LA TEOSOFIA CRISTIANA DI ROSMINI
Con la Teosofia - che uscì postuma e frammentaria, in cinque volumi, tra il 1859 e il 1874 - si compie il percorso intellettuale di Rosmini.
Che cosa si può dire dell'essere in generale, e come lo si può dire? Qual è il metodo adatto ad accostare questo problema? E che cosa si intende precisamente quando si parla di «essere»? Sono queste le domande iniziali della Teosofia, a cui Rosmini dedica grande attenzione e una trattazione molto ampia.
La ricerca «teosofica» di Rosmini è il tentativo di scoprire che cosa si possa dire dell'essere supremo (cioè di Dio) in termini filosofici, ossia attraverso gli strumenti della ragione naturale. Questa ricerca esige una preliminare dottrina dell'essere in generale («ontologia»). In particolare egli sottolinea che ridurre l'essere a qualche particolare determinazione («questo essere», «quest'altro essere», ecc.), significa sempre escludere qualcosa e quindi non avere una considerazione completa dell'essere.
Secondo Rosmini bisogna cogliere l'essere supremo come un "tutto", tuttavia ciò per la sua completezza appare ugualmente difficile, perché anche ogni «totalità», non appena viene pensata, appare incompleta e dunque «parziale».
L'essere in sè non è una «cosa» su cui si possa posare lo sguardo del pensiero; fissarlo in qualche sua determinazione e pretendere di descriverlo in modo diretto e immediato, poiché ciò significa cadere in contraddizioni senza scampo.
Per questo Rosmini il metodo del pensiero teosofico non deve essere «escludente» (o il tutto o le parti; o il finito o l'infinito; o l'eterno o il tempo, ecc.), ma invece «includente», «circolare», tale cioè da capire il tutto attraverso le parti, l'infinito attraverso il finito, l'eterno attraverso il tempo e viceversa.
Il nuovo metodo «circolare» del pensiero teosofico consente a Rosmini di giungere, attraverso passaggi molto ardui e complessi, alla sua più grande conquista filosofica, e cioè alla dottrina delle «tre forme dell'essere». L'essere, pensato in profondità, si presenta nello stesso tempo come «uno e molteplice» e queste due caratteristiche non sono tra loro in contraddizione. Unità e molteplicità non si escludono, ma si implicano necessariamente a vicenda. L'unità dell'essere si manifesta in quella che Rosmini chiama la sua «essenza» e cioè in quel significato elementare per il quale il termine «essere» indica il puro «esistere», il semplice «stare fuori dal nulla». Ma tale significato unitario rinvia necessariamente al molteplice: perché si possa pensare l'essere come «uno» è infatti necessario non solo l'essere «pensato», ma anche l'esser «pensante». Dunque l'unità dell'essere porta con sé una «relazione», e la relazione implica una pluralità.
La pluralità dell'essere di cui parla Rosmini non è la semplice constatazione che esistono tanti tipi di esseri, ma è una pluralità più originaria, di carattere triniforme. L'essere è originariamente costituito da tre «forme», che Rosmini chiama anche «modi».
La prima forma dell'essere è la «forma ideale» e cioè la sua costitutiva «conoscibilità». Con questa affermazione Rosmini vuole sottolineare che l'essere non è mai ostile al pensiero, ma è originariamente aperto ad esso, disponibile ad essere conosciuto e decifrato. L'essere è per sua natura non-contraddittorio e ciò che è non-contraddittorio è essenzialmente conoscibile. L'essere, portando con sé la sua non-contraddittorietà, porta con sé la sua conoscibilità e da essa non può mai staccarsi, perché non potrebbe più «essere» se non fosse «conoscibile».
La seconda forma dell'essere è la «forma reale» e cioè la «sussistenza» dell'essere, ossia la capacità, l'energia, la forza, l'attività che l'essere ha di «affermarsi» - per dir così - contro il nulla. Mentre la forma ideale indica la luminosità dell'essere, la sua pura trasparenza all'intelligenza, la forma reale indica la forza dell'essere, il suo agire più originario. A questo proposito si deve notare che per Rosmini tutto ciò che esiste è percorso da questa «forza» e che perciò tutto è per lui «animato», seppur a livelli diversi.
La terza forma dell'essere è la «forma morale», che Rosmini chiama anche «amabilità» o «santità», volendo con ciò indicare che l'essere non è soltanto «pensabilità» o «realtà sostanziale», ma è anche da sempre animato da una volontà di bene, è dunque comunicazione di sé, generosità originaria, e perciò carità e amore. Con questa riflessione che riconosce nell'amore l'anima profonda dell'essere, il pensiero rosminiano raggiunge indubbiamente il suo vertice e testimonia in modo esemplare la piena sintonia tra ricerca filosofica e teologia cristiana.