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  • Massimo Mannarelli

MANDUZIO E GLI EBREI "INVENTATI" DEL GARGANO


Donato Levi Manduzio, classe 1885, nasce da una famiglia di contadini il 25 luglio a San Nicandro Garganico (Foggia). Vista l’indigenza, i suoi genitori non lo mandano a scuola.

Nel 1910 si sposa con Emanuela Vocino, anch’essa figlia di contadini, ma il matrimonio non è “benedetto” dall’arrivo di figli.

Nel 1915 l’Italia lo “chiama a difendere i sacri confini della Patria", ma durante la permanenza in prima linea s’ammala di una malattia non ben precisata e viene ricoverato in ospedale, dove rimane per un lungo periodo, prima di venire dimesso con un certificato d’invalidità permanente.

Durante il periodo di degenza impara a leggere e scrivere in maniera molto elementare. Tornato a Sannicandro, si dedica alla lettura e in questo modo giunge alla lettura della Bibbia in italiano regalatagli da un vicino di casa pentacostale, forse con l’intento di convertirlo, come aveva fatto con altri abitanti. Manduzio s’appassiona alla lettura delle Sacre Scritture, ma osserva degli errori primo tra tutti il mancato rispetto del Sabato e per questo motivo rifiuta la proposta di conversione dei Pentacostali e degli Evangelisti presenti sul territorio e decide che l’unica vera religione da seguire sia l’Ebraismo.

Si autoproclama “Ebreo” e riesce a coinvolgere 80 abitanti del paese, in maggioranza donne, alcune coppie e due invalidi. In breve tempo, la popolazione locale li appella i “Sabbatici” perché non lavorano di sabato. A farli conoscere sono le liti familiari che nascono ogni sabato nelle famiglie “miste”, tra mariti che tornano dai campi e sperano di trovare da mangiare e le mogli che si astengono da qualunque attività.

Nella giornata di Sabato, la comunità si riunisce e recita il Paternoster, in Italiano e a bassa voce, cui segue una lettura ad alta voce fatta della Bibbia (Vecchio Testamento) o di uno dei discorsi del Pentateuco commentata elementarmente fatta da uno dei presenti. Seguono canti sia religiosi che politici (Inno di Mameli, Marcia Reale). Gli uomini durante la funzione stanno in ginocchio, le donne tengono il capo coperto.

Manduzio apprende dell’esistenza di comunità ebraiche sul territorio nazionale da un venditore ambulante che gli indica l’esistenza di sedi nelle città di Genova, Napoli e Torino. La notizia rallegra e rincuora il fondatore, che decide di scrivere per far conoscere la loro esistenza e chiedere notizie sulle pratiche ebraiche. Invia cartoline alle varie sedi recanti l’elenco dei nomi degli aderenti al gruppo e il proprio indirizzo, non esplicitando alcuna richiesta. Da Torino giunge l’invito a rivolgersi all’Ufficio Generale di Roma.

Manduzio non demorde, scrive a Roma all’“Eccell.mo Commentatore capo comunità Israelitica Roma”. La risposta si fa attendere. Manduzio, invece di abbandonare e arrendersi, continua a scrivere e a chiedere il riconoscimento della sua comunità, di materiale per apprendere i riti ebraici e i canti, oltre alla lingua.

Il Rabbino Capo Angelo Sacerdoti, dapprima, pensa che si tratti di un mitomane, ma con l’aumentare delle lettere, invita l’amico e collega Alfonso Pacifici a valutare il caso. Questi vaglia, con molta attenzione, la corrispondenza, i toni usati, le richieste avanzate e giunge alla conclusione che potrebbe trattarsi di un caso “d’inconscio marranesimo” e che per “saggiare la serietà di questi tali” si deve inviare, una persona di fiducia, sul posto.

Nel novembre del 1933, Il Rabbino Capo Sacerdoti, risponde mostrando interesse verso questi fedeli e annunciando l’arrivo di una persona di fiducia: Giorgio Sessini.

