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  • Massimo Mannarelli

COMUNANZE TRA SH'IA E SUFISMO E DISUNITA' ISLAMICA


L’Islam possiede una dimensione exoterica (zahir) e una esoterica (batin) che, insieme con tutte le sue divisioni interne, rappresentano la struttura ‘verticale’ della rivelazione; Sunnismo e Sh'ia rappresentano, invece, la struttura orizzontale dell’Islam.

Un'altro elemento rilevante all'interno dell'Islam è rappresentato dal Tasawwuf (Sufismo), ma anche da una moltitudini di correnti di matrice o ispirazione musulmana come ad esempio (per citarne qualcuna): Ismaeliti, Aleviti, Alawiti, Ahmadiya, Yazidi, ecc….

Se all'interno del mondo sunnita la dimensione esoterica dipende dalla connessione, in un modo o in un altro, con il Sufismo; nel mondo sciita la gnosi (iftar) ne ha colmato l'intera struttura.

Secondo lo studioso Seyyed Hosseyn Nasr, dal punto di vista sunnita, il Sufismo non solo presenta similitudini con la Shi’a, ma ne avrebbe anche assimilato alcuni aspetti. Niente di meno che un’autorità come Ibn Khaldun scrive: “I sufi si impregnarono così delle teorie della Shi’a. Queste teorie (sciite) penetrarono tanto profondamente nelle loro idee religiose che essi basarono la propria pratica di usare il mantello (khirqah) sul fatto che Ali rivestì ad al-Hasan al-Basri (teologo arabo di origine persiana) con questo indumento e fece sì che aderisse solennemente al sentiero mistico”.

Il sufismo, è costituito da Tariqa (confraternite) ricollegano il loro lignaggio da Abū Bakr (il primo califfo dell'Islam dal 632 al 634) oppure direttamente da Ali ibn Abi Talib, considerato "la porta della conoscenza". A riguardo Nasr specifica che ciò fa riferimento al famoso hadith: “Io sono la città della conoscenza ed ‘Ali è la sua porta”, ciò é un riferimento diretto al ruolo di ‘Ali all'interno dell'esoterismo islamico, accettato ugualmente sia da sciiti che sunniti.

La “vicereggenza spirituale” (khilafah ruhaniyyah) di ‘Ali, secondo Nasr, appare nel Sufismo non come qualcosa di specificatamente sciita, ma come qualcosa che è direttamente connesso con l’esoterismo islamico in sé.

Per i sufi che si ricollegano ad Alì, la figura di quest'ultimo è da intendersi come "l’autorità spirituale" per eccellenza dopo quella del Profeta, mentre la Shi’a potrebbe definire se stessa come “Islam di ‘Ali”, poiché egli è al tempo stesso autorità ‘spirituale’ e autorità ‘temporale’.

Secondo Nasr, che è autore del libro "Il Sufismo", dal punto di vista sciita, la Shi’a è l’origine di quello che più tardi giunse ad essere conosciuto come Sufismo mentre se invece vengono considerati durante i periodi successivi, nella loro manifestazione storica né la Shi’a, né il Sunnismo, e neppure il Sufismo, derivano l’uno dall’altro, per quanto tutte ricevano la loro autorità dal Profeta e dalla fonte della rivelazione islamica.

Tuttavia Sh'ia e Sufismo rappresentano due mondi contenuti nel seno dell’ortodossia dell’Islam, accomunati tra loro da una predisposizione di carattere esoterico.

Nasr afferma che la Shi’a anche nel suo aspetto esteriore, è orientata verso le stazioni spirituali (maqamat irfani) del Profeta e degli Imam, mete quest'ultime anche della vita spirituale nel Sufismo.

All'interno della Sh'ia e del Sufismo, in totale divergenza con le correnti più letterali dell'Islam, come wahabiti e salafiti, un ruolo importante viene ricoperto dalla figura del santo denominato wali (abbreviazione di waliallah o Amico di Dio), la cui santità, spiega Nasr, è denominata wilayah, ma anche dall'intercessione dei santi e dai pellegrinaggi ai mausolei dedicati a quest'ultimi.

