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Massimo Mannarelli

MITO DELLA CAVERNA E SALTO IN ALTO. LA RIVOLUZIONE PLATONICA DI FOSBURY


Il 20 ottobre 1968, il futuro ingegnere Dick Fosbury originario di Portland, Oregon, riscrive la storia di una delle specialità più classiche dell’atletica: il salto in alto. Lo fa, e questo inevitabilmente aiuterà le fortune della nuova tecnica, vincendo la medaglia d’oro con 2 metri e 24 centimetri. Da allora, in pedana, nulla sarà più come prima. Il nuovo modo di saltare, dando le spalle all’asticella, conquista lentamente, ma inesorabilmente tutto il mondo. Il ventrale, allora il verbo incontrastato della specialità, va in pensione nonostante qualche ostinata eccezione (come quella l’ucraino Volodja Yaschenko nella seconda metà degli anni ‘70) provi a tenerlo miracolosamente in vita.

Richard Douglas Dick Fosbury è un ragazzo come tanti. L’atletica non sembra fatta per lui. È alto, altissimo, impacciato. Non è veloce, non è forte fisicamente nè resistente. Si salva in “calcio d’angolo” con il salto in alto, grazie alle lunghissime leve che si ritrova, ma non sembra destinato a fare grandi cose. A 16 anni non riesce a saltare nemmeno 1.50m, “minimo” per competere in tanti meeting scolastici. Non si trova bene con il metodo classico e universale dell’epoca, la straddle techique, poiché non riesce a coordinare bene i movimenti e decide di sperimentare nuove forme tecniche: dalla “sforbiciata” fino ad arrivare al “flop“, un salto con la schiena inarcata nel quale l’asticella viene superata guardando verso l’alto. E quella diventa la svolta, non solo di una vita, ma di uno sport.

Gli anni passano, lui cresce e migliora, fino ad arrivare al 1968. Ai Campionati Statunitensi è l’unico a presentarsi in pedana con quel gesto atletico, conquistando la vittoria e garantendosi il pass per le Olimpiadi. A Città del Messico, in quel 20 Ottobre, tutti rimangono stupiti di quanto quel ragazzo spilungone, con quel gesto diverso dall’ordinario, riesca a saltare in alto. Arriva, come anticipato, a superare l’asticella dei 2.24m, nuovo Record Olimpico, che gli vale anche la medaglia d’oro. Da ragazzo impacciato e negato per lo sport, si ritrova in poco meno di 5 anni ad essere il più forte atleta ad aver mai saltato su una pedana. Oltre che colui che ha per sempre cambiato la concezione del salto in alto.

Il mito della caverna di Platone è uno dei più conosciuti tra i miti o allegorie o metafore del filosofo ateniese. Il mito è raccontato all'inizio del libro settimo de La Repubblica (514 b – 520 a).

Platone immagina la condizione umana come quella di alcuni schiavi, tenuti incatenati all’interno di una caverna sin dalla loro nascita, il cui unico contatto con il mondo sono delle immagini che scorrono sul fondo della caverna proiettate da una fiamma alle loro spalle; quello che vedono gli schiavi dalla loro nascita sono le ombre che si muovono sul fondo della caverna. Platone immagina che un giorno uno di questi schiavi si liberi, riuscendo non solo a liberarsi ma anche ad uscire dalla posizione in cui è stato relegato per tanti anni, voltandosi lo schiavo compie una “rivoluzione”, scoprendo che quello che lui percepiva come l’unica realtà, non è la vera realtà; tutto ciò viene percepito alzando gli occhi al cielo per vedere che gli essere reali vivono grazie alla luce del sole.

Fosbury compie “atleticamente” un gesto rivoluzionario, nato quasi per caso, con un progressivo, quasi annoiato avvicinamento alla “scoperta”. Fosbury comincia con il ventrale combinando poco o niente nei salti di scuola per poi ripescare il vecchio salto “a forbice”. Quindi progressivamente comincia a inclinare la schiena fino a raggiungere il suo equilibrio, combinando il tutto con una rincorsa curvilinea che velocizza tutta l’esecuzione. In realtà sono anni che l’ingegnere combatte la sua personalissima battaglia con i tecnici che vincono in allenamento, costringendolo al ventrale, ma perdevono regolarmente in gara, quando Fosbury sente una voce di dentro che lo porta a rischiare i suoi salti apparentemente temerari.

Immaginati anche a tavolino, da buon ingegnere, con dei “disegnini” di cui parla subito dopo aver vinto. Sono dei veri e propri studi di biomeccanica. Con un fondamentale alleato, però: il materasso morbido, che in quegli anni ha soppiantato sabbia e trucioli di legno, un’ ”accoglienza” che insopportabile per gli atterraggi del nuovo stile.

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