Manduzio interpreta la lettera come un riconoscimento della comunità e non vede l’ora dell’arrivo del signor “Sirsillo”, che giunge nel gennaio 1934. Costui trascorre una giornata con il gruppo, assiste alle loro pratiche, ascolta le motivazioni della conversione di Manduzio, raccoglie le richieste e promette che farà pervenire del materiale, che possa consentire al gruppo di diventare veri Ebrei.

L’entusiasmo è alle stelle. Partito Sessini, inizia l’attesa spasmodica e stressante, che spinge, dopo alcune settimane, a tempestare il Rabbino Sacerdoti di lettere, per ricordare gli impegni presi da Sessini, soprattutto, in vista dell’avvicinarsi della festività di Pasqua, dal momento, che non hanno piena conoscenza dei riti da seguire in tale festa.

Sacerdoti temporeggia e solo dopo un mese risponde leggermente, irritato, spiegando che non esiste materiale in lingua italiana, ma solo in ebraico. Propone che si rechino, in visita, nei Ghetti di Roma o Firenze, due o tre persone, allo scopo d’impratichirsi dei riti e degli usi ebraici e poi riportarli alla comunità. Proposta che cade nel vuoto, per l’impossibilità, da parte degli aderenti al gruppo, di permettersi una “vacanza studio”.

Manduzio ricontatta Sacerdoti perché un giovane s’è presentato dicendo che era inviato dalla Comunità di Roma. La risposta è immediata, la persona che s’è presentata, non è un ebreo, ma un “uscito di senno”, noto alla Comunità di Roma. Sacerdoti specifica che in caso di arrivo di persone della Comunità, sarà sua preoccupazione avvertire il gruppo per tempo.

Manduzio ritorna alla carica, scrive lettere con richieste e insiste sulla necessità di apprendere i riti della Pasqua, per poterla celebrare in maniera adeguata. Sacerdoti risponde con tono severo e domanda «come mai lei e i Suoi amici che non avevano mai avuto contatti con ebrei e pertanto ben poco dovessero comprendere e sapere cosa sia l’ebraismo era venuta questa convinzione. (…) è necessario una lunga preparazione e studio profondo». Aggiunge che non bisogna avere “una fretta ansiosa” e ricorda che l’ebraismo non cerca proseliti e accetta i convertiti solo «dopo che sia evidente la necessità di farlo: occorre soprattutto che gli aspiranti siano preparati, maturi ed edotti del credo ebraico», in ogni caso la decisione di ammetterli nella comunità spetta solo «al capo religioso, la cui decisione non può essere forzata».

Un modo molto educato e semplice per dire a Manduzio e al gruppo di non ostinarsi nel tempestarlo di richieste e, soprattutto, di non insistere nell’idea di proclamarsi ebrei. Sacerdoti conclude dicendo che avrebbe inviato qualcuno a spiegare i riti della Pesach e il vero significato di tale festività per gli Ebrei.

Manduzio non riesce a capacitarsi di quanto afferma il Capo Rabbino che li vuole consapevoli della cultura ebraica, ma non fornisce loro gli strumenti.

Nel frattempo, giunge in visita il Conte Federico Luzzatto (1900-1960) studioso delle origini di varie comunità ebraiche e membro dell’Organizzazione delle Associazioni Culturali Ebraiche in Italia.

La comunità è in festa, per la seconda volta, crede e si convince che è un ulteriore segno di riconoscimento da parte della Comunità Centrale di Roma. Invece, è solo un modo per indagare e comprendere cosa sta succedendo in quello sperduto paese. Sacerdoti è preoccupato che il caso San Nicandro coinvolga e travolga l’intera comunità ebraica a livello nazionale.

