LA DIFFUSIONE DELLO YOGA IN RUSSIA
Il sistema indiano di pratiche fisiche, mentali e spirituali conquista i russi fin dall'epoca zarista Secondo Olga Kazac (Russia beyond 2013): Nella Russia zarista lo yoga era piuttosto popolare. È qui che bisogna cercare le radici del suo ingresso nel Paese. Dalla fine dell'Ottocento fino all'inizio degli anni Venti del XX secolo, nel momento in cui si creò la struttura statale dell'Urss, l'intellighenzia artistica e del pensiero si interessò alla filosofia e allo yoga. In particolare, prosegue la Kalac, è noto che il regista teatrale Konstantin Stanislavskij utilizzasse nel suo metodo alcuni esercizi di yoga e procedimenti di psicotecniche buddiste, mirate allo sviluppo dell'attenzione e della concentrazione, al raggiungimento della "solitudine pubblica" sul palco che in sostanza sarebbe la dhyana, la meditazione totale. Un altro maestro teatrale, attore e regista dopo Stanislavskij che si occupò per tutta la vita di yoga e di molte questioni inerenti alla tecnica della recitazione fu Mikhail Cechov (1891 – 1955). Agli albori del Novecento uscì un buon numero di opere sullo yoga. Furono pubblicati i libri dello scrittore americano William Atkinson che scriveva con lo pseudonimo di Yogi Ramacharaka: "Hatha yoga", "Jnana-yoga", "Fondamenti di meditazione del mondo degli yogin indiani". Oltre agli studi di Atkinson in quel periodo in Russia venne pubblicato "Raja yoga" di Swami Vivekananda, "Yoga Sutra" del maestro Patanjali, tradotto come "Aforismi di Patanjali" e fu ripubblicato il "Bhagavad Gita". È curioso che il "Bhagavad Gita", spiega la Kalac, sia comparso per la prima volta ancora sotto Ivan il Terribile (1530 – 1584). Il manoscritto era stato mandato in regalo allo zar da parte del Gran Mogol. La sua prima traduzione in russo (dall'inglese e dal sanscrito) uscì su decreto imperiale di Caterina II e con la benedizione del Santo Sinodo ("Questo libro fa bene all'anima") nel 1788 nella tipografia di Nikolai Novikov. Ora il manoscritto del primo "Bhagavad Gita" è conservato a Mosca nell'archivio del Ministero degli Affari Esteri. Bisogna comunque osservare che i concetti alla base dello yoga all'inizio del Novecento erano piuttosto speculativi. La pratica di singoli esercizi, delle tecniche respiratorie e delle meditazioni avevano invece un carattere pratico e difficilmente potevano portare allo scopo finale dello yoga: il samadhi. La Kalac racconta che nel 1915 intanto, nell'inquieta Russia prerivoluzionaria, fa la sua comparsa un uomo dalla volontà di ferro, un mistico e ipnotizzatore che nello studio delle teorie orientali non fa leva soltanto sull'esperienza ricavata dalla lettura dei libri, ma anche sulle conoscenze ricevute – come amava dire lui stesso – "dai più diversi maestri di Asia e Oriente". Stiamo parlando di Georges Ivanovich Gurdjieff, uno dei più contradditori filosofi del Novecento. In quegli anni è soltanto agli inizi del suo lavoro "L'insegnamento della quarta via", che per sua stessa affermazione, "contiene elementi di dottrina yoga, sufi, del buddismo tibetano e delle tecniche poco studiate degli sciamani prese da varie tradizioni, tra cui quella mongola". Tuttavia la Rivoluzione prima e la guerra civile poi fanno saltare i suoi piani; Gurdjieff va nel Caucaso e quindi in Europa. Nel 1922 apre in Francia l'Istituto per lo sviluppo armonico dell'uomo in un castello a Le Prieuré, vicino a Fontembleau. Sempre negli anni Venti a Parigi altri esuli russi – Nikolai ed Elena Rerich – sono impegnati nella sistematizzazione delle teorie di agni yoga, il nuovo insegnamento religioso-filosofico detto anche "Etica di vita", che aspira alla sintesi di tutte le religioni e tipi di yoga indicando un'unica base energetica e spirituale di universo, il cosiddetto "fuoco dello spazio". Elena Rerich sostiene che i libri di agni yoga siano stati scritti in seguito alle cosiddette "conversazioni chiaroveggenti" con il Mahatma Morya. La Kalac afferma, per altro, che: È anche risaputo che alla fine dell'Ottocento Elena Blavatskaja sia stata allieva del Mahatma Morya e dalle parole del maestro abbia tratto le opere "La dottrina segreta" e "Iside svelata". Secondo la Kalac: Si hanno notizie assolutamente insufficienti sulle pratiche di yoga