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Massimo Mannarelli

IL DIONISISMO ESTREMO DEGLI AGHORI


La più estrema delle sette di sādhu (asceti induisti, che dedicano la propria vita all'abbandono e alla rinuncia, allontanandosi dalla società) è quella degli Aghori, fondata da Kina Ram, un asceta del XVIII secolo, considerato incarnazione del Dio Shiva.

Il termine sanscrito Aghora è la combinazione di due parole e si presta a vari significati: A è una particella privativa, Ghora è l’oscurità dell’ignoranza, ma significa anche intenso, profondo e conseguentemente Aghora significa Luce, assenza di oscurità, consapevolezza, ma anche uno stile di vita dove una persona della tradizione Aghori non ha sentimenti intensi o profondi, non fa differenza tra i vari sentimenti e sembra indifferente alle varie vicende della vita.

Gli Aghori ricercano l'illuminazione seguendo, tra i vari comportamenti di Shiva, quelli che sono considerati come i più fuori dalla norma e, infatti, contrariamente agli altri asceti, e anche alla grande maggioranza degli indù, non sono vegetariani e consumano alcool.

Sono noti inoltre per la loro conoscenza sulle arti magiche tanto che molti credono siano in possesso di poteri magici e non è difficile sentire storie di miracolose guarigioni.

Tra la gente la parola Aghori suscita sempre un misto di rispetto e sospetto e sono molti i devoti anche tra le varie religioni presenti in India.

In compagnia di un Aghori si possono trovare facilmente hindu, sick, islamici, jainisti, cristiani o altro.

Come Shiva, vivono nei campi di cremazione, nudi o coperti da un semplice panno di lino. Gli si attribuiscono delle abitudini di impurità assoluta, come il consumo di carne in decomposizione, dei loro stessi escrementi e della loro urina, la meditazione seduti su un cadavere, l'unione sessuale con prostitute nel corso del periodo mestruale. In quest'ultimo caso, si tratterebbe di un rito tantrico attraverso il quale essi si incarnerebbero con la loro partner in Shiva e Kālī. In effetti, gli Aghori pensano che gli estremi siano identici e che la distinzione tradizionale indù tra puro e impuro sia solo il risultato di Māyā, l'illusione da cui si vogliono liberare. In determinate occasioni essi praticano il rituale del Panchamakara, noto anche come “Cerimonia delle cinque M”, che consiste nell’utilizzo di Matsya (pesce), Mamsa (carne), Madya (alcool), Mudra (cereali) e Maithuna (amplesso).

Tale rituale è un atto considerato molto importante ed è preceduto da un lungo periodo di astinenza. I partecipanti si riuniscono tutti in un luogo prestabilito e adibito alla cerimonia; si dice che i preliminari di tale rito consistano nell’assunzione di grosse quantità di hashish e di varie droghe allucinogene. Successivamente si dispongono tutti in circolo seduti per terra, uomo e donna alternati ed ogni donna siede alla sinistra dell’uomo che sarà poi il suo partner sessuale. La cerimonia è condotta da un sacerdote posto al centro del cerchio con una donna nuda alla sua sinistra; durante tutta la durata del rituale, la donna al centro del cerchio sarà considerata di fondamentale importanza; particolare risalto è dato alla sua vulva (yoni), che rappresenta il potere creativo del Cosmo ed è portata all’attenzione di tutti i presenti.

Se è vero che per chi pratica questo genere di percorsi spirituali tutte le donne sono manifestazione di Shakti, è anche vero che per gli officianti al rito del Panchamakara, colei che siede alla sinistra del sacerdote è da considerarsi la vera e propria incarnazione della Dea per tutta la durata della cerimonia. Dopo che la vulva è stata adeguatamente onorata con carezze, olii ed essenze profumate, il sacerdote versa acqua, latte e vino su tutto il corpo della donna ripetendo ad alta voce alcuni Mantra. Subito dopo ha inizio la prima copulazione, quella tra il sacerdote (che incarna temporaneamente Shiva) e la donna (Shakti) mentre il resto della congregazione osserva lo svolgersi del coito sacro che rimanda all’unione delle due polarità dell’Assoluto: la Coscienza e la Potenza. La donna che incarna la Dea è anch’essa iniziata al Vama Marg, una delle pratiche del Sentiero della Mano Sinistra. Chiamato anche Vamachara, questa pratica fa riferimento al Tantrismo (da Tantra che significa "telaio", "filo" o "continuità", a seconda del contesto) e si esplica in una serie di operazioni magico-sessuali che celebrano l'unione mistica tra Shiva e Shakti.

Ella durante il coito onorerà il sacerdote ed il suo fallo (lingam) come il divino Shiva; tuttavia, molto spesso le donne scelte per questo genere di rituali sono prostitute prese dalla strada e “usate” per la cerimonia; talvolta si cerca di proposito la donna del livello più “infimo”(volendola definire in base ai canoni della società induista) e se ha anche qualche legame di parentela con il partner il rituale risulterà ancora più efficace; più vi è incompatibilità per un accoppiamento dal punto di vista sociale tra l’uomo e la donna che si apprestano a compiere il Maithuna, più accresce l’efficacia rituale dell’amplesso. Il sacerdote che copula nel cerchio con sua moglie compie un rito quasi o del tutto inutile, se si tratta della moglie di uno dei presenti, di una parente, di una donna di casta nettamente lontana dalla sua, allora l’unione sessuale ha una notevole utilità rituale.

Dopo la copulazione iniziale del sacerdote e della sacerdotessa, i componenti del cerchio iniziano a consumare pesce, carne, cereali e vino fino a quando tutti gli officianti non giungono ad uno stato in cui “esplode” l’amplesso generale. Durante il rito del Panchamakara, tutti i partecipanti (se iniziati al Vama Marg) pensano al proprio o alla propria partner come ad emanazioni di Dio in carne ed ossa, nelle loro menti è con un'emanazione di Dio che copulano, vivendo l’esperienza dell’Unicità del Tutto, della non dualità, dell’abbraccio mistico; Shiva e Shakti che sono in realtà una cosa sola. Esistono comunque molti altri tipi di discipline rituali, la maggior parte delle quali sono coperte da assoluta segretezza e vengono trasmesse solo ed esclusivamente da discepolo a maestro. Ad ogni modo è l’intera vita di un asceta a dover essere considerata un unico grande rituale. In qualsiasi momento del giorno e della notte, l’Aghori è continuamente partecipe della sacra azione del volto infuocato di Shiva, le cui eterne fiamme ardenti purificano chi rinuncia alle illusioni dell’ego e bruciano chi nell’ego incatena la propria esistenza.

Amano circondarsi di simboli di morte, in particolare di crani umani che utilizzano sia come recipienti per bere che come strumenti rituali. Proprio per questa loro pratica, sono ad oggi considerati una delle ultime comunità di cannibali presenti al mondo.

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