Luzzatto riporta al Rabbino Capo che i «neo-convertiti rispettano il Sabato, non mangiano carne di maiale e anguilla, anche se comprano la carne dal macellaio del paese (avrebbero dovuto acquistarla da un shochet che uccida l’animale con rispetto e compassione). A Pasqua avevano mangiato le Azzime inviate da Sacerdoti e aggiunge che «essi vogliono una maggiore istruzione nella fede ebraica e hanno espresso il desiderio di circoncidersi».

Prima della partenza chiedono a Luzzatto che faccia pervenire il seguente materiale: un lunario ebraico, un sillabario ebraico-italiano per l’apprendimento della lingua, alcuni brevi testi religiosi pratici, come quelli in uso nelle scuole elementari, articoli della legge riguardanti il matrimonio e l’esenzione dei bambini dalla dottrina cattolica a scuola, musiche sacre e copie della Rassegna Mensile d’Israel.

Un mese dopo Sacerdoti invia una lampada per il Sabato e un calendario ebraico, cosa che anima di gioia la comunità, ma senza alcun riconoscimento ufficiale alcuno.

Manduzio, che non riesce a comprendere il comportamento del Capo Rabbino, ritorna a tempestarlo di lettere. Sacerdoti che nel frattempo sta partendo per Gerusalemme, rinvia ogni decisione al suo ritorno, consigliando che la comunità legga e apprenda i testi della Genesi, dell’Esodo e del Levitico, Libro dei Numeri, Deutoronomio e Dieci Comandamenti, basilari per comprendere lo spirito e il pensiero ebraico.

Sacerdoti non intraprenderà mai il viaggio verso la Terra Santa, poichè morirà a breve.

Manduzio, in attesa del suo ritorno, comincia a tempestare di lettere anche Pacifici, che cerca di eludere le richieste, con varie scuse, poiché l’ultima parola spetta al Rabbino Capo.

Nel 1934 comunica a Manduzio che si sta trasferendo a Gerusalemme e che il rabbino Sacerdoti è morto. Manduzio augura ogni bene all’amico per la sua nuova vita “lontano dall’impuro”, mentre mostra indignazione perché nessuna comunità sorella ha ritenuto opportuno comunicare la dipartita del Rabbino Capo.

A risollevare gli animi è la visita, annunciata da Pacifici, da Gerusalemme, di Jacques Faitlovich (Łódź, 1881- 1955), famoso per la sua opera a favore dei Falashà etiopi (anche detti Beta Israel). La sua visita viene interpretata dalla comunità come un riconoscimento internazionale, mentre per lo studioso polacco il caso di San Nicandro rientrava nella sua convinzione di dover promuovere e incoraggiare il proselitismo della religione ebraica.

Il visitatore promette testi e suggerisce di mandare uno dei ragazzi a studiare presso un collegio ebraico, per apprendere la lingua e la cultura. Il direttore dell’Istituto di Bex les Bains (Losanna) si ritrova sommerso di lettere del padre del ragazzo per la sua ammissione e risponde confermando la disponibilità ad accogliere un bambino di 11-12 anni, “in seguito anche due”, ma evidenzia la difficoltà delle leggi sull’immigrazione, che non facilitano l’ingresso di stranieri; nel 1936 chiarisce le restrizioni delle leggi e conclude che “è inutile vivere di false speranze”.

La comunità e Manduzio si sentono traditi e abbandonati e quest'ultimo, in qualità di capo del gruppo, espone il malessere a Pacifici che risponde che hanno dimostrato una profonda “sincerità e del desiderio di conversione” e pertanto possono considerarsi “figli di Noè”, ma non “figli d’Israele”, dal momento che il cammino, per potersi fregiare, di questo titolo è lungo e arduo.

