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Sibilla Mannarelli

MIRZA GHULAM AHMAD


Mirza Ghulam Ahmad (1835-1908) nasce a Qadian, una cittadina del Punjab, in maggioranza musulmana, fondata nel 1530 da Mirza Hadi Baig, nobile di origine persiana. Il termine Mirza deriva dal persiano ‘Amirzade: figlio di colui che comanda e tale titolo conferito da re, sultani e imperatori a figli, nipoti, parenti e nobili che ne vengono considerati meritevoli dall’area musulmana di influenza culturale persiana avrebbe conosciuto, a partire dalla prima metà del sedicesimo secolo, una buona diffusione anche nell’India Moghul.

Tutti gli imperatori Moghul, difatti, a partire dal fondatore dello stesso impero, Mirza Zahir-ud-din (1483-1530), sarebbero stati dei Mirza.

Mirza Ghulam nell’infanzia ha diversi tutori privati e può presto beneficiare della ricca biblioteca domestica per la sua formazione. A diciassette anni suo padre, un rinomato Hakim (medico), gli trasmette molte conoscenze di medicina naturale. Crescendo, non dedica molte energie alla vita professionale e nemmeno alla cura degli affari di famiglia, guadagnandosi piuttosto la fama di una persona che vive in clausura, approfondendo lo studio di testi religiosi e pregando in moschea.

Nel 1852 si sposa con Hurmat Bibi, figlia di un suo zio materno. Da questa unione, nascono i suoi due figli Hadhrat Mirza Sultan Ahmad (1853-1931) e Mirza Fazal Ahmad (1855-1904).

Anche se sposato, trascorre la maggior parte del suo tempo in solitudine, meditazione e preghiera. Il padre ─ che lo soprannomina Maseetar (uno che ama spendere tempo nel culto divino nella moschea) ─ lo vuole impiegato in un lavoro prestigioso e lui, pur non d’accordo, collabora negli affari di famiglia. Infatti, nel 1864 si trasferisce a Sialkot dove lavora come segretario, per quattro anni, in tribunale. Nel 1868 si dimette dopo che il padre lo richiama a Qadian.

Tra il 1880 ed il 1884 scrive l’opera, in quattro volumi, “Barahin-i-Ahmadiyya” con l’intento di mostrare la superiorità dell’Islam. L’opera conosce un buon successo tra i musulmani indiani.

Nel 1889 sostiene di avere una rivelazione divina che lo legittimerebbe ad ottenere un giuramento di fedeltà dai musulmani che gli sono più prossimi. In questo modo inizia a prendere corpo la Comunità Islamica Ahmadiyya, il cui fondatore sostiene di essere il Mahdi e anche di essere il Messia, atteso in diverse tradizioni religiose, inclusa, naturalmente, quella musulmana.

Appena due anni dopo, tuttavia, perde l’appoggio di molti ambienti musulmani ortodossi, precisamente a seguito della sua proclamazione di «essere assieme il masih (messia, lo stesso titolo dato a Gesù dai musulmani) e il mahdi atteso per i tempi ultimi per restaurare la fede». Non manca di avere problemi e subire accuse di eresia anche presso altri ambienti religiosi, soprattutto i cristiani e gli indù del movimento Arya Samaj. Questi ultimi gli contestano, in particolare, il fatto di considerarsi un avatar.

Il numero dei seguaci di Mirza Ghulam Ahmad, tuttavia, raggiunge in tempi rapidi una buona consistenza. A titolo di esempio si noti che al primo incontro annuale della Comunità (Jalsa Salana) nel 1891 partecipano settantacinque persone mentre a quello del 1907 il numero dei convenuti sale a circa duemila. Oggi, il Jalsa Salana di Qadian ospita mediamente quarantamila persone ed altrettanti quello di Londra dove gli ahmadiyya hanno spostato il loro quartier generale.

A Mirza Ghulam Ahmad vengono attribuite oltre 90 opere delle quali una, in particolare, ebbe un particolare successo: Jesus in India. Il testo viene pubblicato, postumo, nel 1908 in lingua urdu e tradotto in inglese solo nel 1944. Mirza Ghulam Ahmad si presenta come “la seconda venuta del Cristo”. Per corroborare questa tesi riconsidera radicalmente la dottrina della morte e resurrezione di Gesù, tentando di dimostrare che Gesù non sia morto sulla croce, né asceso al cielo ma che abbia raggiunto l’età di centoventi anni quando morì a Srinagar, in Kashmir dove si trova la sua tomba. Per sostenere la sua tesi porta prove basate sui Vangeli, il Corano e i detti del Profeta, la letteratura medica, prove storiche e la tradizione orale, argomentazioni di natura logica e altre ‘a seguito di rivelazioni divine’.