arrivate dal buio dei "repressivi" tempi dello stalinismo, eppure si sa che allora lo yoga era oggetto d'interesse di uno specifico gruppo di spiriti forti che lo praticavano soprattutto nei lager, riuscendo così a sopravvivere in condizioni disumane. In particolare è noto che il filosofo e scrittore Dmitri Panin, descritto nel romanzo di Aleksandr Solzhenitsyn "Il primo cerchio" con il nome di Dmitri Sologdin, si occupasse di yoga con particolare perseveranza. "Ai tempi di Stalin sopportò diciassette anni di lager e sopravvisse, mentre la morte falciava a migliaia gli sfortunati detenuti": queste sono le parole di Panin su un suo conoscente, Yuri Glazkov, nel suo romanzo "Al confine dei padri". Una delle bellezze cinematografiche del periodo stalinista, una donna di cui persino Lavrentij Berija confessò di essersi innamorato, l'attrice Tatjana Okunevskaja, scontò sei anni di gulag. Quando era ancora viva raccontò ai giornalisti che era sopravvissuta grazie "alle carote fresche e allo yoga". La Okunevskaja era stata mandata insieme alle sue compagne di cella a fare il raccolto e si salvò i denti "masticando carote mentre ne toglieva il fango contro la giubba". La Okunevskaja praticava ogni giorno lo yoga e conservò questa abitudine di regolare esercizio per tutto il resto della sua vita. Per sua stessa ammissione riuscì a rimanere in equilibrio sulla testa fino a un'età avanzata. La Kalac afferma che: Parlando di quel difficile periodo è impossibile non ricordare, per la popolarizzazione della filosofia yoga in Russia, il contributo di Boris Leonidovich Smirnov, un chirurgo e professore universitario, esiliato per motivi politici ad Asgabat. Smirnov si appassionò allo yoga e imparò da solo il sanscrito, iniziando nel 1939 la traduzione in russo del grande epos indiano "Mahabharata", da cui risultarono in definitiva 8 volumi. Nel 1956 uscì la sua traduzione commentata del "Bhagavadgita", mentre il sesto libro del "Mahabharata", il "Bhishma Parva" con i materiali sulla filosofia samkhya e yoga vide la luce nel 1963. Secondo il giudizio dei suoi contemporanei l'attenzione di chi faceva yoga durante il periodo stalinista era autenticamente rivolta all'interiorità. "Questi uomini mostravano con il loro esempio che lo yoga è un lavoro con se stessi, non serve nessun altro, sei solo nel flusso della pratica che può avvenire ovunque, anche in un lager", sottolinea Larisa Danilina. "In un certo senso coloro che avevano trovato dentro di sé le forze di lottare contro le circostanze esterne di quel periodo, erano dei veri maestri yoga, semplicemente non sapevano di potersi chiamare così". La Kalac scrive: Se nel periodo dello stalinismo lo yoga era un metodo di sopravvivenza, nel periodo del "disgelo" krusceviano e all'inizio del governo di Brezhnev divenne per le persone un hobby rivestito di un'aurea di romanticismo. Nel 1963 uscì il romanzo "La lama del rasoio" dello scrittore di fanstascienza sovietico Ivan Efremov, che in una lingua elegante e accessibile espose ai lettori sovietici i postulati principali della filosofia yoga. Intanto sulla rivista "La gioventù rurale" iniziarono a uscire articoli sugli effetti terapeutici dello yoga, pubblicati da Anatolij Nikolaevich Zubkov, l'indologo e specialista di hindi, il primo (e a quanto pare ultimo) insegnante certificato di yoga nell'Unione Sovietica. Nel periodo del "disgelo" Zubkov fu mandato per un lungo viaggio di lavoro in India dove conobbe Guruji Shriram Kumar Sharma (allievo di Swami Shivananda), sotto la cui guida iniziò a praticare esercizi yoga. Racconta la Kalac che: Tornato in patria Zubkov divenne un vero e proprio missionario, compiendo un enorme lavoro di diffusione dello yoga in Urss. Pubblicizzare lo yoga e con scopi per nulla utilitaristici richiedeva a quel tempo una buona dose di coraggio. Zubkov venne persino chiamato al n. 38 della Petrovka (sede della polizia di Mosca). Tutto però finì bene e negli anni Settanta egli scrisse la sceneggiatura del primo documentario sovietico sullo yoga dal titolo "Gli yogin indiani. Chi sono?". Come fa notare la direttrice del Centro yoga iyengar Elena Ulmasbaeva, dopo che il documentario uscì sugli schermi cinematografici dell'Urss, iniziò la "moda dello yoga"; di solito si trattava della