Li rassicura nuovamente che «vi manderemo maestri e libri perché impariate quali sono i doveri del figlio d’Israele, e se poi perdurereste nel vostro proposito dopo lo studio prolungato, vi accoglieremmo con gioia nel patto d’Israele segnato con il sangue della circoncisione. Ma se invece voi riflettere che tutto ciò è troppo grave, noi vi diciamo “State tranquilli”, anche come Benè Noach, fedeli al patto di Noach, voi potrete portare benedizione al mondo e fare molto bene a Israele vostro fratello. A voi fratelli la scelta, sulla quale ci farete avere una risposta dopo averla ben ponderata».

Manduzio ricevuta la lettera, si precipita a rispondere, non pondera e non riflette, è certo della sua decisione e di quella dei suoi compagni: «Ringraziamo dei buoni consigli, ma siamo stupiti nel sentire che non siamo Figli d’Israele (…) Sappiamo per Rivelazione Divina che siamo più che Israeliti, discendiamo dal terzo ramo di Giacobbe e direttamente da Levi. Ci troviamo fuori da Israele solo per i peccati a causa dei quali siamo stati scacciati e perseguitati dai nemici di Dio». Insiste sulla necessità di apprendere le pratiche ebraiche, che non conoscono, non certo per colpa loro, ma perché nessuno ha studiato presso un Collegio Rabbinico e quello che conoscono «c’è stato insegnato dall’Unico Dio che è il solo Maestro e Pastore». Conclude con la seguente annotazione, degna di un capo e di un maestro di dottrina, «se dite che siamo fuori d’Israele, allora questo è un segno che voi non riconoscete la Rivelazione Divina, della quale siamo stati i soli destinatari prediletti» e “alla sua comunità necessita la conoscenza del Talmud e l’apprendimento dell’ebraico per poter emigrare in Eretz Israel”.

Pacifici non risponde più a nessuna lettera, le comunicazioni s’interrompono con disappunto e sconcerto di Manduzio e della comunità.

La vita dei neo-ebrei scorreva tranquilla fino al 14 febbraio 1936, quando un usciere comunale consegna a Manduzio un'ingiunzione di pagamento di una multa ammontante a 260 lire per violazione dell'articolo 18 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773) recante la firma del Ministro degli Interni Guido Buffarini Guidi che prevede “tolleranza zero” nei confronti dei “pentacostali, o pentecostieri o neumatici o tremolanti come sono diversamente conosciuti perché si dedicano a pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive dell’integrità fisica e psichica della razza”.

Manduzio chiede consiglio al rabbino capo di Roma David Prato, ma non ottiene risposta e paga la multa.

Nello stesso anno il Rabbino Capo di Roma avvia contatti ufficiali con i convertiti per mezzo del proprio inviato, Raffaele Cantoni che giunge a San Nicandro nel luglio del 1937 con l'intenzione di regolarizzare il rituale, aprire una piccola sinagoga e integrare il gruppo alla comunità ebraica di Napoli. Dona 22 scialli di preghiera (tallit) per gli uomini, una lampada a nove braccia, una più piccola, un calice e un contenitore per l'incenso.

Cantoni si reca dal Podestà, dichiarando che la multa è illegittima, dal momento che si tratta di un gruppo di “ebrei” e la legge parla di “protestanti” e viene chiesta la revoca della precedente multa e richiesto il permesso per esercitare il culto nella casa in affitto. Purtroppo per loro e il suolo dell'erigenda sinagoga non viene trovato.

Quello che Manduzio e i suoi seguaci non sanno è che Cantoni è nel mirino dell’Ovra, perché secondo “notizie fiduciarie Cantoni stava viaggiando per tutta Italia, con lo scopo di svolgere subdola opera di diffamazione e disfattismo contro il Regime”. Di conseguenza la sua visita a San Nicandro, accende i riflettori sulla Comunità, che da questo momento non viene persa di vista dall’Ovra.

Cantoni sembra non preoccuparsi del pericolo che lo persegue e insiste nel voler aiutare il gruppo interessando l’amico Enrico Emilio Franco, docente di urologia a Bari, a cui racconta la storia del gruppo di San Nicandro che gli chiede di seguire nel percorso di avvicinamento alla religione ebraica.