Nella Sh'ia intesa anche come il popolo della casa "Ahl al-Bayt" (termine che si riferisce alla "Gente del Casato di Maometto"), l'Iman che è in primis guida spirituale, deve avere una discendenza diretta dalla famiglia del profeta stesso.

Vi è da dire, che molti Maestri e guide spirituali del sufismo che contestano questa linea hanno tuttavia creato, al loro interno una linea di trasmissione che passa da padre in figlio, costituendo una sorta di "sufismo ereditario".

La prassi dell’ iniziazione (walayah), che nel mondo sciita passa attraverso Fatima ad Ali e, attraverso lui, tutti gli Imam, è presente anche nel mondo sufi con una catena di trasmissione che passa da maestro a maestro.

Un’altra dottrina, che accomuna Sufismo e Sh'ia è, secondo Nasr, quella della ‘luce di Muhammad’ (al–nûr al–muhammadî) e della catena iniziatica (silsilah).

La Shi’a, spiega Nasr, crede che esiste una ‘Luce Primordiale’ trasmessa da un profeta a un altro e, dopo il Profeta dell’Islam, agli Imâm. Questa luce protegge i profeti e gli Imâm dal peccato, rendendoli infallibili (ma’sûm) ed elargendo loro la conoscenza dei misteri divini. Per ottenere questa conoscenza l’uomo deve unirsi a questa luce mediante l’Imâm il quale, seguendo il Profeta, agisce come intermediario tra l’uomo e Dio nella ricerca della conoscenza divina. Allo stesso modo, nel Sufismo, per accedere agli unici metodi che rendono possibile la realizzazione spirituale, l’uomo deve unirsi ad una catena iniziatica o silsilah, che risale fino al Profeta e attraverso della quale fluisce una barakah dalla fonte della rivelazione all’essere dell’iniziato. Così, la catena si basa su una continuità della presenza spirituale che assomiglia molto alla ‘Luce di Muhammad’ della Shi’a. Infatti anche gli stessi sufi successivi parlano della ‘Luce di Muhammad’. Nasr ricorda che nei primi tempi, specialmente negli insegnamenti dell’Imâm Ja’far al-Sâdiq, la dottrina sciita della ‘Luce di Muhammad’ e la dottrina sufi della catena spirituale si incontrano e, come in altri casi, hanno la loro fonte negli stessi insegnamenti esoterici dell’Islam.

In questa comparazione tra le dottrine sciite e sufi, un ruolo importante lo hanno le stazioni spirituali e gnostiche (maqâmât i ‘irfânî). Se compiamo uno studio della vita del Profeta e degli Imâm come, ad esempio, quella che si trova nella raccolta di Majlisî nel “Bihâr al anwâr”, scopriremo che questi racconti si basano più di ogni altra cosa sugli stati spirituali interiori di questi personaggi. La meta della vita religiosa nella Shi’a consiste infatti nell’emulare la vita del Profeta e degli Imâm e nel raggiungere i loro stati interiori. Sebbene per la maggioranza degli sciiti questo rimanga solo come possibilità latente, l’élite (khawâss) ne ha sempre avuta piena coscienza. Le stazioni spirituali del Profeta e degli Imâm, conducenti all’unione con Dio, possono essere considerate come la meta finale verso la quale la pietas sciita si sforza e sulla quale si basa tutta la struttura spirituale della Shi’a.

Nasr spiega che anche nel Sufismo, la meta, che è giungere a Dio, non può conseguirsi se non attraverso stati e stazioni (hâl e maqâm) che occupano un’importante ruolo nei trattati classici del Sufismo. Anche la vita sufi è basata nel raggiungimento di questi stati, sebbene il sufi non cerchi questi stati spirituali in sé stessi, ma cerchi Dio nella Sua elevata Essenza.

