LO SGUARDO TEOLOGICO DI ORIGENE DI ALESSANDRIA
Origene (185-253), a differenza di altri Padri, nasce in una famiglia già cristiana, ricevendo un’educazione fortemente religiosa. Seguendo l’esempio di rigidità del padre, prese così alla lettera il messaggio evangelico – in particolare, Matteo 19,12 «vi sono eunuchi che si sono resi tali per il regno dei cieli» – che da solo si evirò.
Il pensiero di Origene rappresenta uno dei primi tentativi di compenetrazione di filosofia e religione, al fine di costruire una teologia intesa non come precettistica o scienza, ma come strumento di comprensione di una verità in cui già si crede. Pertanto il pensiero di Origene, nella sua espressione più sistematica, è scomponibile in tre aspetti: cosmologia, antropologia ed esegesi (intesa come risalita). Tuttavia non è possibile fornire una schematizzazione univoca della posizione filosofica di Origene visto che il suo pensiero si ‘piega’ soventemente a esigenze di carattere predicativo.
L’opera di Origene consta di un gran numero di scritti di diversa natura che comprendono opere esegetiche – i Commentari –, dottrinali – tra cui il De Principiis –, opere apologetiche – il Contra Celsum – ed opere filologiche.
Un tratto che caratterizza tanto la vita quanto il pensiero di Origene stesso è il suo essere un teologo borderline, tra eresia e ortodossia. La sua visione del cristianesimo e della dottrina trova numerosi ammiratori, ma anche una folta schiera di detrattori. Tra questi anche Girolamo, il quale non risparmia all’Alessandrino una serie di critiche molto taglienti; tuttavia egli non riesce a biasimarlo a tal punto da reputarlo apostata e da non dedicargli un encomio del genere: non imitiamo i difetti di colui del quale noi possiamo copiare le virtù.
La dottrina di Origene sulla creazione del mondo e dell’uomo è uno dei più classici esempi di compenetrazione tra creazione, platonicamente intesa, e dogma ecclesiastico. Per l’analisi di tale pensiero è necessario tratteggiare sia la creazione dell’uomo – come caduta dallo stato angelico – sia la genesi del mondo.
Nei primi tre volumi del “De Principiis” Origene cerca di esporre una giustificazione filosofica – in opposizione alla corrente gnostica – della genesi del mondo, delle creature razionali e, infine, dell’uomo. Eternità e contingenza dei mondi sono uno degli aspetti che rendono unica la dottrina di Origene.
Secondo Origene, la creazione del cosmo (totalità fisica) e quella delle creature razionali sono da disarticolare secondo un concetto di doppia creazione, la quale, come tutto il resto, poggia su una interpretazione allegorica della Genesi stessa.
La disarticolazione tra piano eterno e piano contingente è uno dei più chiari influssi del platonismo in Origene: non potendo sostenere che Dio abbia per un certo periodo curato solo se stesso, afferma che da un lato egli ha creato immediatamente le creature razionali e dall’altro, ma in seguito alla rivolta, l’infinito turbinio dei mondi fisici. Di questa continua creazione mondana ne porta testimonianza Isaia stesso, in quanto: «ci sarà un cielo nuovo ed una terra nuova, che io farò rimanere al mio cospetto, dice il Signore». Le tracce di una preesistenza di altri mondi si ritrovano anche nell’Ecclesiaste in cui viene dichiarato chiaramente che prima di questo mondo ve ne sono stati altri e, dopo, altrettanti. I mondi sono sempre esistiti e ne esisteranno anche dopo.
L’idea dello scorrimento dei mondi è molto chiara ed è forse uno dei più espliciti richiami al contesto filosofico in cui è calato Origene. La pluralità dei mondi dopo la rottura del nesso tra verità e realtà contingente è stata uno dei cardini di molte dottrine filosofiche, ma l’introduzione nella cultura cristiana trova in Origene uno dei primi esponenti. È proprio dall’ “armonia” e dalle ”relazioni” che si configura evidentemente il connesso concetto di anima mundi. L’azione provvidenziale di Dio è l’assetto ontologico del mondo che diviene quasi una ‘divinità comunicata’, un Dio la cui unità e perfezione si è spezzata e anziché formare una natura capace di scorgerlo in chiarezza come uno specchio, ha ‘sparso’ il Logos nel mondo, confondendolo sotto metafore e allegorie. Gli infiniti mondi sono stati, quindi, formati a partire da una materia intellegibile, il Logos, non proprio Dio stesso, ma un principio ontologico di razionalità che ha ordinato gli esseri in base ad una legge di giudizio morale.
Un ulteriore aspetto della cosmologia è l’unicità del ‘nostro’ mondo: questo è l’unico mondo in cui è si è verificata la venuta del Cristo redentore e ciò ha dato un segno religioso e morale alla ‘nostra’ storia, rendendo la ‘nostra’ contingenza qualitativamente diversa da quella di altri mondi possibili. La posizione di Origene sulla possibilità che la storia divina abbia una effettiva ripetizione (seguendo il ciclo dei mondi) è un concetto limite tra le ipotesi filosofiche e una effettiva credenza.