Il docente è stupito, poiché, nonostante sia rimasto per cinque anni a Bari non ha sentito mai parlare di questo gruppo e si rammarica di non potersi recare personalmente, causa il suo trasferimento presso l’ateneo di Pisa, ma suggerisce il nome di altro correligionario e medico Tullio Zappler.

Cantoni gli descrive la Comunità che da anni «vuole, regolarmente, divenire ebrei, e da molto tempo che studiano ed intendono avere la circoncisione come primo e inconfondibile segno della nuova fede. Ella ha già capito dove io voglio arrivare. Ella dovrebbe presentarsi a compiere la grande Mizwah (…) sono esseri che aspettano da noi la luce della verità e della libertà dello Spirito».

Con l'entrata in vigore delle Leggi razziali, Roma consiglia a Manduzio di rimandare a tempi migliori l'ammissione all'ebraismo.


Il 4 aprile 1940, rispondendo a Raffaele Cantoni che cerca di nuovo di convincerlo che il gruppo di San Nicandro non doveva considerarsi ebreo «dal punto di vista razziale», Manduzio rispose:

«Benché non siamo nati in Israele, operiamo secondo le Leggi che l'Eterno ha dato a Israele. [...] L'Eterno ha pur detto che "lo straniero che opera secondo la Legge mi è più accetto dei figli e delle figlie che sono nati nella Legge"... e in seguito gli ho scritto molte cose che il Santo ordina.»

Eliezer Tritto, figlio di uno dei primi seguaci di Manduzio, e alcuni suoi compagni di fede subirono vessazioni a scuola:

«Maestri e Direttori erano tutti fascisti e tutti i ragazzi ebrei li mandavano via dalla scuola; prendevano scusa che non ci facevamo il segno della croce nel tempo della preghiera. Io per esempio, ho fatto solamente la terza elementare, come anche gli altri ragazzi della Comunità».

Il Governo decide di aprire un’indagine formale sul caso di San Nicandro e attraverso l’ambasciata italiana presso la Santa Sede inoltra un memorandum “riservato” al Cardinale Eugenio Pacelli, Segretario di Stato del Papa e futuro Papa Pio XII.

L’ufficio della Santa Sede inoltra il memorandum al Vescovo di Lucera, Monsignor Giuseppe Di Girolamo, che chiede immediate notizie al parroco di Sannicandro, il quale conferma la presenza, da diversi anni, di alcuni millantatori e disonesti che si dicono seguaci della religione israelitica e conclude rassicurando il vescovo che il gruppo «è molto ristretto ed esplica nessuna attività salvo qualche rara riunione in qualche casa privata». Il parroco lamenta che nonostante le segnalazioni reiterate ai carabinieri, questi non hanno ravvisato alcun reato.

Il Vescovo ricevuta la nota del parroco, invia una relazione al Segretario di Stato ed esprime la speranza che l’attenzione prestata dal Governo a questo gruppo di persone possa sortire buoni effetti, per estirpare la mala pianta delle sette. La Segreteria di Stato ritrasmette la relazione al Governo Fascista, ma modera i toni, in questo modo i delinquenti iniziali diventano “certe persone che seguono un culto non cattolico”. Il ministero degli Interni, in base alla circolare emanata il 22 agosto 1939, riguardante i pericoli delle sette, decide di chiedere ulteriori informazioni al Prefetto di Foggia.

Dopo la liberazione di Roma i sannicandresi furono riconosciuti come ebrei. Manduzio non vuole però farsi circoncidere. Muore nel marzo 1948 rifiutandosi di lasciare San Nicandro nei suoi scritti la dichiarazione: “siamo arrivati alla luce grazie alle visioni, proprio come avvenne a Mosè e a tutti i profeti, e che chiunque si rifiuti di credere o dica che le visioni non significano niente nega il Dio delle visioni e il Mosè del libro sacro delle leggi”.


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