Nasr afferma che nel Sufismo ognuno è cosciente degli stati e delle stazioni, mentre nella Shi’a solo l’élite ne ha consapevolezza, ma questo è piuttosto naturale visto che il Sufismo come tale è il sentiero per l’élite spirituale, mentre la Shi’a abbraccia la comunità intera, possedendo la propria divisione exoterica ed esoterica e possedendo anche la propria élite, così come i suoi credenti comuni (‘awâmm).

Per quanto Khomeini fu un grande studioso di gnosi e conoscitore profondo dell'opera di Muhammad ibn al-ʿArabi, filosofo, mistico e poeta arabo, gli Imam sciiti, secondo Nasr, cessarono di associarsi apertamente con i sufi solo dopo l’ottavo Imâm, ‘Alî al Ridâ. Quest'ultimo appare quindi come l'ultimo vincolo esplicito ed aperto tra il Sufismo e gli Imâm sciiti. Di fatto, fino ad oggi, egli è considerato come l’‘Imâm dell’iniziazione’ e molti persiani che cercano un maestro spirituale e l’iniziazione al Sufismo, si recano presso la sua tomba a Mashhad ad implorare il suo aiuto per trovare un maestro. Per questa ragione, anche il suo ruolo negli ordini sufi sciiti è da sempre molto importante.

Se successivamente la Sh'ia cominciò ad avere un ruolo più prettamente politico, il sufismo mantenne una sorta di distacco "politico" solo apparentemente.

Si pensi ai giorni nostri al ruolo politico del sufismo in Pakistan, oppure in Turchia dove lo stesso Erdogan è stato un murid della Naqshbandiyya oppure all'attuale presidente ceceno Akhmad Kadyrov che appartiene all'ordine Qadiri. Va menzionato che il nemico numero uno del presidente turco é Fethullah Gülen che fu un membro della membro della Naqshbandiyya, fondatore del “Movimento Nur” – chiamato anche “Movimento Fethullah Gülen”, una organizzazione islamica transnazionale e decisamente politica.

Alcuni studi di autori pakistani affermano dell'esistenza di un "neo-sufismo" impregnato di elementi wahabiti e soprattutto di matrice anti-sciita; tale sufismo nulla ha a che vedere con il "sufismo universale" più prettamente teosofico e divulgato in occidente da Inayat Khan.

Lo stesso Sheik Nazim maestro e guida spirituale della Naqshbandiyya Al-Haqqani, tariqa la cui catena di trasmissione ha origine da Abu Bakr, è sempre stato molto critico verso l'Islam sciita duodecimano e verso gli Alawiti siriani, di cui fa parte, per altro, il presidente Assad.

La Tariqa Naqshbandi nella guerra in Siria ha ricoperto, poi, un ruolo importante nella battaglia contro l’alawita Assad, nello stesso modo con cui molti sufi hanno abbracciato le armi durante le guerre in Bosnia e Kosovo; ciò a dimostrare che nel sufismo il pacifismo non è tassativo.

Il profeta Mohammed disse che dopo la sua morte, l'Islam si sarebbe suddiviso in 72 sette e solo una di queste sarebbe stato in possesso della verità. Abdel Kader nel suo "Libro delle soste" amava pensare che in ognuna di esse vi fosse una parte di verità, poiché ognuna altro non era che l'espressione di uno dei tanto modi con cui esse entrarono in relazione con il Profeta stesso.

Tuttavia l'Islam sembra sempre più orientato, al suo interno, verso una esigenza di monopolio della verità, che si esprime con accuse di devianza da una parte e letteralismo dall'altra, che tutti rivolgono a tutti (nessuno escluso), invece di ricercare una forma di Unità dell'Islam nell'Unicità stessa di Dio.

Eppure in un hadith riportato da Al-Bukhārī si dice che se due musulmani si scontreranno con la spada, sia l'uccisore che l'ucciso andranno all'inferno; il primo per aver ucciso un credente, e il secondo per aver cercato di uccidere un altro credente.

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