stampa dei libri di Indra Devi o di frammenti dello "Yoga Dipika" di B.K.S. Iyengar. Negli anni Settanta anche il governo dimostrò interesse per lo yoga, tanto da invitare in Unione Sovietica Dhirendra Brahmachari (ideatore del metodo Sukshma Vyayama). Mikhail Konstantinov, direttore del Centro ashtanga yoga racconta: "Lo scopo per cui fu invitato Dhirendra Brahmachari era l'introduzione delle tecniche yoga nella preparazione degli astronauti. Era un affare molto segreto e non poteva essere reso di dominio pubblico". Una pagina ancora oscura nella storia dello yoga in Russia riguarda le persone che praticavano lo yoga senza poterlo comunicare. Soltanto oggi, quarant'anni dopo, veniamo a sapere qualcosa grazie al fatto che alcuni di questi yogin sconosciuti "affiorano sulla superficie della realtà". In particolare è stato pubblicato il libro di memorie "Solo nell'oceano" dello scienziato e oceanologo Slava Kurilov, che negli anni Sessanta si dedicò con tenacia allo yoga. Nel 1973 smisero di mandare Kurilov all'estero per motivi di lavoro, mentre la professione di oceanologo è legata alla necessità di visitare i mari tropicali. Così il ricercatore si inventò un metodo singolare per fuggire dall'Urss. All'epoca c'erano crociere straniere che facevano esercitazioni facendo imbarcare persone sulla nave e portandole in giro per i mari. Kurilov decise che quando l'imbarcazione si fosse trovata vicino alle isole Filippine, a due chilometri dalla costa, sarebbe saltato giù dal ponte. Con la sua preparazione psicofisica attraversare due chilometri a nuoto non era per niente difficile. La nave però cambiò rotta e Slava non si ritrovò a due chilometri dalla riva, ma a duecento, completamente solo in mezzo all'oceano aperto; non aveva nulla con sé tranne una polvere contro gli squali. Nuotò tre giorni e tre notti. Qualsiasi psicologo sosterrebbe che un uomo comune non è in grado di sopportare un tale carico di fatica e affogherebbe o diventerebbe pazzo. Kurilov invece arrivò a destinazione e fu proprio la pratica quotidiana e costante dello yoga ad aiutarlo a compiere l'impresa. "I primi gruppi yoga spuntarono già negli anni Ottanta, gli esercizi si tenevano negli appartamenti. Io ci andavo nel 1984, - ricorda Elena Ulmasbaeva. - Gli allenamenti erano guidati da Boris Evgenevich Golemba. Si poteva rientrare in quei gruppi soltanto su raccomandazione. A quel tempo in generale le informazioni passavano di mano in mano attraverso l'intellighenzia. Non c'era Internet e non era possibile pubblicizzare cose del genere. Per lo yoga potevano anche metterti dentro, perchè, dal punto di vista del potere sovietico, le lezioni di yoga erano strane. Soprattutto quando le persone si riunivano negli appartamenti; metti che avessero altri scopi?". Tuttavia alla fine degli anni Ottanta la situazione cominciò lentamente a cambiare e grazie all'attività di alcuni insegnanti lo yoga uscì dall'anonimato. In quegli anni a Mosca esisteva un laboratorio di studio delle metodologie non tradizionali di cura, nel quale lavorava l'ordinaria di Scienze psicologiche Elena Olegovna Fedotova. Il ministro della Salute la mandò in India con l'obiettivo di studiare gli stati di coscienza alterati. Soggiornò in una discreta quantità di ashram e scuole di yoga in tutto il Paese e durante il viaggio conobbe B.K.S. Iyengar che portò in Russia alla prima conferenza di yoga nel 1989. Fu un'iniziativa in cui le persone interessate alla disciplina poterono almeno conoscersi; prima infatti dovevano sempre rimanere nascoste. La Fedotova naturalmente andò a prendere il guruji all'aeroporto. Pioveva, ma quando Iyengar uscì lei gli si gettò ai piedi, compiendo un tradizionale movimento di allungamento ma di fatto cadendo dritta in una pozzanghera e suscitando lo stupore degli addetti dell'aeroporto». Grazie a Elena Fedotova lo iyengar yoga iniziò ad acquisire notorietà nell'Urss e in seguito nella Russia postsovietica. Maria Shiffers, insegnante di iyengar yoga, racconta: "Dopo la prima storica conferenza da noi iniziò a venire Faek Birija, il direttore dell'Istituto iyengar yoga di Parigi, per tenere dei corsi intensivi. È sorpendente, ma lo yoga non era soltanto conosciuto, le persone morivano letteralmente dalla voglia di praticarlo e