Secondo Mirza Ghulam Ahmad Gesù, pur non essendo morto in croce, avebbe vissuto l’umiliazione della crocifissione, ma dopo alcune ore il suo corpo sarebbe stato calato, apparentemente esanime, e consegnato a Nicodemo e Giuseppe di Arimatea. Curato con il Marhan-i-Isa (unguento di Gesù) dopo alcuni giorni si sarebbe diretto in Galilea dove avrebbe incontrato i suoi discepoli, avrebbe mostrato loro le ferite ancora fresche, mangiato del pesce e del miele e dormito assieme a loro.

Mirza Ghulam Ahmad si fa sostenitore della tesi secondo la quale Pilato stesso, anche su sentito consiglio della moglie, avrebbe avuto un ruolo non trascurabile nel salvare la vita a Gesù, ragion per cui tutto fu organizzato per crocifiggerlo di venerdì e poi consegnarlo a Giuseppe d’Arimatea il quale, presente sul Golgota prima del tramonto, avrebbe a sua volta caldeggiato la tesi dell’avvenuto decesso (per quanto improbabile potesse sembrare), la cui naturale conseguenza fu la presa in consegna del corpo e il suo trasferimento nel sepolcro.

Dopo la visita in Galilea Gesù si sarebbe recato in Turchia, al confine con la Siria e in seguito avrebbe attraversato i territori dell’attuale Persia e Pakistan per poi visitare alcune aree dell’attuale Afghanistan. Giunto in Kashmir, vi avrebbe vissuto e predicato a lungo, conosciuto con il nome persiano Yuzu Asaf.

I principi cardine del movimento messianico fondato da Mirza Ghulam Ahmad (morto a Lahore nel 1908 e sepolto a Qadian, importante luogo di pellegrinaggio per il movimento) si riassumono efficacemente nel motto: Love for all, hatred for none (‘Amore per tutti, odio per nessuno’). Fondamentale diventa il richiamo al verso 256 della seconda sura coranica, secondo cui «non c’è nessun obbligo nella religione» e da qui deriva il rigetto di qualsiasi forma di terrorismo e violenza. La Comunità Islamica Ahmadiyya è molto attiva sul fronte missionario e umanitario. Malgrado vengano considerati eterodossi se non eretici dalla maggior parte dei musulmani, gli ahmadiyya credono che il Corano sia una guida perfetta per l’umanità e non richieda alcun aggiornamento e cambiamento.

«Il Corano è in grado di guidare il genere umano ― finanche attraverso fasi difficili ― alla realizzazione di una società pacifica ed evoluta».

In ragione di questo, gli ahmadiyya (o ahmadi) si considerano i più autentici esponenti dell’Islam, religione di pace e non di guerra e violenza.

La comunità islamica, nelle sue varie declinazioni, è unanime nel rifiutare un qualsiasi riconoscimento a Mirza Ghulam Ahmad, che viene anzi denominato come murtadd, cioè apostata, a causa dell'incompatibilità irriconciliabile tra le dottrine da lui professate e il credo islamico. Parimenti, secondo i musulmani il movimento dei seguaci di Mirza Ghulam Ahmad, che pur si considera facente parte dell'Islam, non è solo eterodosso, ma totalmente "esterno" all'Islam.

Il suo successore, l'amico medico Maulvi Nuruddin (1841-1914), assunse il titolo di khalīfa (successore, vicario) e iniziò a organizzare la diffusione del messaggio messianico all'interno e al di fuori dell'India dell'epoca. Dopodiché il movimento fu presieduto dal figlio di Ahmad, Mirza Bashirud Mahmud Ahmad (1889-1965), cui succedette con il titolo di "Guida", Mirza Nasir Ahmad (1909-1982). L'attuale (quinta) Guida del movimento, Mirza Masrur Ahmad, è stato eletto nel 2003 al posto del defunto Mirza Tahir Ahmad, eletto a sua volta nel 1982.

Al movimento aderiva il fisico nucleare pakistano Abdus Salam. Quando, nel 1974, il parlamento pakistano modificò il titolo II della Costituzione, qualificando gli Ahmadi come "non-musulmani", Abdus Salam, in segno di protesta, abbandonò il suo paese per trasferirsi nel Regno Unito.

Il gruppo, oltre ad essere attivo nella formazione religiosa e culturale dei suoi componenti, è anche molto attivo nel servizio missionario dell'umanità in generale. Dovunque il movimento si sia stabilito, realizza progetti sociali, istituti educativi, servizi medico-sanitari, pubblicazioni islamiche e costruzione di madrasse, "scuole". Il movimento ha dato vita all'organizzazione umanitaria "Humanity First", che svolge missioni umanitarie in vari paesi.

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