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Massimo Mannarelli

LO "SCIISMO ROSSO" DI ALI' SHARIATI


Ali Shariati (1933-1977), sociologo, filosofo e studioso del marxismo, viene considerato «l’ideologo della Rivoluzione» del 1979 che porta alla proclamazione della Repubblica islamica.

Suo padre, Mohammad-Taqi, era un insegnante e studioso islamico che nel 1947 aprì il Centro per la propagazione delle verità islamiche a Mashhad , nella provincia di Khorasan, coinvolto nel movimento di nazionalizzazione del petrolio degli anni '50.

Shariati, che rimase influenzato da Albert Camus e dalla sua lettura dell’uomo «in rivolta», durante gli anni del dottorato in Francia dopo il 1960, guardò all’Islam rivoluzionario come possibile via per canalizzare la realtà ambivalente di parte dell’intellighenzia iraniana degli anni Sessanta, la quale, in quel momento, fondeva insieme elementi locali e internazionali, di sinistra e religiosi, senza apparenti contraddizioni.

Egli tentò di spiegare e offrire soluzioni ai problemi affrontati dalle società musulmane attraverso i principi islamici tradizionali rielaborati dal punto di vista della sociologia e della filosofia moderne. I suoi articoli di quel periodo per il quotidiano Mashhad, Khorasan, mostravano il suo sviluppo eclettico e la conoscenza delle idee di pensatori modernisti come Jamal al-Din al-Afghani , Sir Allama Muhammad Iqbal del Pakistan, tra i musulmani, e Sigmund Freud e Alexis Carrel .

Shariati cercò di rilanciare le correnti rivoluzionarie dello sciismo, secondo lui, infatti, l’Islam era «un’ideologia, non cultura, filosofia o scienza», rivoluzionario e anzi, che non rifiutava la modernità di per sé.

La sua interpretazione dello sciismo incoraggiò la rivoluzione nel mondo e promise la salvezza dopo la morte. Definiva il suo sciismo come "sciismo rosso" in alternativa allo "sciismo nero" non rivoluzionario o allo sciismo safavide .

Shariati credeva che gli sciiti non dovessero semplicemente attendere il ritorno del dodicesimo imam , ma avrebbero dovuto lavorare attivamente per accelerare il suo ritorno combattendo per la giustizia sociale "fino al punto di abbracciare il martirio" dicendo "ogni giorno è Ashoura , ogni luogo è Karbala".

Shariati credeva che non fosse vero che si dovesse mettere da parte la religione per combattere l'imperialismo. Sentiva che le persone potevano combattere l'imperialismo solo recuperando la loro identità culturale. In alcuni paesi, tale identità era intrecciata con credenze religiose fondamentali. Shariati si faceva guidare dal motto del ritorno a se stessi.

Secondo lo storico iraniano Ervand Abrahamian, ci sono tre diversi Shariati: il primo sociologo, il secondo credente devoto, il terzo abile oratore in bilico tra l’islamismo e il marxismo. Queste tre anime convivono in un uomo che legge Karl Marx, ma anche Jean-Paul Sartre, Franz Fanon, Giap, Camus. Coesistono in un pensatore che sfida il secolarismo di Fanon, il quale considera l’abbandono della religione come passo fondamentale delle popolazioni del Terzo mondo contro l’imperialismo occidentale.

Queste tre personalità animano lo Shariati «ideologo della rivoluzione», che vede la riscoperta dell’identità religiosa come grimaldello per spalancare le porte alla lotta anti-imperialista.

Proprio in quegli anni e una volta tornato in Iran, Shariati finì nelle prigioni dello Scià per le sue idee considerate troppo radicali per tornare in libertà dopo sei mesi.

Le sue lezioni vennero registrate, trascritte, diffuse, anche se una parte del clero conservatore iniziava a temere le sue critiche. A quel punto venne arrestato di nuovo, ma questa volta rimase in prigione fino al 1975 e poi agli arresti domiciliari fino al 1977. Fu allora che decide di lasciare di nuovo l’Iran.

Si trasferì a Londra, ma a un mese di distanza dal suo arrivo, morì il 18 giugno 1977, in circostanze sospette, ufficialmente per attacco cardiaco.

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