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Massimo Mannarelli

IL PIRANDELLO OCCULTO


Negli anni a cavallo tra Otto e Novecento non sono pochi i letterati del nostro panorama letterario che si consociarono alla massoneria, dal mite Pascoli al sulfureo Carducci, dall’edificante Collodi al "Vate" D’Annunzio. Un vivo interesse ed inclinazione per esoterismo e occultismo pare vi fosse anche in Luigi Pirandello, a tal punto che alcuni studiosi hanno affermato che nei suoi scritti, vi sarebbe un accenno persistente a testi di teosofia, superstizioni magiche, sedute spiritiche, nonché al Rito Scozzese.

Nella novella “I fortunati” (Tonache di Montelusa), pubblicata nell’agosto del 1911 su “Rassegna Contemporanea”, Pirandello introduce en passant l’ingegner Franci e nel descriverlo si chiede con artefatto stupore: “Ma come? Un massone? Un trentatré? Sissignori, anche lui”.

Il trentatreesimo è il grado più elevato nella scala del Rito Scozzese, a cui si accede dopo aver conseguito il titolo di “maestro” nella massoneria azzurra.

Per questo, pur non essendoci riscontri diretti della sua affiliazione, si è spesso ventilata una sua adesione a qualche circolo iniziatico o magari alla libera muratoria, come vogliono numerosi indizi di sue frequentazioni, sin da giovane a Palermo e poi negli anni romani, con parenti e amici massoni.

In una lettera all’amico Giovanni Cadolini, massone, Pirandello racconta di aver partecipato ad un’agape fraterna nel capoluogo siciliano e in un’altra lettera parla di una riunione conviviale offerta a sodali venuti a Roma dall’isola appositamente per l’inaugurazione del monumento a Giordano Bruno nel 1889.

Nell’appartamento romano di Rocco Ricci Gramitto, frequentata da “confratelli muratori” dello zio materno Rocco Ricci Gramitto (cui era molto legato) e da medium, il giovane Luigi viene a contatto diretto con gli ambienti degli esoteristi e con lo spiritismo.

“Il fu Mattia Pascal” ci introduce nel mondo dello svagato Anselmo Paleari e nella sua ghiotta biblioteca, nei cui scaffali sono allineati i libri allora più in voga della teosofia europea e che Pirandello si cura diligentemente di elencare: “La Mort et l’au delà”, “L’homme et ses corps”, “Les sept principes de l’homme”, “Karma”, “La clef de la Théosophie”, “ABC de la Théosophie”, “La doctrine secrète” e “Le Plan Astral”.

Emblematica rimane la seduta spiritica descritta nel salotto Paleari de “Il fu Mattia Pascal”, occasione rivelatasi provvidenziale per Adriano Meis (alias Mattia) al fine di baciare nell’oscurità l’amata Adriana Paleari. Il buio in cui è immersa la seduta spiritica però offre anche il destro a Terenzio Papiano per rubare il denaro (ben 12 mila lire!) dalle tasche del distratto innamorato.

Pirandello così descrive l’evento: “Il tavolino scricchiolava, si moveva, parlava con picchi sodi o fuochi fatui; altri picchi s’udivano su le cartelle delle nostre seggiole e, or qua or là, su i mobili della camera, e raspamenti, strascichi e altri rumori; si accendevano nell’aria per un tratto, vagolando, e anche il lievi; strane luci fosforiche, come fuochi fatui, si accendevano nell’aria per un tratto, vagolando, e anche il lenzuolo si rischiarava e si gonfiava come una vela; e un tavolinetto porta-sigari si fece parecchie passeggiatine per la camera e una volta finanche balzò sul tavolino intorno al quale sedevamo in catena; e la chitarra come se avesse messo le ali, volò dal cassettone su cui era posata e venne a strimpellar su noi..”

Renato Santoro (da cui abbiamo estrapolato le informazioni per la stesura di questo articolo) scrive che il XVII e penultimo capitolo de Il fu Mattia Pascal ha un titolo – Reincarnazione – che sembra preso in prestito dalla sterminata bibliografia dei coniugi Leadbeater.

Del resto il debito nei confronti de “Il piano astrale” non è di poco conto. Nella prima stesura del romanzo, infatti, apparsa nel 1904 su “Nuova Antologia”, all’inizio del V capitolo (Maturazione) Pirandello si dilunga in considerazioni (che saranno stornate già nell’edizione Treves del 1910) di carattere teosofico e sicuramente suggestionate dalla prosa ampollosa di Charles Webster Leadbeater, anche se del suo nome non si fa citazione. “Ho letto testé in un libro” scrive Pirandello mutuando le proprie letture con quelle del protagonista del romanzo “che i pensieri e i desiderii nostri s’incorporano in un essenza plastica, nel mondo invisibile che ne circonda, e tosto vi si modellano in forma di essere viventi, la cui apparenza corrisponde all’intima loro natura. E questi esseri, non appena formati, non sono più sotto il dominio di chi li ha generati, ma godono d’una lor propria vita, la cui durata dipende dall’intensità del pensiero o del desiderio generatore. Per fortuna, i pensieri della maggior parte egli uomini son così vaghi e indeterminati, che gli esseri che ne risultano han labilissima vita e momentanea: bolle di sapone. Ma un pensiero che spesso si riproduca o un desiderio vivo e costante formano un essere che può vivere anche parecchi giorni”.

E’ questa, secondo Santoro, una dichiarata parafrasi del concetto teosofico di forma-pensiero che sarà poi sviluppato da Arthur E. Powell (1882-1969), cresciuto alla scuola dei Leadbeater e assai noto nell’ambiente martinista.

L’interesse, poi, di Pirandello per il paranormale e in particolare per lo spiritismo trova spazio nella novella “La casa di Granella” (“Il Marzocco”, 1905), una casa infestata dai fantasmi in cui interviene l’avv. Zummo, presentato al lettore come appassionato di occultismo e avido lettore di testi sulla materia: da Jaccoliot a Crookes, da Wagner ad Aksakov, da Gibier a Zoellner, da Janet a de Rochas, da Richet a Morselli. Questo nutrito elenco la dice lunga sulla competenza dello scrittore.

Gli fa compagnia il professor Dionisio Vernoni, personaggio della novella “Dal naso al cielo” il quale “attaccò subito col suo solito fervore; e cominciò a parlare di occultismo e di medianismo, di telepatia e di premonizioni, di apporti e di materializzazioni: e agli occhi de’ suoi ascoltatori sbalorditi popolò di meraviglie e di fantasie la terra che l’orgoglio umano imbecille ritiene abitata soltanto dagli uomini e da quelle poche bestie che l’uomo conosce e di cui si serve. Madornale errore! Vivono, vivono su la terra di vita naturale, naturalissima al pari della nostra…” (“Il Marzocco”, 1907).

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