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  • Sibilla Mannarelli

SHAMSIA ASSANI. IL POTERE RIVOLUZIONARIO DELLA STREET ART A KABUL


Ommolbanin Shamsia Hassani, nata a Teheran nel 1988 da genitori afghani fuggiti da Kandahar durante la guerra, ha sempre amato l’arte e nel 2005, di ritorno a Kabul, decide di seguire un corso di laurea d’arte tradizionale all’università. Successivamente entra alla Kabul University come docente e poi come professore associato di scultura. Nel 2009, viene selezionata come uno dei migliori dieci artisti del Paese. Nel 2010, scopre il potere comunicativo della street art, durante un workshop tenuto a Kabul da un graffitista inglese, Wayne “Chu” Edwards (classe 1971, uno dei più noti graffiti artist in 3D, attivo dagli anni ’80 e nato come sviluppatore di giochi per computer come Aladino per la Game Boy).

Attraverso le sue opere, Shamsia (il cui nome significa sole) ritrae le donne afghane in una società in cui l’universo maschile è predominante.

Le opere di Shamsia portano un’enorme ondata di colore e sono state apprezzate da tutte le donne della nazione. Ha motivato centinaia di persone a mostrare la propria creatività attraverso festival grafici, arte di strada ed esposizioni ufficiali.

Avvolte nel tradizionale chador con strumenti musicali, o semplicemente immerse nei loro pensieri, queste donne destabilizzano la sensibilità patriarcale, ma soprattutto arrivano al cuore delle interessate.

Le figure femminili rappresentate sono tutte connesse con la delicatezza e la dolcezza del mondo musicale circondate da chitarre e pianoforti. La dolcezza delle note, del canto, la delicatezza delle sensazioni e la creatività sono qualità e sfumature insite in questo simbolo che orgogliosamente diventano un tutt’uno con la donna che l’artista vuole liberare.

I murales di Shamsia hanno una missione: incentivare il mondo femminile a intraprendere un coraggioso percorso verso l’epressione del proprio sè.

Negli ultimi giorni Shamsia Hassani è tristemente tornata alla ribalta perché ha interpretato un nuovo strazio che ha colpito il suo paese. Il 12 maggio 2020, durante l’isolamento sociale da Covid19, a Kabul è stata inferta una delle ferite peggiori che si possa solo immaginare. Un gruppo di terroristi, rivendicati Isis, hanno fatto irruzione in un ospedale di Medici Senza Frontiere che ospitava un reparto maternità con cinquantacinque letti. È stato letteralmente eseguito un attentato alla vita. Ci sono state sedici vittime tra cui neonati, un medico e neomamme.

Per timore di aggressioni, Shamsia esegue le sue opere in appena quindici minuti o poco più, sceglie zone isolate e orari non di punta per evitare di essere assalita da pietre e insulti. Nessuno ha per ora danneggiato o rimosso i graffiti. Anche se, racconta Shamsia, è accaduto di aver ricevuto evidenti occhiate di disapprovazione da parte di alcuni passanti. Pur lasciandole amarezza, non si scoraggia, ripagata dall’approvazione che riscuote sui social media.

Molto apprezzato sul web è stato uno dei suoi progetti ossia Dream of graffiti realizzato lavorando su fotografie di luoghi al momento non accessibili ai graffiti: ad esempio, la nicchia del Buddha di Bamyan, fatto saltare con la dinamite nel 2002 dai Talebani. La presenza, anche solo immaginata di una donna, fa di questa figura un nuovo araldo della cultura, simbolo della sua rinascita ma anche della società afghana in senso lato. Il messaggio di fondo risiede infatti nel rimettere la donna al centro del percorso di progresso civile: il suo ruolo di educatrice è indispensabile, e deve essere compreso e rispettato.

Il 14 giugno 2013 realizza un murale presso l’Unione operaia di Ginevra, con donne migranti vittime di violenze e ricoverate in centri d’accoglienza. Nel 2014 viene nominata tra i 100 membri dei global thinkers. Nel 2016 espone alla Seyhoun Gallery di West Hollywood.

Nei suoi primi lavori il soggetto è una donna in un burqa blu, che aveva forme dinamiche e sembrava più forte delle donne nella società. Ma visto che la gente comincia a sostenere che lei appoggi il burqa lo rimuove e introduce un personaggio con gli occhi chiusi a simbolo della stessa donna che non è a suo agio nella società, che non può parlare, non può ricevere un’istruzione adeguata e non può prendere alcuna decisione. La sua bocca è chiusa perché non ha libertà di parola. I suoi occhi sono chiusi poiché non riesce a vedere il suo futuro, non può vedere nulla di buono nella vita. Questo personaggio con un foulard e abbigliamento afghano ha presentato i messaggi dell’artista alle persone, proprio come un’attrice.

Oggi Shamsia espone in India, Iran, Germania, Italia e nelle ambasciate estere di Kabul, ma il suo più grande desiderio è quello di fondare una scuola per graffitisti per diffondere il “verbo” visivo per le strade della sua città e, un giorno, di collaborare con Banksy.

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IL BLOG DI MASSIMO E SIBILLA MANNARELLI

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