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Massimo Mannarelli

TURANISMO, UNA PORTA PER L'EURASIA


Il termine Turan è l'antico nome con il quale i persiani chiamavano la regione asiatico-centrale, da cui deriva il termine turanismo, ideologia nata nel XIX secolo tra Turchia, Ungheria e Germania ad opera di intellettuali ottomani, per promuovere l'unione e il "rinascimento" di tutti i popoli turanici, ossia ugro-finnici (ugrici in particolare), turchici, mongoli, dravidi, e giapponese.

Nei testi sacri zoroastriani iraniani dell’Avesta, spiega Alberto Rosselli nel suo scritto "Turanismo e panturismo. Tra identità e panturismo", l’aggettivo turya fa riferimento agli avversari dello zoroastrismo, anche se apparentemente non esisterebbero marcate differenze etniche tra i turya e gli arya citati nelle suddette scritture. Alcuni linguisti fanno derivare il termine Turan dalla radice indo-iraniana “tura” (forte, veloce), mentre altri la collegano all’antico termine iraniano “tor” (scuro, nero).

La somiglianza tra le parole turya e türk viene considerata accidentale dalla maggioranza degli studiosi che dubitano circa il fatto che turya stia ad indicare, in epoca pre sassadine, il popolo turco. Nel poema epico medio persiano Shahnameh, il termine turan (“terra dei Turya”, al pari di Eran, cioè Iran,“terra degli Arya”) fa riferimento ai popoli confinanti con la Persia orientale, cioè agli abitanti dell’impero kushano, entità statuale del I–III secolo d.C. i cui confini si estendevano dall’attuale Tagikistan al Mar Caspio, all’Afghanistan e alla valle del Gange.

Rosselli afferma che dal partire dall’inizio del XX secolo, la parola Turan venne sempre più spesso utilizzata dagli occidentali e dai turchi per indicare genericamente l’area geografica corrispondente all’Asia Centrale. Gli etnologi e i linguisti europei dell’epoca romantica (in particolare tedeschi, ungheresi e slovacchi) erano soliti utilizzare il termine turaniano per designare popolazioni che parlavano linguaggi uralo-altaici. Anche se a livello popolare è tuttavia diffusa la teoria secondo la quale sarebbe da attribuire un’origine comune agli idiomi utilizzati dalle popolazioni turche, mongoliche e ugri.

Per quanto concerne le interpretazioni date dagli studiosi europei, le parole turan e turaniano designerebbero, infine, anche una particolare “mentalità” (indice evidentemente caratteriale e ‘culturale’), cioè quella nomade, tipica delle popolazioni centro-asiatiche. Un’interpretazione in sintonia con quella zoroastriana di turja che non è principalmente una designazione linguistica o etnica, ma piuttosto un appellativo con il quale – come già accennato – venivano chiamati gli infedeli, cioè i popoli nemici di Zoroastro.

In questi ultimi anni, anche in Europa (Ungheria, in Finlandia ed Estonia), il panturanismo è stato riscoperto e abbracciato come dottrina positiva, soprattutto da alcuni partiti nazionalisti, tra cui il partito nazional-socialista giapponese Kokka Shakaishugi Nippon Rōdōsha-Tō, il partito ungherese di estrema destra Jobbik, il partito turco detto Movimento Nazionale e i Lupi grigi (bozkurtlar in turco).

Non di rado, spiega bene Rosselli, il termine turaniano viene usato per indicare una forma di più vasto e omnicomprensivo nazionalismo pan-altaico, un movimento transnazionale che includerebbe popoli apparentemente dissimili, ma che discendono da un comune ceppo, come appunto i baltici, gli ungheresi, i turchi, i manciuriani, i giapponesi, i coreani e, ovviamente, i popoli dell’Asia Centrale.

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