In principio Dio creò tutte le creature dotate di ragione e in una condizione di affinità verso di lui. Tuttavia, dotandole di libertà, queste intelligenze potevano, o meno, dirigersi completamente verso il Bene e, successivamente, grazie a tale libertà. alcune di loro si rivoltarono, dando origine alla storia dell’uomo. Tale opposizione a Dio comportò una separazione e divisione delle creature tra esseri iperurani (gli angeli rimasti con Dio), esseri terrestri (l’uomo è un caso particolare) ed esseri infernali, ovviamente, ciascuno con diversi gradi di beatitudine, ma sempre in relazione alla tendenza individuale al Bene.
La giustizia di Dio viene garantita asserendo, forse solo a livello di ipotesi, la preesistenza dell’anima ed è proprio su questa che viene fatta ricadere la colpa o il merito della creatura.
L’anima (da intendersi come anima particolare e spirito) è il lumicino di quella primordiale luce che Dio aveva instillato in ogni creatura razionale; tramite la preesistenza dell’anima, Origene riesce a superare la logica demerito-colpa e fondare la giustizia divina su qualcosa che sia indipendente rispetto all’esistenza contingente. L’anima iniziale viene costantemente presa e ricalata (ensomatosi) nel mondo o nei mondi infiniti che costituiscono la storia dell’universo. Tale fluire è opportuno perché rende effettivamente possibile una ‘redenzione’, anche delle anime più tenaci, tramite una concezione della divinità non come un attore diretto nelle vicende umane, ma come dispositore provvidenziale delle vicende affinché sia possibile una redenzione universale.
Dalla lettura del testo origeniano è pertanto possibile fornire una tripartizione dell’uomo nelle sue componenti: spiritus, anima e corpo.
Dio ha infuso nell’uomo, a propria immagine, lo spiritus o pneûma, che ha la funzione di «pedagogo dell’anima, o piuttosto dell’intelligenza: lo è nella pratica delle virtù, giacché è in lui che risiede la coscienza morale; nella conoscenza di Dio e nella preghiera». Questo è parte dello Spirito Santo, la manifestazione più evidente della divinità è comunicata nel mondo.
L’anima (psychē-anima), articolata in due parti, è la prima parte del principium individuationis del singolo individuo e rappresenta la sua personalità. La superiore mens e l’inferiore cuore sono le componenti dell’autentica anima. L’intelligenza è la base contingente che offre la possibilità di seguire il modello morale o quello passionale corporeo. Nella prescienza, secondo la dottrina origeniana, l’anima doveva essere tutta assimilata al pneûma. La caduta e il peccato l’hanno spinta verso la carne, degradandola nel cuore.
Il corpo (sōma-corpus), la parte nata nella ‘seconda Genesi’, è l’elemento umano più basso creato da Dio e più lontano dalla sua grazia.
Prima del peccato era possibile riscontrare una completa assimilazione tra anima e spirito nell’ardente fiamma di Dio poiché lo Spirito Santo scaldava tutte le creature razionali – quindi le anime – poste nella sua vicinanza.
Proponendo una suddivisione tra anima e spirito, Origene può garantire la possibilità che l’uomo possa concorrere per la sua salvezza, facendo perno sul libero arbitrio; pertanto il peccato non ha quella forza dirompente che si trova in Sant’Agostino di Ippona.
Il ruolo che l’esegesi scritturale assume nella teologia di Origene non è passabile sottotraccia, dacché solo tramite la comprensione delle Scritture – come unica espressione nel logos divino per l’uomo – è possibile intraprendere un cammino di purificazione verso Dio. Tale percorso è il medesimo che Platone aveva tratteggiato sia nel Fedro – presentazione dell’iperuranio – che nella Repubblica – allegoria della caverna –, ovvero un passaggio dal mondo visibile a quello invisibile.
Risalire fino a scorgere faccia a faccia il volto e la verità di Dio è la quintessenza della vita del cristiano. Come nel mondo fisico la verità permane, ma in forma distorta, così il messaggio presentato nelle Scritture è sì il logos divino, ma comunicato e espresso per mistero.
Le Scritture sono l’elemento che permette di conferire un valore a tutta la premessa filosofica, chiarita dalla dottrina cristiana, propria del Perì Archôn. Queste divengono l’autorità a cui rifarsi nel caso si volesse intraprendere il cammino della verità, in quanto unico strumento capace di permettere la più alta conoscenza possibile per l’uomo.
L’interpretazione e costruzione dei significati non letterali è una ricerca sostanzialmente libera sotto tutti gli aspetti tranne uno: l’unico vincolo esegetico è l’attenersi alla regula fidei. Chiunque si avvicini alle Scritture può facilmente notare che molte affermazioni a livello letterale appaiono come assurdità o che potenzialmente possano condurre ad assurdità ancora maggiori, ovvero ad una gnosi indipendente dalla dottrina stessa del cristianesimo o ad una banalizzazione estrema del messaggio cristologico.
La centralità delle Scritture serve a Origene per sostenere tutto il suo impianto teologico: infatti, ad una tricotomia delle parti dell’uomo corrisponde una particolare ascesi del credente consistente nel diverso grado di comprensione. Tale comprensione è possibile solo con l’utilizzo dell’allegoria.