poi tanto interessanti e decise di mollare i corsi ufficiali e di seguire solo quelli che gli interessavano. Come quello di calligrafia, dove imparò tutto su scrittura, lettere e caratteri.

Per risparmiare lasciò la camera del dormitorio e si fece ospitare da amici; iniziò a raccogliere bottiglie di Coca-Cola vuote, per restituirle ai venditori e avere in cambio cinque centesimi di cauzione; arrivò perfino a farsi 10 km a piedi per raggiungere il tempio Hare Krishna dove, la domenica, si mangiava gratis.

Nel 1974 quando stava lavorando in Atari, un suo amico appena tornato dall’India spinse Steve a partire per il medesimo viaggio spirituale. Jobs recrutò Daniell Kotte per accompagnarlo e partì per il subcontinente indiano. I due decisero di andare nel Kainchi Ashram, un tempio collocato sui monti Kumoan nello Uttar Pradesh. Inaugurato nel 1964, il tempio ospitava Karoli Baba, conosciuto anche come Maharaj-ji, un guru molto famoso che aveva generato un forte interessamento nella cultura mistica di moda negli USA negli anni ’70. Maharaj-ji, però, morì nel 1973, un anno prima del viaggio di Jobs che seppe della morte solo dopo aver raggiunto il tempio.

Quel viaggio di 7 mesi nasceva più che da un desiderio di avventura da una ricerca più seria (sicuramente Jobs fu uno di quei ragazzi che negli anni 70 erano profondamente attratti dalla cultura Hippy). Atterrò a Nuova Delhi e dopo pochi giorni si recò ad Haridwar durante la festa del Kumbha Mela. Successivamente si recò a Nainital ai piedi dell’Himalaya. Fu in India che conobbe e lesse “Autobiografia di uno Yogi” (libro che per suo desiderio fu poi distribuito ai partecipanti al suo funerale nel 2011).

Jobs tornò negli Stati Uniti (con il capo rasato, indossando sandali e veste arancione) e mentre continuava a cercare l’oltremondano anche nelle droghe sintetiche come l’LSD (“una delle tre esperienze più importanti della mia vita”, disse) si mise a seguire seriamente il buddhismo Zen. Il suo maestro fu il giapponese Kobun Chino Otogowa, un discepolo diretto del celebre Shunryu Suzuki, tra i primi a rendere popolare il Soto Zen in California.

Jobs diventò un fedele adepto, insieme con la fidanzata di allora Chrisann Brennan, l’amico Daniel Kottke e la ragazza di questi. “Conoscere Kobun fu un’esperienza profonda per me” disse Jobs “e finii per passare più tempo che potevo con lui”. In un paio di occasioni discussero se Jobs avrebbe dovuto dedicarsi alle sue ricerche spirituali, ma Kobun gli consigliò altrimenti: disse che avrebbe potuto mantenere il contatto con il suo lato spirituale pur occupandosi della sua professione. Gli disse di praticare la Medit-Azione, ovvero agire riflettendo.

Il rapporto fu durevole e profondo e diciannove anni dopo, Kobun avrebbe celebrato il matrimonio di Jobs.

Otogawa non era sicuramente un tipico monaco buddista. Rifiutò ad esempio di radersi la testa. Amava le donne e l’alcol. Per Jobs questo ribellarsi alle convezioni del monaco rappresentava un elemento di grande fascino. Più tardi quando Jobs divenne ricco donò una delle sue case a Otogawa e lo andava a visitare regolarmente. Quando Otogawa morì in Svizzera all’età di 64 anni cercando di salvare la figlia di 5 anni che stava affogando Jobs ne fu devastato.

Jobs fu serio e molto diligente nella pratica dello Zen, intraprendendo lunghi ritiri di meditazione a Tassajara – il primo monastero Zen in America – passando settimane di fila “di fronte al muro”, come dicono gli studenti Zen, per osservare l’attività della propria mente. Uno dei libri che inspirarono Steve Jobs nell’avvicinarsi al Buddhismo fu “Cutting Through Spiritual Materialism” (Al di là del materialismo spirituale) di Chögyam Trungpa Rinpoche.

La sua attrazione verso la spiritualità e cultura orientale emergeva anche in piccoli gesti: quando a 26 anni mentre era amministratore delegato di Apple andò a tenere una lezione presso l’Università di Stanford, si tolse giacca e scarpe e prese la posizione del loto.

Lo stesso minimalismo che si trovava anche nel design dei suoi prodotti e nel suo modo di vestire (il famoso dolcevita nero) nasceva sicuramente dalla sua impostazione zen.

L’ex presidente della Pepsico John Sculley, che si trovò a dover licenziare Jobs, sottolineò che anche la stessa casa di Steve era Zen: non aveva quasi mobili. Aveva giusto una foto di Einstein che ammirava grandemente, una lampada, una sedia ed un letto.

Jobs riuscì poi a convincere Sculley a lavorare per Apple quando gli chiese: “Vuoi passare il resto della tua vita a vendere acqua zuccherata o vuoi avere una possibilità di cambiare il mondo?”

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IL BLOG DI MASSIMO E SIBILLA MANNARELLI

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