lo facevano in massa. Non c'era bisogno di nulla, mia mamma faceva yoga utilizzando un comune mattone da costruzione al posto di quello di legno. Ai seminari allungavamo le gambe in posizione supta padangustasana con l'aiuto di cinture di pelle, i tappetini non c'erano e ci si sedeva su coperte di cotone". Oltre allo sviluppo dello iyengar yoga in Russia ha fatto breccia anche il kundalini yoga. La direttrice del club "Sat Nam" Natalja Kuzmicheva spiega: "La prima volta lo yogin Bhajan arrivò nel 1989 e poi tornò nel 1992. Quella fu la volta dell'iniziazione di Jakov Marshak, il quale prima di fare la conoscenza del kundalini yoga si era occupato di disturbi della tiroide e del pancreas. Lo yogin Bhajan visse con il suo allievo Dajal Singh nella casa adiacente a quella di Marshak per una settimana intera. Lo yogin Bhajan diede allora a Marshal un nome spirituale, Guru Jivan Singh, ovvero Il Maestro Anima Liberata. Marshak si infervorò e, grazie alle tecniche del kundalini yoga, iniziò ad aiutare gli adolescenti vittime della tossicodipendenza stabilizzando le loro condizioni". Si può, quindi, concludere che dai primi libri sullo yoga alla comparsa dei primi insegnanti di yoga certificati il nostro Paese ha compiuto un lungo percorso, difficile e affascinante. È curioso che l'interesse per questa disciplina sia scoppiato agli albori del Paese dei soviet e divampato negli anni del tramonto dell'"impero rosso". La Kalac conclude che: È difficile immaginarsi come e in quale direzione si sarebbe sviluppato il movimento yoga in Russia se per lunghi anni non fosse stato praticato nella segretezza e nel pericolo (per colpa dello yoga si poteva anche andare in carcere), deteriorandosi seriamente per il limitato accesso alle fonti informative. Non è escluso che le origini del rapporto così timoroso nei confronti delle scuole tradizionali, della grande differenza del "nostro" yoga da quello, per esempio, americano (dove gli stili moderni si moltiplicano con invidiabile slancio), non sia da cercare proprio in quel difficile momento storico. Tuttavia va menzionata la vicenda “Bhagavad Gita così com'è processo in Russia”, iniziata nel 2011 con la messa al bando dell'edizione russa del testo, accusata di estremismo religioso Il libro contestato riguarda la traduzione e commento di AC Bhaktivedanta Swami Prabhupada , fondatore della Società Internazionale per la Coscienza di Krishna (ISKCON), comunemente conosciuto come il movimento Hare Krishna. Il processo avviatosi dalla Corte della remota città siberiana di Tomsk, nel giugno 2011, si basava sulle accuse di alcuni studiosi russi della Tomsk State University. A portare in aula la "Baghavad gita" furono un gruppo integralista cristiano ortodosso, che presentàha presentò una denuncia con migliaia di firme per chiedere il divieto su tutto il territorio russo della traduzione e distribuzione del volume tradotto da Prabhupada. Quest'ultimi conclusero che la traduzione e i commenti di Srila Prabhupada e il suo "Bhakti Yoga" portassero messaggi di intolleranza religiosa, sociale e razziale. Il governo indiano criticò aspramente taòe verdetto, sostenendo le accuse "palesemente assurde" e messe in atto da "individui ignoranti e male indirizzati o motivati". La censura nei confronti di un libro della tradizione vedica, considerato sacro in India scatenò le proteste pubbliche e l’avvio di azioni legali in India. Tale mobilitazione costrinse i funzionari russi a scusarsi con il presidente Modi, promettendo nuove misure correttive necessarie per prevenire il divieto. Alcuni studiosi russi sottoscrissero un appello che fu presentato all'allora presidente Dmitry Medvedev e al premier Vladimir Putin, con il quale avvertirono il governo delle consueguenze sulle relazioni tra i due paesi. Nel dicembre 2011, il giudice respinse la causa in tribunale; il 26 gennaio 2012, l'ufficio del procuratore di Tomsk presentò appello contro la sentenza del giudice, che venne tuttavia respinta, il 21 marzo 2012, dalla corte d'appello, confermando il verdetto del tribunale di grado inferiore. Il 29 maggio, l'ufficio 2012 Tomsk regione del procuratore non ha deciso di sfidare il verdetto della corte d'appello. La Bhagavad Gita studio è stato incluso nella relazione annuale 2011