ITALIA, LO STATO "INVENTATO"
Nel saggio “L’Italia non esiste”, Sergio Salvi analizza l’artificiosa concezione di stato che si è concretizzata nella penisola e che oggi compatta la classe dirigente in un feticistico culto della patria che unisce destra, leghismo e sinistra, liberali e comunisti, preti e massoni.
La nascita dell’Italia come stato unitario avviene quasi per caso, senza nemmeno una strategia organica: i monarchici di Cavour e i repubblicani di Mazzini arrivano al traguardo seguendo strade diverse e la classe dirigente risorgimentale si trova a dover gestire situazioni del tutto impreviste.
Eppure nessuno aveva mai pensato seriamente all’esistenza di uno stato italiano fino al XIX secolo e tutta la storia della penisola si svolge dalla più remota antichità fino alla fine dell’Ancien Régime sul Leitmotiv del particolarismo. Con la Rivoluzione francese si diffonde il mito della patria “una e indivisibile” attorno al quale si costruisce una nuova entità territoriale.
L’Italia unita è la tipica espressione dell’internazionalismo massonico; quanto di più lontano si possa immaginare dalle teorie del “sangue e suolo” che in quegli stessi anni si sviluppavano in Germania.
Infatti, “Fratelli d’italia, l’italia s’è desta”, frase d’inizio del massonico inno nazionale italiano, furono le parole che pronunciò Goffredo Mameli, “fratello massone”, a cui, poi, fu anche intitolata una loggia. E i “fratelli d’italia” furono gli artefici del risorgimento piemontese spacciato per unità d’Italia, un’unità che i popoli non volevano e di cui non ne sapevano niente.
Risposero all’appello tutti i “fratelli” poi divenuti padri della patria: Giuseppe Garibaldi, nominato nel 1862 Gran Maestro e Primo Massone d’ltalia, Nino Bixio, Camillo Benso, Costantino Nigra, Bettino Ricasoli, Ludovico Frapolli, ecc.
All’epoca dell’unificazione gli Italiani non avevano nemmeno una lingua comune, poiché il volgare fiorentino era solo lingua letteraria. Del resto ancora oggi nel Sud della penisola la lingua italiana è poco praticata e la popolazione si esprime abitualmente in dialetto.
Inoltre la divisione regionale del nuovo stato viene effettuata sulla base di considerazioni erudite ispirate alle antiche regioni romane, che spesso non riflettevano più la realtà.
Renzo De Felice, prima di affermarsi a livello mondiale come lo storico per eccellenza del fascismo (movimento e regime), dedicò le sue ricerche al giacobinismo; quest'ultimo divenne il suo principale tema di ricerca e di studio fino all’inizio degli anni sessanta.
De Felice con i suoi studi confermò che i concetti realizzati, o parzialmente realizzati, dal fascismo di totalitarismo, di patriottismo ed anche il concetto più significativo e storicamente più rivoluzionario appartenente alla visione mussoliniana, ossia quello di “uomo nuovo”, affondavano le proprie radici in una concezione dell’universo e della società di tipo chiaramente giacobino, inseribile nel filone della tradizione della sinistra rivoluzionaria europea.
Il fascismo, secondo De Felice, operava il proprio processo rivoluzionario su un piano essenzialmente politico, a differenza del nazismo che operava sulla base di un piano essenzialmente razziale, ed il marxismo ortodosso che faceva riferimento principalmente a dinamiche di tipo economico. Il fascismo era, invece, un’autentica religione politica fondata sul “culto del littorio”. L’idea fascista di “uomo nuovo” era tutta centrata sulla potenza immanentista rivoluzionaria dello Stato pedagogico totalitario, come «una manifestazione di carattere rousseauiano».
Il fascismo, secondo De Felice, era, quindi, un movimento politico di radice rivoluzionaria giacobina, socialista-risorgimentale, “garibaldina”, protocomunista, il cui carattere essenziale era il proporsi come autentica “religione laica”, con i suoi riti e la sua “fede” di tipo radicalmente immanentistico (nel senso della filosofia attuale gentiliana).
L'Italia post-fascista, si è trasformata in uno Stato costituzionale, all'interno del quale il concetto di patria (inteso come unità nazionale) si esprime nell'articolo 5: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento”.
Eppure in Italia hanno operato nella seconda metà del XX secolo vari movimenti autonomisti da quelli in Sicilia, Sardegna, Sud Tirolo e Valle d’Aosta, fino ad arrivare alle teorizzazioni macroregionali di Gianfranco Miglio e nel concetto stesso di "Padania" (termine ripreso da una pubblicazione della Fondazione Agnelli del 1992), che ha risucchiato il "Regno Longobardo" che lo stesso Himmler non considerava parte integrante dell'Italia, ma germanico più che celtico.
Il termine populismo che nasce in riferimento ai movimenti socialisti e anti-zaristi nella Russia della seconda metà del XIX secolo (si veda populismo russo), inteso oggi in modo dispregiativo, come un atteggiamento ed una prassi politica che mira a rappresentare il popolo e le grandi masse esaltandone valori, desideri, frustrazioni e sentimenti collettivi o popolari, è diventato prassi dei movimenti di nazionalismo da "bottega".
L'Italia ancora oggi è una penisola costituita dalla presenza di varietà che, perlomeno fino al recente passato, hanno rappresentato la lingua madre di popolazioni che in diverso modo si sono introdotte nel tessuto sociolinguistico preesistente, creando realtà che possono essere definite come alloglotte ossia di lingua diversa da quella ufficiale.
Presenza e coesistenza di queste particolari realtà socio-linguistiche all'interno dell'odierno territorio amministrativo italiano sono da ricondurre soprattutto a particolari processi socio-politici: migrazioni, colonizzazioni più o meno forzate, ma anche e soprattutto nella ridefinizione dei confini politici, in virtù dei quali la realtà linguistica italiana assume i connotati più di una sorta di Europa linguistica in miniatura che di un vero stato di carattere nazionale (così come lo si vuole intendere).
L'Italia, quale stato inventato, si sorregge, da una parte, sulla sacralità religiosa e quasi indiscutibile della "Costituzione", e dall'altra da un concetto indentitario che fallisce a priori proprio per il suo carattere contrappositivo, in quanto fondato su una fragilità d'identità di fatto inesistente che nell'essere stesso di questa identità, della quale è difficile ancora comprenderne i capisaldi.
La nascita dello stato italiano affonda anch'essa le sue radice nel principio di autodeterminazione dei popoli, sulla base del quale chi è sottoposto a dominazione straniera (colonizzazione o occupazione straniera con la forza), può determinare il proprio destino in uno dei seguenti modi: ottenere l'indipendenza, associarsi o integrarsi a un altro stato già in essere, o, comunque, a poter scegliere autonomamente la proprio status politico.